Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32284 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Kompongo Srl, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale redatta per atto di

notaio, dall’Avv.to Antonella Pelosi, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio del difensore, sito alla via Augusto Vera n. 41 in

Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 110, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Milano in data 19.10.2011, e pubblicata il giorno

24.10.2011;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Di Marzio Paolo;

letta la memoria depositata dalla ricorrente.

la Corte osserva:

Fatto

FATTI DI CAUSA

l’Agenzia delle Entrate notificava all’odierna ricorrente, Kompongo Srl, l’Avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo a maggiori tributi IVA, IRES ed IRAP, in relazione all’anno d’imposta 2004, in conseguenza di maggiori redditi calcolati facendo applicazione degli studi di settore (SD4OU), con maggiore imposta complessiva richiesta nella misura di Euro 70.631,00. L’avviso era impugnato dalla contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che accoglieva parzialmente il ricorso. In corso di causa l’Agenzia, del resto, esaminate le contestazioni proposta dalla ricorrente, aveva riconosciuto che competesse una imposta minore rispetto a quella originariamente domandata, proprio nella proporzione poi accolta dal giudicante, in conseguenza di un errore formale concernente la valutazione dei beni strumentali della società.

La società Kompongo proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Milano, lamentando innanzitutto il vizio di motivazione della decisione di primo grado, essendosi la Ctp limitata ad affermare che le ragioni addotte dalla società per contrastare la pretesa tributaria risultavano insufficienti, sottovalutando la pregnanza dei rilievi proposti, come quello relativo alle perdite subite nell’anno 2003, che avevano imposto una onerosa riorganizzazione del personale nell’anno successivo, essendo risultato necessario anche procedere a licenziamenti, oltre che all’avvicendamento della dirigenza. Inoltre, la Ctp aveva erroneamente ritenuto di non applicare il principio del favor rei, in considerazione del fatto che gli studi di settore “evoluti”, redatti in relazione agli anni successivi, conducevano a ritenere congrui i ricavi conseguiti dalla società nell’anno in questione, il 2004. Si costituiva e replicava nel merito l’Agenzia delle Entrate osservando, ad esempio, che il licenziamento del personale comporta anche un risparmio di costi.

La Commissione Regionale osservava che, accogliendo parzialmente le difese della contribuente, l’Agenzia aveva correttamente ricalcolato il dovuto attraverso l’utilizzo del sistema Gerico. In riferimento alla mancata applicazione del c.d. favor rei, rilevava che la società non aveva fornito alcun elemento per confutare la tesi dell’Ufficio finanziario, secondo cui “i dati inseriti nei modelli evoluti sono difformi rispetto a quanto dichiarato negli studi di settore dell’anno 2004” (sent. Ctr, p. 4). La Ctr riteneva in conseguenza di respingere il ricorso.

Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Milano ha proposto impugnazione per cassazione la società Kompongo, resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. La ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre innanzitutto esaminare la questione preliminare relativa alla tempestività della notifica del ricorso per cassazione all’Agenzia delle Entrate mediante personale UNEP, che sarebbe stato tempestivamente investito della notifica e sarebbe incorso in errore. La ricorrente domanda affermarsi la regolarità della notifica, tempestivamente coltivata, e comunque concedersi la remissione in termini. Il problema appare invero superato dal raggiungimento dello scopo (cfr. art. 156 c.p.c., comma 3), essendosi l’Agenzia costituita, articolando compiutamente le proprie difese e senza nulla contestare. Rimane fermo, peraltro, che la contribuente ha provato di avere tempestivamente curato la rinnovazione della notifica (Cass. SU, sent. 24.7.2009, n. 17352, Sez. L., sent. 27.6.2018, n. 16943). Peraltro la ricorrente tempestivamente notificato il ricorso, a mezzo posta, alla Direzione territoriale dell’Agenzia delle Entrate.

Tanto premesso:

1.1. – la società ricorrente, con il suo primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, come conv., nonchè degli artt. 2697 e 2729 c.c., censura la Commissione Tributaria Regionale per aver ritenuto di poter fondare la propria decisione di conferma dell’accertamento tributario in contestazione, basato soltanto su studi di settore, e pertanto in applicazione di mere presunzioni, senza rilevare che l’Agenzia non aveva provveduto ad istaurare con la contribuente un contraddittorio effettivo, bensì soltanto formale, non motivando per quale ragione non intendesse accogliere integralmente i rilievi proposti dalla parte.

1.2. – Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente critica la violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed il vizio motivazionale, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 115 c.p.c. e all’art. 2697 c.c., in cui è incorsa la Commissione Tributaria Regionale impugnata, avendo errato nella valutazione dei “poteri del giudice e disponibilità della prova” (ric., p. 28). La ricorrente lamenta che l’Agenzia si era limitata ad affermare l’insufficienza della ragioni addotte dalla contribuente per sostenere la inapplicabilità degli studi di settore nella misura richiesta, non assolvendo all’onere probatorio su di essa incombente di fornire la dimostrazione dell’erroneità degli argomenti introdotti. Ritenendo che la prova competesse alla parte privata, cui spettava invece provare i soli fatti costitutivi, la Ctr ha alterato il regime legale di ripartizione dell’onere della prova.

1.3. – Con il suo terzo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la ricorrente contesta la nullità della sentenza, e comunque il vizio di motivazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso di pronunciare, e comunque di motivare, circa le proposte domande in materia di mancata istaurazione di un reale contraddittorio tra le parti e di verifica della congruità della dichiarazione dei redditi presentata dalla contribuente in relazione all’anno 2004, “rispetto agli studi di settore dal 2006 al 2008, evoluti rispetto a quelli del 2005” (ric., p. 35).

2.1. – La ricorrente, con il suo primo motivo di ricorso, censura la decisione della Commissione Regionale lombarda per aver ritenuto di confermare un accertamento tributario basato esclusivamente sulle presunzioni semplici desunte dagli studi di settore, omettendo di verificare se l’Ente impositore avesse istaurato con la contribuente un contraddittorio effettivo, e non solo formale, condotta che non aveva consentito alla parte di spiegare con completezza le proprie difese.

Occorre in proposito rilevare, innanzitutto, che il contraddittorio è stato pacificamente istaurato dall’Agenzia delle Entrate, prima dell’invio dell’Avviso di accertamento, avendo l’Ente impositore provveduto ad invitare la contribuente ad esporre le ragioni dello scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello calcolato mediante gli studi di settore. La ricorrente lamenta pertanto che l’Agenzia delle Entrate si sarebbe limitata ad affermare che le ragioni illustrate dalla società apparivano insufficienti, senza esaminarle approfonditamente. Invero, qualora la parte rimanga insoddisfatta delle valutazioni operate dell’Ente impositore in sede di contraddittorio endoprocedimentale, ha la facoltà di criticarle specificamente in sede di ricorso giurisdizionale. Deve pertanto proporre tempestivamente le proprie dettagliate contestazioni innanzi al giudice, e deve poi provvedere, ove ancora insoddisfatta, a riproporle per tempo innanzi ai giudici degli ulteriori gradi del giudizio, non mancando di indicarle specificamente, provvedendo pure a segnalare come abbia provveduto a tempestivamente proporle e diligentemente coltivarle. Nel caso di specie le ragioni proposte dalla contribuente sono state adeguatamente vagliate dall’Ente impositore come dal giudice, tanto è vero che sono state parzialmente accolte in sede di giudizio, sia dall’Amministrazione finanziaria sia dalla Commissione Tributaria Regionale, riducendosi la pretesa tributaria accertata. La parte, quindi, avrebbe dovuto riproporre le proprie specifiche contestazioni, secondo le modalità innanzi indicate, non potendo trovare accoglimento una generica censura rivolta all’operare dell’Agenzia delle Entrate nella fase endoprocedimentale, che neppure la parte indica dettagliatamente quale pregiudizio abbia potuto arrecare alle proprie ragioni difensive.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

2.2. – Mediante il proprio secondo motivo di ricorso, la ricorrente contesta il riparto dell’onere della prova ritenuto legittimo dalla Commissione Tributaria Regionale impugnata. Afferma di avere assicurato la prova dei fatti costitutivi della propria domanda, dimostrando le ragioni dello scostamento tra il reddito dichiarato e quello emergente dagli studi di settore, ed in conseguenza competeva all’Agenzia fornire la prova contraria. In proposito questa Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che “i parametri o studi di settore…rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento”, Cass. sez. 5, sent. 13.7.2016, n. 14288. A questi condivisibili principi, cui si intende assicurare continuità, si è attenuta la Commissione Tributaria Regionale di Milano. Nel caso di specie, infatti, risulta pacifica tra le parti l’applicabilità dello studio di settore individuato dall’Agenzia delle Entrate (SD4OU), e l’Amministrazione finanziaria ha pertanto assolto al proprio onere probatorio. Competeva pertanto alla ricorrente provare le ragioni che inducevano a ritenere, nel singolo caso, che dovessero operarsi delle rettifiche degli esiti, secondo le modalità, che sono state già ricordate esaminando il precedente motivo di ricorso, e non sono però state seguite dalla ricorrente.

Anche il secondo motivo di ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

2.3. – Con il suo terzo motivo di ricorso, la contribuente ripropone le proprie contestazioni in materia di irregolare istaurazione del contraddittorio endoprocessuale, nonchè di omessa verifica di congruità della propria dichiarazione dei redditi, questa volta in relazione ai profili della nullità della sentenza, in conseguenza, a quanto è dato comprendere, di una ritenuta omessa pronuncia, e comunque per effetto del vizio della motivazione.

Le critiche proposte appaiono in parte inammissibili, e per la parte rimanente risultano infondate.

Nella sua pur succinta motivazione, la Commissione Tributaria Regionale dà atto della istaurazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Agenzia delle Entrate, oltre che, naturalmente, del successivo contraddittorio processuale, ed espone anche le valutazioni che l’hanno indotta a non accogliere le censure di merito proposte dalla odierna ricorrente, ritenute non provate. Non sussiste, in conseguenza, un vizio di omessa pronuncia. La parte avrebbe dovuto provvedere alla critica della decisione impugnata e, occorre ripetere anche a questo proposito, avrebbe dovuto riproporre in sede di legittimità gli argomenti che la inducevano a ritenere giustificato lo scostamento, obiettivamente rilevato, tra la dichiarazione dei redditi presentata ed i valori risultanti dagli studi di settore, provvedendo anche ad indicare quando le contestazioni fossero state introdotte e con quali formule, in modo da consentire alla Corte di legittimità di esprimere il giudizio che le compete circa la tempestività e congruità degli argomenti proposti, oltre che sulla loro decisività A tali canoni di contestazione la parte non si è attenuta, non potendo soccorrere in proposito l’ampio elenco di allegati che la ricorrente ha ritenuto di far seguire al ricorso, non essendo compito della Suprema Corte esaminare ogni produzione della parte al fine di riscoprire se nei documenti allegati possano rinvenirsi argomenti sufficienti a ritenere che la stessa abbia diligentemente assolto ai propri oneri di contestazione.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come quantificate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto dalla Kompongo Srl, in persona dei legali rappresentanti pro-tempore, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita controricorrente Agenzia delle Entrate, e le liquida nella misura di Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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