Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3228 del 10/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/02/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 10/02/2021), n.3228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosina – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Marcello – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24203/12 R.G., proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dall’avv.to Cantelli

Salvatore, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Roma, Via Pietro della Valle, n. 1, in virtù di mandato in margine

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso sentenza Commissione tributaria regionale del Lazio n.

259/37/2012, depositata il 04/12/2012, non notificata;

udito, per il ricorrente, l’Avv.to Cantelli Salvatore che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso;

udito, per l’Avvocatura generale dello Stato, l’Avv. Valenzano

Emanuele, che ha concluso riportandosi al controricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

Stanislao De Matteis, che ha concluso per il rigetto del primo,

secondo, terzo e settimo motivo (per quanto non assorbito: parte

relativa alle sanzioni), per l’accoglimento del quarto (per quanto

di ragione) e quinto motivo, con assorbimento del sesto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La controversia trae origine da una verifica fiscale, per l’anno 2005, eseguita nei confronti di C.A., avvocato. Durante la verifica, venivano eseguiti accertamenti bancari nei suoi confronti, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7, sulla base di autorizzazione del direttore regionale e successivo invito al contraddittorio. All’esito, l’Ufficio riteneva che delle movimentazioni di accredito non fosse stata data adeguata giustificazione ed emetteva avviso di accertamento n. TK3013206385, con il quale venivano contestati maggiori Irpef, Irap ed i Iva e venivano irrogate sanzioni pecuniarie.

2. Il contribuente impugnava l’avviso, sia per questioni formali che sostanziali, innanzi alla Commissione provinciale di Roma che respingeva tutti i motivi di contestazione e confermava l’avviso di accertamento.

3. Il contribuente proponeva appello.

4. La Commissione tributaria regionale (di seguito, CTR) respingeva l’appello del contribuente.

5. Il contribuente ha proposto ricorso in cassazione affidandosi a sette motivi.

6. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

7. Il P.G. ha presentato conclusioni scritte in forma di memoria.

8. Il contribuente ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Le considerazioni preliminari del ricorrente circa la non applicabilità al processo tributario dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono prive di pregio.

E’ principio consolidato di questa Corte (cfr., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) che “le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributarla, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito”.

1.1. E’ infondata, altresì, l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dall’Agenzia delle entrate, per la “pedissequa ripetizione dei motivi, in fatto ed in diritto, già esposti nei precedenti gradi di giudizio”, considerato che l’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, è applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai soli giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 mentre, nel caso in esame, il ricorso in appello risulta depositato in data 24/04/2012; inoltre, il ricorso appare adeguato al principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c..

2. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente, esercente la professione di avvocato, deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, art. 112 c.p.c., artt. 24 e 11 Cost., art. 2697 c.c.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia, ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nuova formulazione, l’omesso esame di fatti controversi e decisivi; le diverse censure contenute nell’unico mezzo riguardano tutte la circostanza che la CTR avrebbe omesso di elencare, nello svolgimento del processo, e di valutare a favore del ricorrente, gli elementi indiziari indicati a pag. 42 del ricorso.

2.1. La censura è inammissibile per mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione tra loro eterogenei (dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, all’error in procedendo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), che non consentono a questo giudice di legittimità di isolare le singole censure proposte al fine di ricondurle a ciascuno dei diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c. e, quindi, alle conseguenziali (ma tra loro incompatibili) decisioni (cfr., ex plurimis, Sez. 1, Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018). L’esposizione del mezzo, per quanto articolata (da pag. 24 a 44 del rìcorso) e per quanto riferita a specifici “righi” della motivazione della sentenza impugnata, non aiuta, richiedendo, inammissibilmente, a questo giudice il compìto di dare ex novo forma e contenuto giuridici alle lagnanze proposte al fine di decidere su di esse. Peraltro, pur tentando la separazione delle censure, esse sono state prospettate sotto profili tra loro incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.

2.2. Per giurisprudenza unanime di questa Corte il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte dal R.D. 30 gennaio 1941) mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato, dunque, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 6813 del 20/03/2009). Inoltre, giacchè il ricorrente deduce il vizio di motivazione in base al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avrebbe dovuto specificare la decisività del fatto non preso in considerazione dal giudice di merito e che, se preso in considerazione avrebbe determinato un esito della controversia favorevole al contribuente.

3. Con il secondo motivo di ricorso (v. pag. 44 e ss.) il ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51,L. n. 212 del 2000, art. 7, artt. 2 e 15 CEDU), perchè la Commissione regionale non ha ritenuto che l’autorizzazione allo svolgimento delle indagini bancarie dovesse essere adeguatamente motivata. Per la stessa questione (adeguata motivazione dell’autorizzazione all’indagine bancaria), deduce, altresì, l’insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi e la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5.

3.1. Il mezzo è infondato sotto tutti i profili di illegittimità denunciati. La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi in materia secondo cui “in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, ma anche in quanto la medesima, nonostante il “nomen iuris” adottato, esplica una funzione organizzativa, incidente solo nei rapporti tra uffici, ed ha natura di atto meramente preparatorio, con la conseguenza che non è qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali è previsto, rispettivamente, dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, e dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, un obbligo di motivazione” (così, Sez. 5, Ordinanza n. 19564 del 24/07/2018; id., Sez. 5, Sentenza n. 14206 del 03/08/2012; Sez. 5, Ordinanza del 04/05/2010 n. 10675, non massimata).

4. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’Agenzia delle entrate avesse “validamente dimostrato ogni punto della controversia” e che “dai documenti prodotti dalle parti si evince che trattasi di accertamento delle 2005 scaturito da un controllo bancario sul conto corrente del contribuente svolgente attività di avvocato (…) per movimentazioni bancarie di cui il contribuente non ha fornito all’ufficio sufficienti documenti validi circa la provenienza dei versamenti e dei pagamenti, dichiarando invece sulla dichiarazione dei redditi professionali Euro 1.679,00, a fronte di beni strumentali per Euro 19.000,00 e spese per immobili per Euro 23.315,00” per essere una motivazione erronea, insufficiente, omessa in relazione a fatti decisivi per il giudizio e controversi tra le parti. Anche tale motivo è prospettato, in relazione alll’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

4.1. La questione posta alla base del motivo di ricorso riguarda essenzialmente l’applicazione delle norme che, nel processo tributario, governano la fase istruttoria e la selezione del materiale probatorio rilevante ai fini della decisione e, in particolare, di quelli portati a giustificazione dal contribuente, se idonei, o non, a scalfire le presunzioni poste base dell’accertamento.

4.2. Il motivo è infondato sotto tutti e tre i profili di censura evocati. Va premesso che l’accertamento fiscale fondato sulle indagini bancarie prescinde dalla regolarità della contabilità e dalla sussistenza dei requisiti per la rettifica induttiva, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, (e, per l’IVA, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare.

4.3. Con riguardo agli accertamenti bancari e del regime probatorio che ne deriva, questa Corte ha da tempo chiarito che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili” (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 18081 del 04/08/2010; adde Sez. 5, Sentenza n. 15857 del 29/07/2016 e, recentemente, Sez. 5, Ordinanza n. 24422 del 05/10/2018).

4.4. Ciò comporta che, in materia di accertamenti bancari, grava sul contribuente l’onere probatorio di superare la presunzione legale posta dalla disposizione normativa in esame a favore dell’Erario – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. – offrendo non una prova generica, ma una prova analitica (sul punto, Sez. 5, Sentenza n. 26111 del 30/12/2015) idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, mediante indicazione specifica delle diverse cause giustificative delle singole operazioni effettuate e della loro estraneità a fatti imponibili (cfr., Sez. 5, n. 26111 del 2015, cit.; Sez. 5, Sentenza n. 16896 del 24/07/2014; Sez. 5, Sentenza n. 1418 del 22/01/2013; Sez. 65, Ordinanza, n. 10480 del 03/05/2018).

4.5. All’onere probatorio incombente sul contribuente corrisponde speculare l’obbligo del giudice di merito di operare una verifica puntuale dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione delle singole movimentazioni contestate e, quindi, di dare conto in sentenza delle risultanze di detta verifica (cfr., ex plurimis, tra le più recenti, Sez. 5, Sentenza n. 9903 del 27/05/2020).

4.6. La motivazione della sentenza della CTR, per quanto sintetica, ha fatto riferimento agli elementi indiziari presi in considerazione per ritenere fondata la pretesa fiscale dell’amministrazione e, quindi, al mancato superamento, da parte del contribuente, del quadro presuntivo posto alla base dell’accertamento, sicchè non risulta censurabile nè sotto il profilo di violazione di legge, nè di error in procedendo nè di carenza di motivazione; in particolare, la CTR non si è limitata a fare riferimento alla divergenza tra la dichiarazione dei redditi professionali (Euro 1.679,00) e le spese per i beni strumentali (Euro 19.000,00) e per immobili (Euro 23.315,00), ma ha evidenziato assolvendo così al suo speculare dovere di verifica analitica- che il contribuente non era stato in grado di diversamente provare l’afflusso di danaro sul suo c/c, dove tra l’altro erano confluiti cinque assegni dell’importo di Euro 7.515,00 ciascuno. Va da sè, che tali argomentazioni, escludono anche il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione.

5. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione di legge e l’omessa motivazione su fatti decisivi e controversi nella parte in cui i secondi giudici hanno ritenuto: a) legittimo l’accertamento dell’Ufficio che si è avvalso della presunzione legale relativa, in violazione dell’art. 2729 c.c., comma 2, che non ammette l’uso delle presunzioni ove non è possibile l’espletamento di prova testimoniale, giusta il divieto D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 4; b) per motivazione insufficiente ed illogica in relazione alle giustificazioni addotte dal contribuente sui rilievi di cui ai numeri 19-2-9-31-42-52-53-62-66-102 e 115 per un totale di Euro 36.000,00 riguardanti la restituzione di prestito effettuato nei confronti della sorella e del cognato (dichiarazione sostitutiva di atto notorio di C.A., atto notarile attestante l’elargizione di somme a prestito); c) per l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti riguardanti i bonifici disposti dal sig. Pi.Al., da P.A., nonchè la richiesta fatta alla Banca Unicredit per la causale dei versamenti di Euro 7.515,00.

5.1. Con il quinto motivo il ricorrente riprende la censura sub c) di cui al quarto mezzo, denunciando l’omesso esame della documentazione prodotta dal ricorrente per mostrare l’estraneità dei versamenti contestati all’attività professionale, oggetto di discussione tra le parti (copia libro beni strumentali, registro iva, fotocopia CUD 2004, quale riscontro oggettivo alla dichiarazione per atto notorio di C.A., originale dichiarazione sostitutiva di P.A., richieste alla Banca Unicredit di fornire fotocopie degli assegni versati per un importo di Euro 7.515,00, dichiarazione sostitutiva di atto notorio di C.L., etc.).

5.2. I due mezzi, in quanto contenenti frammentazione di una stessa censura, vengono esaminati congiuntamente.

5.3. La doglianza, contenuta nel quarto mezzo, relativa alla violazione del divieto D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 4, non è fondata atteso che “nel processo tributario, il ricorso alle presunzioni è ammissibile tanto in materia di tributi erariali che di tributi dell’ente locale, essendo positivamente esclusi dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 solo il giuramento e la prova testimoniale; il divieto di ammissione di quest’ultima, infatti, non comporta la conseguente inammissibilità della prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., comma 2, in quanto detta norma, stante la natura della materia ed i mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario” (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 7509 del 15/04/2016).

5.4. Fondato, invece, è il profilo di censura di cui al quarto motivo riguardante l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, così come è fondato il quinto motivo sull’omesso esame di documentazione oggetto di discussione tra le parti.

5.5. Sulla necessità di una valutazione analitica delle movimentazioni bancarie da parte del giudice di merito, si è detto innanzi che questa Corte si è più volte espressa ritenendo che se debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi, è pur vero che, a fronte dell’analiticità nella deduzione del mezzo di prova o comunque delle allegazioni difensive da parte del contribuente debba corrispondere speculare analiticità da parte del giudice nell’esaminare quanto dedotto e documentato (cfr., Sez.5, Ordinanza n. 30786 del 28/11/2018; con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, cfr., Sez. 5, Sentenza n. 15217 del 12/09/2012; Sez. 5, Sentenza n. 1418 del 22/01/2013; Sez. 5, Ordinanza n. 6595 del 15/03/2013; Sez. 5, Sentenza n. 21303 del 18/09/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 20668 del 01/10/2014).

5.6. Ovviamente, in mancanza di espresso divieto normativo ed in ossequio al principio di libertà dei mezzi di prova, al contribuente è consentito fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici (Sez. 5, Sentenza n. 9903 del 27/05/2020), dovendo in questo caso il giudice di merito “individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (così, Sez.5, n. 11102 del 5/5/2017, richiamata da Sentenza n. 9903 del 27/05/2020).

5.7. Alla luce dei suddetti principi, non v’è dubbio che la CTR abbia trascurato l’esame e la valutazione analitica delle movimentazioni bancarie oggetto di accertamento in rapporto agli ulteriori elementi presuntivi apportati dal contribuente a giustificazione delle operazioni bancarie contestate (v. pag. 70-73 del ricorso – quarto motivo – e pag. 85-90 -quinto motivo), avendo ritenuto, con valutazione apodittica e generica, che l’Agenzia avesse “validamente dimostrato ogni punto della controversia”, incorrendo in tal modo in “un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè” (così, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014″.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente censura la motivazione dei secondi giudici sulla ripresa Irap, nella parte in cui, con motivazione generica ed apodittica, hanno ritenuto la sussistenza di una professione “non saltuaria” e con “spese sostenute eccessive” senza indagare sulla sussistenza di un’autonoma organizzazione e, quindi, sugli elementi di fatto offerti dal contribuente.

6.1. Il mezzo è fondato. In tema di Irap, è orientamento costante di questa Corte che allorquando il contribuente eserciti

attività di lavoro autonomo, il requisito

dell’autonoma organizzazione è presupposto d’imposta (Irap) che ricorre laddove il contribuente a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione senza essere inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo rid quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 18749 del 05/09/2014).

6.2. Nonostante gli elementi circostanziali addotti nella fase di merito da Antonio Cantelli, avvocato, per provare l’insussistenza dei presupposti legittimanti l’imposizione (mancanza di dipendenti, mancanza di collaboratori, esiguità dei beni strumentali costituiti da una stampante, un’auto ed un computer, esiguità del valore di ammortamento dei beni strumentali, locazione dei locali adibiti a studio in e destinazione di parte di essi in comodato gratuito al figlio), la CTR si è limitata ad enunciare il giudizio finale della sua valutazione (così è affermato in motivazione: “ai fini Irap si nota uno svolgimento della professione non in maniera saltuaria, ma a tempo pieno e delle spese sostenute eccessive che denotano un’attività congrua e sufficiente a motivare l’Ufficio nella quantificazione dell’accertamento”), senza descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla situazione di iniziale di ignoranza dei fatti di causa alla decisione finale con la quale si è affermata la sussistenza dell’autonoma organizzazione, con ciò incorrendo nel vizio motivazionale denunciato dal ricorrente (sul contenuto statico e dinamico della motivazione, cfr., Sez. 65, Ordinanza n. 15694 del 29/07/2016).

7. Col settimo motivo il ricorrente articola più censure con le quali si duole, in primo luogo, dell’errore dei secondi giudici che hanno preso in considerazione le controdeduzioni dell’Agenzia delle entrate sebbene depositate tardivamente; in secondo luogo, della nullità dell’accertamento perchè il funzionario che l’ha firmato non aveva la qualifica di direttore e perchè non sarebbe stata allegata la delega ma un mero provvedimento organizzativo; inoltre, della mancanza di presupposti per l’accertamento, essendo la segnalazione di provenienza di un ufficio, quello di Faenza (che stava verificando la posizione di Lori Capirossi), che non aveva alcuna competenza sul contribuente residente a Roma, ancora, del fatto che la CTR avrebbe confermato l’accertamento ritenendo che i versamenti risultanti dal c/c erano compensi, senza porre tali versamenti a base dell’accertamento infine, censura la sentenza quanto al profilo delle sanzioni irrogate nella misura di Euro 30.621,00

7.1. Le doglianze prospettate sono tutte infondate.

7.2. Quanto al profilo riguardante la tardività delle controdeduzioni, va considerato che nel processo tributario la tardiva costituzione in giudizio dell’appellato – sia per quanto stabilito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 54 del e sia per l’operare in via residuale delle disposizioni del codice di procedura civile – non comporta, stante il principio di tassatività delle relative cause, alcuna invalidità ma soltanto la decadenza della parte dalla facoltà di svolgere le attività processuali eventualmente precluse (cfr.,Sez. 5, Ordinanza n. 14638 del 29/05/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 947 del 16/01/2019). Nè, d’altronde, risulta dedotto che l’Ufficio abbia svolto attività precluse.

7.3. Quanto al secondo profilo di censura riguardante la delega di firma del funzionario, è pacifico che tale doglianza sia stata proposta solo in appello sicchè, correttamente, la CTR non ha giudicato sul punto, posto che il vizio denunciato (v. pag. 102 del ricorso) non determina la nullità dell’accertamento e non è rilevabile d’ufficio (sull’inammissibilità del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 22810 del 09/11/2015 e Sez. 5, Ordinanza n. 12313 del 18/05/2018; sulla legittimazione della sottoscrizione dell’atto di appello da parte di un funzionario di ufficio periferico non munito di delega e sulla non rilevabilità d’ufficio, cfr., ex plurimis, Sez. 5, Ordinanza n. 2901 del 31/01/2019, secondo cui si tratta di circostanza che deve essere eccepita dal contribuente, dovendosi in mancanza presumere che l’atto provenga dal soggetto legittimato e ne esprima la volontà).

7.4. In ogni caso, la doglianza risulta infondata anche nel merito, stante gli esiti della giurisprudenza sul punto, che qui si condividono e fanno propri, secondo cui “in tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito nella L. n. 44 del 2012.” (così, Sez. 5, n. 22810 del 2015, cit.). Risulta, inoltre, prodotto lo stralcio dell’atto di delega, ovverosia della disposizione di servizio n. 1/2010.

7.5. Quanto al profilo di censura riguardante la segnalazione di provenienza dell’Ufficio di Faenza e non di Roma ove era residente il contribuente, anch’essa è infondata posto che in materia di accertamento sintetico delle imposte sui redditi, la perfezione e la validità del procedimento di rettifica non sono inficiate dal fatto che la segnalazione all’ufficio fiscale competente sia di provenienza di altro ufficio incompetente. Ed invero, la validità dell’accertamento tributario non può essere legata alla fonte “territoriale” della segnalazione, non sussistendo alcuna specifica previsione che vieta di considerare il valore indiziario di elementi acquisiti attraverso le varie diramazioni territoriali degli uffici dell’erario.

7.6. Anche l’ulteriore profilo di censura relativo alla presunzione – applicata dai secondi giudici – dei versamenti risultanti dal conto corrente come compensi, non è fondata.

7.7. E’ pacifico che, con l’avviso di accertamento, l’ufficio aveva recuperato a tassazione una serie di operazioni bancarie (sia versamenti, che prelevamenti) relative al conto corrente dell’avv.to Cantelli, quali compensi conseguiti nella sua attività di libero professionista, così come, all’epoca dell’accertamento (come pure all’epoca della pubblicazione della sentenza della CTR), consentiva l’originaria previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui “alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

7.8. Tuttavia, con la sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, tale disposizione è stata dichiarata illegittima limitatamente alle parole “o compensi”, ritenendosi che la presunzione posta dalla norma con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi (e quindi dei liberi professionisti come gli avvocati) fosse lesiva del principio di ragionevolezza, nonchè della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questa, a sua volta, sia produttivo di reddito.

7.9. Di conseguenza, essendo venuta meno, per effetto della pronuncia d’incostituzionalità, l’equiparazione tra attività d’impresa ed attività professionale, è definitivamente caduta la presunzione di cui alla disposizione previgente – di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, spostandosi sull’Amministrazione erariale l’onere di provare che l’prelevamenti siano stati utilizzati dal professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito col conseguimento di ricavi. Viceversa, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, con riferimento ai versamenti effettuati sul conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo (cfr., Sez. 6-5, Ordinanza n. 7951 del 30/03/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 22931 del 26/09/2018), sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale ma limitatamente ai prelevamenti (legata all’unica modifica di carattere sostanziale apportata al testo previgente della L. n. 311 del 2014, art. 32 dall’art. 1, comma 402, riguardo all’equiparazione dei compensi ai ricavi).

8. La censura riguardante le sanzioni, resta assorbita dall’accoglimento del quarto e quinto motivo.

9. In conclusione, il ricorso va accolto per quanto in motivazione (rigetto del primo, secondo, terzo, e settimo motivo di rcorso ed accoglimento del quarto, per quanto di ragione, del quinto e del sesto), con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR del Lazio, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia e, quindi, alla valutazione della prova contraria, ove offerta dal contribuente, idonea a superare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32; la CTR è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2021

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