Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32274 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 13/12/2018, (ud. 03/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21326/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

– controricorrente incidentale –

contro

L’Immobile s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via (Ndr: testo originale non

comprensibile), presso lo studio dell’avv. Mario Piselli, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. Giovanni Boldrini giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche n. 15/09/10, depositata il 15 giugno 2010.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 ottobre

2018 dal Cons. Giacomo Maria Nonno.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 15/09/10 del 5 giugno 2010, la CTR delle Marche ha respinto l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 138/03/06 della CTP di Pesaro, che aveva accolto il ricorso de La Fenice s.r.l. (oggi incorporata ne L’Immobile s.r.l.) avverso l’avviso di accertamento a fini IRPEG, IRAP ed IVA relativo all’anno d’imposta 2001;

1.1. come si evince dalla sentenza della CTR e dalle difese delle parti: a) la vicenda trae origine da una verifica fiscale nel corso della quale era emersa l’inattendibilità delle scritture contabili e l’irregolarità fiscale di una specifica operazione commerciale, consistita nell’acquisto, in sede di concordato fallimentare, di due immobili, entrambi in (OMISSIS) (terreno edificabile e discoteca), per il prezzo di Lire 2.733.977.500 ciascuno, oltre IVA, nonchè nella rivendita, avvenuta nello stesso anno, del solo immobile adibito a discoteca allo stesso prezzo di acquisto; b) l’Amministrazione finanziaria contestava, in primo luogo, che l’oggetto sociale della società verificata era costituito, tra l’altro, dall’acquisto e dalla vendita di fabbricati, ragion per cui i menzionati immobili non potevano essere considerati immobilizzazioni, ma beni merce, con conseguente realizzazione di ricavi non dichiarati; c) secondariamente, l’Agenzia delle entrate evidenziava che la vendita dell’immobile adibito a discoteca allo stesso prezzo di quello di acquisto era del tutto inverosimile, rendendo l’operazione antieconomica, sicchè doveva applicarsi il ricarico medio normalmente praticato (nove per cento), con conseguente valore stimato di Lire 3.000.000.000; d) la CTP accoglieva il ricorso della società contribuente; e) l’Agenzia delle entrate proponeva appello davanti alla CTR;

1.2. la CTR respingeva il ricorso erariale osservando che: a) i due elementi addotti dall’Agenzia delle entrate per supportare l’accertamento non erano decisivi: il contratto preliminare di vendita della discoteca prevedeva, infatti, un prezzo non superiore a Lire 3.000.000.000, ma detto prezzo poteva anche essere inferiore; così l’indicazione, in sede assembleare, di un prezzo di vendita dello stesso bene non inferiore a Lire 3.000.000.000 costituiva un evidente errore, riconoscibile in relazione al contratto preliminare di vendita già stipulato; b) la ricostruzione dell’Agenzia delle entrate a supporto dell’accertamento era plausibile, tuttavia non erano “rinvenibili nella dedotta fattispecie quegli elementi, gravi, precisi e concordanti richiamati dalla nota giurisprudenza in materia”; c) l’operazione condotta a termine dalla società contribuente era legittima anche in presenza di un acquisto con successiva vendita senza margine di guadagno, atteso che “la convenienza dell’investimento e la possibilità di reali2zare un buon margine di lucro è riferito, essenzialmente, all’acquisto del secondo bene, che integra ed anzi è parte preminente dell’intera operazione”; d) la circostanza, poi, che era stata compiuta una sola operazione di acquisto e rivendita poteva “accadere, comunque, in simili e complesse situazioni”;

2. avverso la menzionata sentenza, l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, e depositava memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;

3. la società contribuente resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con l’unico motivo di ricorso principale l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, evidenziando che i giudici di appello non hanno sufficientemente argomentato in ordine all’antieconomicità dell’operazione per come posta in risalto dall’Agenzia delle entrate, di per sè idonea a giustificare l’accertamento (induttivo), tenuto anche conto del fatto che la vendita dell’ulteriore terreno acquisito non si è realizzata e che non sono stati adeguatamente considerati gli ulteriori elementi forniti dalla Agenzia delle entrate (discordanza tra il prezzo di vendita pattuito nel preliminare e quello indicato dal verbale di assemblea della società);

2. il motivo presenta un duplice profilo di inammissibilità;

2.1. in primo luogo, nella parte in cui sostanzialmente si denuncia la non corretta applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, comma 2, il motivo non coglie la ratio decidendi e, comunque, avrebbe dovuto essere formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

2.2. invero, un’attenta lettura della sentenza impugnata porta a concludere che la CTR abbia ritenuto la sussistenza dei presupposti per l’emissione dell’avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, evidenziando la fondatezza dei “dubbi” espressi da quest’ultima sulla legittimità dell’operato della società contribuente;

i giudici di appello hanno, peraltro, ritenuto che la ricostruzione dei fatti proposta dalla società contribuente sia idonea a superare la presunzione posta a fondamento dell’accertamento induttivo, avendo quest’ultima giustificato la denunciata antieconomicità dell’operazione posta in essere;

2.3. ove la sentenza non debba interpretarsi nel senso indicato, in ogni caso ricorrerebbero i presupposti della falsa applicazione delle disposizioni sopra richiamate, sicchè l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto denunciare la circostanza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e non con una censura motivazionale;

2.4. in secondo luogo, deve sottolinearsi che, come stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. S.U. n. 24148 del 25/10/2013);

2.5. nella specie, la CTR ha esaminato tutti gli elementi di fatto indicati dall’Agenzia delle entrate a sostegno della antieconomicità dell’operazione posta in essere da La Fenice s.r.l. e li ha confutati con affermazioni pienamente logiche e coerenti, sicchè, in assenza di elementi non valutati, il motivo dedotto dalla ricorrente finisce per risolversi in una (inammissibile) richiesta di una nuova valutazione di merito rispetto a quella proposta dai giudici di appello;

3. con il motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che l’avviso di accertamento non soddisfa gli obblighi motivazionali previsti dalla legge, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dalla CTR;

4. il motivo resta assorbito in ragione del rigetto del motivo principale proposto dalla ricorrente;

5. in conclusione, il ricorso principale va rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale; la ricorrente va, altresì, condannata a rifondere alla controricorrente le spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore della lite dichiarato di Euro 152.458,33.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del quindici per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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