Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32263 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5078-2018 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.S.G., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FERDINANDO SALMERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3920/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/08/2017 R.G.N. 4303/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per inammissibilità;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO;

udito l’Avvocato FERDINANDO SALMERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 3920 del 31.8.2017 la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede e in sede di riassunzione a seguito di rinvio da parte di questa Corte (sentenza n. 16465 del 2015) ha accolto il ricorso proposto da D.S.G. inteso ad ottenere la dichiarazione dell’illegittimità del licenziamento intimato con lettera del 4.12.2012 da Trenitalia s.p.a. per aver presentato certificati medici di malattia per i periodi dapprima dal (OMISSIS) e poi sino al (OMISSIS) nonostante svolgimento di attività extralavorativa (pesca subacquea in apnea per due volte e per alcune ore) incompatibile con il pieno recupero delle energie psico-fisiche.

Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale ha ritenuto che l’infrazione disciplinare addebitata al lavoratore fosse contemplata dal c.c.n.l. applicato in azienda tra le condotte punite con sanzione conservativa, prevedendo l’art. 60 del contratto collettivo – la sospensione dal servizio e dalla retribuzione da uno a quattro giorni sia per i comportamenti che “in genere, per negligenza oppure per inosservanza di leggi o regolamenti o degli obblighi di servizio (che) abbiano recato pregiudizio al servizio stesso, alla regolarità dell’esercizio o agli interessi dell’azienda o vantaggio per sè o per terzi”, sia per la simulazione della malattia.

La società Trenitalia s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a sei motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo si lamenta violazione falsa applicazione dell’art. 2110 c.c., dell’art. 111Cost., comma 6, art. 132c.p.c., art. 118 dis. att. c.p.c. nonchè illogicità della motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) avendo, la Corte, trascurato che la malattia non va identificata con qualunque patologia del soggetto bensì con quegli stati patologici incompatibili con la prestazione lavorativa e che, pertanto, l’addebito disciplinare contestato al D.S. era quello della insussistenza della malattia, a fronte dell’accertamento effettuato dal consulente tecnico d’ufficio che aveva rilevato come una “non perfetta condizione ileo-colica non può essere compatibile con l’attività di pesca subacquea”.

2. – Con il secondo motivo si lamenta violazione falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte, erroneamente attribuito alla lettera di contestazione disciplinare un significato restrittivo, escludente l’ipotesi della “assenza ingiustificata dal servizio di sei giorni solari lavorativi consecutivi” ed applicando, in maniera fuorviante, il principio di immutabilità della contestazione che riguarda i fatti materiali e non la qualificazione giuridica della condotta del lavoratore.

3. – Con il terzo motivo si lamenta violazione falsa applicazione degli artt. 60, 63, 64 del c.c.n.l. Mobilità/Area contrattuale Attività Ferroviarie 20.7.2012, 2119 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte, trascurato che la condotta contestata al D.S. era quella della mancata prestazione lavorativa per un determinato arco temporale (punita dall’art. 63 del c.c.n.l. con la sanzione del licenziamento senza preavviso), rappresentando – la simulazione della malattia solamente lo strumento attraverso il quale la condotta era stata realizzata.

4. – Con il quarto motivo si lamenta violazione falsa applicazione degli artt. 60 e 63 del c.c.n.l. Mobilità/Area contrattuale Attività Ferroviarie 20.7.2012 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte, erroneamente interpretato le clausole collettive ricollegando, illogicamente, la sanzione espulsiva del licenziamento ad una condotta (assenza ingiustificata di sei giorni consecutivi) oggettivamente e soggettivamente meno grave rispetto a quella ritenuta punita con sanzione conservativa (assenza a seguito di un atteggiamento fraudolento consistente nella simulazione di una malattia).

5. – Con il quinto motivo si lamenta violazione falsa applicazione degli artt. 60 e 64 del c.c.n.l. di settore, 2119 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte, trascurato che la condotta tenuta dal D.S., valutata in concreto da un punto di vista soggettivo ed oggettivo, integrava – per la violazione dei principio di buona fede e correttezza – sia la nozione legale di giusta causa sia la previsione della contrattazione collettiva che ricollega il licenziamento a “fatti o atti dolosi commessi in occasione del rapporto di lavoro anche nei confronti di terzi, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro”.

6. Con il sesto motivo si lamenta violazione falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte, sussunto la fattispecie concreta nella previsione, avente formula generica e di chiusura della disciplina negoziale dettata dal codice disciplinare, dell’art. 60 c.c.n.l., e, dunque, trascurato che l’applicazione della tutela reintegratoria richiede la stretta, analitica, tipizzazione della condotta punita con sanzione conservativa.

7. Il ricorso è inammissibile per tardiva proposizione del ricorso per cassazione.

Come indicato dallo stesso ricorrente, la sentenza della Corte distrettuale è stata comunicata alla società, via pec, il 31.8.2017 e il ricorso per cassazione è stato notificato dalla medesima società al D.S. (nel domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ferdinando Salmeri) il 9.2.2018, ossia oltre il termine di 60 giorni.

Deve, pertanto, dichiararsi l’inammissibilità per tardività dell’impugnazione in quanto trattandosi di controversia che è stata trattata, sin dal primo grado, secondo il rito c.d. Fornero – anche il giudizio di rinvio continua ad essere disciplinato dal rito speciale, con conseguente applicazione del termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62.

Questa Corte ha già ripetutamente affermato che ogni qual volta sia azionata dal lavoratore una impugnativa di licenziamento che postuli l’applicabilità delle tutele previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 deve trovare ingresso il procedimento speciale previsto dalla L. n. 92 del 2012 ed il principio va ribadito con riguardo a tutte le fasi e i gradi del relativo giudizio, compreso il giudizio di rinvio che rappresenta una fase (seppur autonoma) dell’originario processo civile. Invero, in tal caso, il processo prosegue davanti al giudice designato dalla Corte di Cassazione, come previsto dall’art. 383 c.p.c.

La coerenza ordinamentale del principio innanzi affermato è confermata dalle numerose statuizioni di questa Corte assunte in materia procedimentale, ad esempio con particolare riferimento al principio della ultrattività del rito: il mutamento del rito con cui il processo è stato (seppur erroneamente) iniziato compete, invero, esclusivamente al giudice e ciò sulla scorta del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice (cfr., da ultimo, Cass. nn. 21632 e 210 del 2019; Cass. n. 20705 del 2018; in materia di rito Fornero, cfr. Cass. n. 25553 del 2016).

Inoltre, secondo costante insegnamento dottrinale e consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass. n. 5137 del 2019; Cass. n. 7506 del 2017; Cass. n. 18600 del 2015; Cass. nn. 26200 e 23073 del 2014), il giudizio di rinvio cristallizza la posizione processuale delle parti, essendo considerato un “processo chiuso”, con conseguente inalterabilità dei termini della controversia così come sviluppata nei precedenti gradi di giudizio e fissata dalla sentenza di cassazione in rapporto ai medesimi.

La comunicazione, da parte della cancelleria, della sentenza della Corte distrettuale, come previsto – a pena di decadenza – della L. n. 92 del 2012, fa, dunque, decorrere il termine breve di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione (cfr., con riguardo al dies a quo del termine di trenta giorni per la proposizione del reclamo, Cass. n. 14098 del 2016, confermata successivamente da Cass. n. 19862 del 2018) e ciò vale altresì nel caso in cui la pronunzia della Corte di appello sia emessa nel giudizio rescissorio che segue al giudizio rescindente che ha cassato la sentenza precedentemente emessa in sede di reclamo.

Invero, al pari di quanto questa Corte ha già affermato con riguardo al termine di trenta giorni per il reclamo di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, il termine di sessanta giorni dettato dal successivo comma 62 per proporre ricorso per cassazione decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell’art. 133 c.p.c., comma 2, nella parte in cui stabilisce che “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c”, in quanto attinente al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria (Cass. n. 6059 del 2018).

Non appare convincente il richiamo, effettuato dalla società al fine di invocare l’applicazione dei termini ordinari che regolano le impugnazioni, della disposizione, dettata nell’ambito dei principi generali, che regola il giudizio di rinvio (l’art. 392 c.p.c., che prevede un termine di tre mesi per la riassunzione del giudizio in sede rescissoria), posto che – come già affermato da questa Corte – la L. n. 92 del 2012 ha introdotto un nuovo rito speciale, la cui disciplina deve essere osservata senza possibilità di deroga dai principi generali dell’ordinamento, salvo – peraltro – la necessità di integrazione del rito nel caso di lacuna del dettato normativo (cfr. Cass. 23021 del 2014, in ordine alla possibilità di integrare la disciplina del reclamo con quella dell’appello nel rito del lavoro; Cass. n. 14098 del 2016, che esclude l’applicazione del principio generale dettato dall’art. 429 c.p.c., comma 1, della pubblicazione della sentenza tramite lettura del dispositivo in udienza). L’applicazione del termine dettato dall’art. 392 c.p.c. per l’instaurazione del giudizio di rinvio è, dunque, consentita unicamente ai fini di colmare la lacuna del dettato normativo predisposto per il rito speciale, che rimane il procedimento da applicare a tutti i giudizi (ossia a tutte le sue fasi e gradi) che hanno ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti ove si invoca l’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18.

8. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite sono liquidate in dispositivo in ossequio al principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi a favore del difensore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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