Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32262 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29634-2017 proposto da:

ISTITUTO FISIOTERAPICO S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI

68, presso lo studio dell’avvocato RAOUL BARSANTI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI

12, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MARIA CUTOLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSIO NOBILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4112/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/10/2017, R. G. N. 5719/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato FABRIZIO DE ANGELIS per delega verbale avvocato

RAOUL BARSANTI;

udito l’Avvocato ALESSIO NOBILE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 5.10.2017, la Corte d’appello di Roma riformava parzialmente la sentenza del Tribunale capitolino e, per l’effetto, confermata la dichiarazione di nullità del licenziamento orale intimato dall’Istituto Fisioterapico s.r.l. ad A.A. il 28.1.2010, condannava la società datrice di lavoro al pagamento a titolo risarcitorio delle retribuzioni maturate dal 2 novembre 2010, invece che dalla data del licenziamento. La Corte osservava che, non applicandosi al rapporto di lavoro il regime di stabilità reale, dalla nullità del licenziamento derivava l’applicazione dell’ordinario regime di diritto civile, cui conseguiva che il risarcimento decorreva dalla costituzione in mora del datore secondo lo schema dell’art. 1217 c.c.

2. Pur non essendo stata rinvenuta in atti, nonostante la ordinanza del Collegio del 6.7.2017, l’istanza del tentativo di conciliazione, che pure era stata depositata in prime cure, la Corte riteneva che da tale data dovessero essere riconosciute, in favore della lavoratrice, le retribuzioni, per essere circostanza pacifica la ricezione della richiesta de qua in data 2.10.2010, da parte dalla società appellante.

3. Di tale decisione ha domandato la cassazione l’Istituto, affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui ha resistito l’ A., con controricorso.

4. La causa è stata rimessa, con ordinanza interlocutoria della VI sezione in data 26.4.2019, alla trattazione in pubblica udienza dinanzi a questa Corte. Per l’adunanza camerale il ricorrente aveva depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’istituto ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1217 c.c. e del combinato disposto dell’art 2697 c.c., comma 1 e art. 414 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto provata la costituzione in mora pure in assenza della richiesta del tentativo di conciliazione, non rinvenuta in atti, e dunque in mancanza di riscontro dell’effettiva offerta delle energie lavorative da parte della lavoratrice, sulla base dell’assunto che l’offerta fosse comunque contenuta nel documento non rinvenuto.

1.1. Si adduce che la Corte abbia fondato la sua decisione su di una mera presunzione e sia pervenuta alle conclusioni indicate sulla base di circostanze non rispondenti al vero, in quanto nel ricorso in appello essa società si era limitata a dedurre che soltanto il 2.11.2019 la lavoratrice aveva chiesto l’esperimento del tentativo di conciliazione e non già, come affermato in sentenza, che l’istanza era stata ricevuta in data 2.11.2010; che, inoltre, nel ricorso introduttivo la lavoratrice aveva dedotto che in data 2 novembre 2010 era stata inviata all’UPLMO la richiesta del tentativo di conciliazione e non anche al datore e, nel costituirsi, l’Istituto aveva eccepito l’improcedibilità del ricorso per omissione della procedura di conciliazione, deducendo l’irritualità del procedimento, nel quale non era stato mai chiamato a comparire.

1.2. Si assume che dalla documentazione agli atti del giudizio non emergeva l’offerta delle prestazioni lavorative, con la conseguenza che la pretesa risarcitoria avrebbe dovuto essere rigettata.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1 Nella rubrica del motivo si indicano come violati o falsamente applicati l’art. 1217 c.c. e l’art. 2697 c.c., ma la censura, nella relativa esposizione, non denuncia una erronea interpretazione dell’art. 1217 c.c., a tenore del quale “se la prestazione consiste in un fare, il creditore è costituito in mora mediante l’intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono da parte sua necessari per renderla possibile. L’intimazione può essere fatta nelle forme d’uso (80 disp. att.)”. Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, ciò che non risulta invece Sostituire l’oggetto della doglianza. Nè si può ritenere che la Corte territoriale abbia disatteso i principi in tema di prova invertendone l’onere, posto che non può affermarsi che la stessa abbia negato il principio per il quale l’onere di provare l’offerta delle prestazioni incomba a chi pretenda il risarcimento, avendo interpretato i dati documentali nei sensi indicati in sentenza in base ad una ricostruzione anche su base presuntiva degli elementi fattuali emergenti dagli atti di causa.

3. Il problema potrebbe porsi in relazione alla erronea applicazione del ragionamento presuntivo, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ma la doglianza è al riguardo priva di specificità e le argomentazioni spese in relazione a tale profilo nella memoria illustrativa non possono valere ad integrare un ricorso su tale piano carente.

4. Per un caso assimilabile, Cass. 17.9.2014 n. 19604, richiamata nell’ordinanza interlocutoria della sesta sezione, afferma che la prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore è interrotta dalla comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 2, e che spetta al datore di lavoro, che contesti l’efficacia interruttiva della richiesta, provarne le eventuali lacune o ambiguità. In tale pronunzia si esclude che il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere il contenuto della detta richiesta, in quanto il contenuto risulta dall’art. 410 citato e “spetta al soggetto che ne contesti l’efficacia interruttiva.

5. il principio affermato non è, tuttavia, trasponibile al caso considerato, perchè si riferisce ad un effetto (interruzione della prescrizione) previsto per la richiesta del tentativo di conciliazione direttamente dalla legge (art. 410 c.p.c.).

6. Nella ipotesi oggetto della presente controversia era, al contrario, necessario provare il contenuto della richiesta del tentativo di conciliazione e la sua valenza come offerta delle prestazioni lavorative: la Corte territoriale, in base a quanto sopra evidenziato, ha articolato la base motivazionale su valutazione delle circostanze di fatto e delle emergenze processuali che hanno condotto a ritenere effettuata una valida istanza da parte della lavoratrice, idonea ad integrare il chiesto requisito di procedibilità della domanda giudiziale.

7. Al cospetto di una tale ricostruzione fattuale, è stata dedotta la violazione di norme che non investono il detto piano valutativo, ed il riferimento alla carenza della base del ragionamento presuntivo, in ipotesi non costituita da fatto noto, dal quale poter desumere, in forza del ragionamento presuntivo, il fatto ignoto, è stato adombrato, come già detto, in modo affatto generico, senza che possa attribuirsi alla doglianza quale formulata alcuna idoneità a scalfire l’iter argomentativo che sostiene il decisum.

8. Le esposte argomentazioni conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

9. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate come da dispositivo.

10. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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