Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32261 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10446/2015 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI S.P.A. (già FONDIARIA-SAI S.P.A., quale incorporante di

UNIPOL ASSICURAZIONI S.P.A., COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI DI MIALNO

S.P.A., PREMAFIN FINANZIARIA S.P.A.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ATTILIO REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato ZOSIMA VECCHIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA MARIA BUZZONI ZOCCOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 623/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 23/12/2014, R.G.N. 396/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 23.12.2014, respingeva il gravame principale proposto da P.G., inteso ad ottenere la condanna della Milano Assicurazioni s.p.a. al risarcimento del danno connesso alla falsa qualificazione del recesso dal rapporto di agenzia assicurativa indicato come sorretto da giusta causa, danno quantificato in Euro 2.000.000,00, oltre che in Euro 100.000,00 per danno morale;

2. la Corte evidenziava, con riguardo alle circostanze di fatto della vicenda, che: dalla ispezione amministrativa del 16.1.1989 e dal verbale di verifica amministrativa sottoscritto dall’agente il 27 gennaio 1989, era risultato il mancato versamento alla Compagnia di Lire 105.351.240 a titolo di premi; il 10 febbraio successivo il P. si era riconosciuto debitore di somma di importo analogo e dichiarato disponibile ad emettere una cambiale ipotecaria di lire 109 milioni, accettata pro solvendo dalla preponente; un’ulteriore verifica aveva portato, poi, alla luce ulteriori distrazioni, ancorchè la Compagnia avesse nel frattempo tentato di raggiungere una soluzione amichevole;

3. la Corte osservava come tali ultime circostanze avevano indotto la società alla comunicazione della missiva di recesso, che la valutazione del Tribunale aveva escluso ogni profilo di illiceità del comportamento della preponente, da non considerare nè denigratorio nè ingiurioso, e che il provvedimento di radiazione dall’albo faceva capo alle determinazioni autonome della Commissione nazionale per l’Albo, recepite dal Ministero dell’Industria;

4. nella motivazione della decisione era evidenziato come la sanzione della radiazione dall’Albo nella specie trovava titolo nei comportamenti addebitati all’agente e denunziati dalla società preponente, sicchè il comportamento della Compagnia, riferito alla segnalazione all’autorità incaricata della vigilanza dei fatti di reiterazione dei mancati riversamenti dei premi incassati doveva considerarsi, come già ritenuto dal Tribunale, collegata all’indiscussa materialità dei fatti segnalati;

5. non deponeva, poi, per la illiceità della segnalazione disciplinare al Ministero neanche la statuizione della sentenza della Corte, passata in giudicato, di accoglimento dell’appello del P., nella quale il recesso della preponente dal rapporto di agenzia era stato ritenuto senza giusta causa, poichè tale statuizione conseguiva non all’accertamento dei mancati riversamenti dei premi, ma alla decadenza dichiarata nei confronti della preponente;

6. la Corte evidenziava al riguardo che la compagnia, nel giudizio conclusosi con la detta sentenza, era stata dichiarata decaduta dal diritto di produrre il verbale di verifica del 4 e 5 luglio 1989 e che pertanto non erano risultate dimostrate le nuove e più recenti irregolarità dell’agente, circostanze non tempestivamente allegate e dedotte dalla parte convenuta nella memoria di costituzione in giudizio, estranee come tali al thema decidendum; inoltre, la reiterazione dei mancati riversamenti e degli ammanchi di cassa emergeva dalla ulteriore statuizione di condanna dell’agente al pagamento a tale titolo di Euro 17.559,53, per cui non era sostenibile la prospettazione del recesso in termini di illegittimità, in quanto non si trattava di obiettiva insussistenza della giusta causa, ma di inadeguata difesa in giudizio della posizione della preponente a fronte della protrazione delle gravi inadempienze dell’agente, in tal modo non emergendo gli estremi per il risarcimento dell’ulteriore danno secondo la generale previsione dell’art. 1751 c.c., comma 4;

7. rispetto alla doverosa segnalazione delle circostanze di fatto, l’incolpato avrebbe avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa e di impugnare la sanzione espulsiva (radiazione dall’albo);

8. l’appello incidentale condizionato della società era ritenuto assorbito dal rigetto di quello principale;

9. di tale decisione domanda la cassazione il P., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società;

10. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, è dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla estraneità al recesso per giusta causa di ammanchi successivi a quelli del gennaio 1989, emersi solo dopo il recesso in sede di riconsegna di agenzia, sostenendosi come erroneo l’assunto che l’ulteriore ammanco rispetto a quello già superato del gennaio 1989 sarebbe emerso immediatamente prima del recesso del 7.7.1989, con il verbale ispettivo del 4-5 luglio 1989; si assume che tale fatto non era mai esistito, perchè il secondo ammanco era emerso solo in sede di operazioni di riconsegna (13.7.1989 e verbale del 20.7.1989) conseguenti all’avvenuto recesso e quindi logicamente successive al detto verbale;

1.1. la difesa del P. assume che la Corte d’appello, nella sentenza passata in giudicato, erroneamente interpretata dal giudice del gravame nella decisione oggetto della presente impugnazione, avesse escluso la giusta causa unicamente per tardiva produzione di un verbale (del 4-5 luglio 1989) contenente l’accertamento dell’ulteriore ammanco di Euro 17.559,53 e che, in realtà, dall’esame documentale emergeva che la lettera di recesso del 7.7.1989 si riferiva solo ai fatti del gennaio 1989, superati dall’accordo di rientro del 10.2.1989;

1.2. si osserva che certamente la lettera di recesso non avrebbe taciuto di un nuovo ammanco in ipotesi emerso due giorni prima, laddove il verbale che rilevava il secondo ammanco era quello del 20.7.1989 in sede di riconsegna dell’agenzia e non il precedente, del tutto anodino, del 4-5-luglio 1989;

2. con il secondo motivo, si ascrivono alla decisione impugnata violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in ordine ad un concorso di colpa dell’agente P. nella verificazione del danno costituito dal provvedimento di radiazione dall’albo, sostenendosi l’erroneità del principio secondo cui la scelta della via giudiziaria possa essere ascritta a colpa del danneggiato – che non aveva contestato il provvedimento di radiazione esercitando il diritto di difesa – ai sensi del citato articolo codicistico ed assumendosi che, in ogni caso, il concorso di colpa può attenuare, ma non eliminare la responsabilità del danneggiante quando non vi sia certezza che, usando un’ordinaria diligenza, il danno sarebbe stato comunque evitato;

3. con il terzo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione della L. 7 febbraio 1978, n. 49, art. 7, comma 2, sostenendosi come non veritiera la comunicazione inviata al Ministero dell’Industria ed all’ISVAP, posto che era stata comunicata una causa che si sapeva non più esistente e che ciò configurava un illecito produttivo di danno, conseguito all’l’instaurazione di un procedimento disciplinare che sempre segue l’irrogazione del recesso per giusta causa e non un recesso ordinario, come era stato nella specie;

4. il motivo è quanto mai artificioso e si distacca dalle considerazioni svolte in sentenza, ipotizzando una omessa valutazione di un fatto (emersione di ulteriori ammanchi dopo il recesso e non con il verbale ispettivo del 4-5- luglio) asseritamente omesso nell’esame, indicato senza il rispetto del paradigma deduttivo (dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”) prescritto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

4.1. il motivo scrutinato è, pertanto, inammissibile anche e prima ancora perchè non si deposita la sentenza passata in giudicato richiamata in termini del tutto generici, non si trascrive il contenuto della lettera di recesso su cui pure si fonda la censura, del verbale della verifica ispettiva richiamato, e si omette ogni riferimento a documenti ed atti richiamati nella prospettata doglianza;

4.2. in realtà, quest’ultima si sostanzia nella deduzione di una serie di elementi probatori, la cui asserita valutazione, difforme da quella voluta dalla parte, esula dal vizio dedotto; la pluralità di fatti censurati (di palese negazione ex se del requisito di decisività: Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625) pone pertanto la censura al di fuori del paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n, 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), avendo la doglianza piuttosto il carattere di una (inammissibile) contestazione della valutazione dei fatti e probatoria della Corte di merito;

4.3. in conclusione, risulta incensurata la ratio centrale ed individuata nel collegamento della radiazione dall’albo alle varie trasgressioni, lesive del decoro professionale, dell’etica e della dignità, con grave violazione del codice deontologico;

5. l’esame del secondo motivo è connesso alla soluzione delle questioni poste con il precedente motivo, perchè dovrebbe presupporsi come accertata la responsabilità dell’asserito danneggiante, nella specie esclusa o quanto meno non rivalutabile diversamente da quanto ritenuto dalla Corte del merito per gli evidenziati profili di inammissibilità della censura di cui al precedente motivo; la questione presenta, peraltro, innegabili profili di novità;

6. anche il terzo motivo pecca di specificità, per non essere stato trascritto il testo della segnalazione al Ministero dell’Industria ed all’ISVAP ed, in ogni caso, la censura non configura neanche in astratto una violazione di legge, quale dedotta, in quanto “in tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (cfr. Cass. 13.3.2018 n. 6035);

6.1. in ogni caso, per come già rilevato, si lamenta in maniera inammissibile la erronea valutazione della radiazione dall’albo, per la quale non rileva la motivazione del recesso, ma la lesione del decoro professionale;

7. in conclusione, il ricorso va dichiarato complessivamente inammissibile;

8. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo;

9. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 8500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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