Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32260 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 10/12/2019), n.32260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28753-2014 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 128, presso lo studio dell’avvocato VALERIA BISCARDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTA BIANCHI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERO – UNIVERSITARIA DI PARMA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO

ROMANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCELLO ZIVERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 226/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/04/2014 R.G.N. 905/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza depositata in data 8 aprile 2014 la Corte di appello di Bologna confermava la decisione del Tribunale di Parma che aveva respinto la domanda proposta nei confronti dell’Azienda Ospedaliera di Parma da T.A. – dapprima utilmente inserita nella graduatoria di pubblico concorso (indetto con bando n. 724 del 18 maggio 2000) per l’assegnazione di un posto di operatore tecnico addetto all’assistenza (graduatoria approvata dal Direttore Generale dell’Azienda n. 1206 del 9 agosto 2000) e poi estromessa da tale graduatoria per avere l’Azienda rilevato l’avvenuta commissione di un errore nella formulazione della stessa -, intesa ad ottenere l’accertamento della responsabilità contrattuale dell’Azienda per inadempimento agli obblighi assunti con il bando ovvero in subordine quella precontrattuale per inosservanza dei principi di buona fede e correttezza.

Riteneva la Corte territoriale che dovesse aversi per definitiva l’accertata legittimità del provvedimento di estromissione dalla graduatoria per essere risultato accertato dal Tribunale che la T., al momento della selezione, non fosse in possesso di uno dei requisiti previsti dal bando e cioè del titolo professionale specifico rilasciato da scuola autorizzata.

Escludeva, pertanto, un danno contrattuale atteso che alla stipula del contratto era ostativa la mancanza di tale imprescindibile requisito.

Escludeva, altresì, un danno precontrattuale condividendo la ravvisata mancanza di ogni allegazione e prova del c.d. interesse negativo già posta dal Tribunale a fondamento della propria decisione di rigetto del ricorso.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.A. con tre motivi.

3. L’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma ha resistito con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1326 c.c., dell’art. 1173 c.c. e ss., del D.L. n. 161 del 2001, art. 63 e della L. n. 2248 del 1865, all. E, art. 5.

Sul presupposto che la mancata assunzione faccia sorgere in capo al preponente una responsabilità contrattuale per inadempimento, lamenta che la Corte territoriale abbia escluso ogni risarcimento del danno rilevando che la PA non avesse dato prova del fatto che la propria inadempienza fosse dovuta a causa ad essa non imputabile.

Sostiene che la responsabilità da contatto sociale trovi fondamento giuridico nell’art. 1173 c.c. e sia soggetta agli stessi principi che regolano le obbligazioni ex lege, anche in punto di onere della prova.

Assume che il titolo professionale posseduto dalla T. (addetta all’assistenza di base) fosse del tutto equivalente a quello richiesto dal bando (operatore tecnico addetto all’assistenza).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia nonchè omessa e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia.

Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’appellante avesse mosso censure con riferimento alla statuizione del Tribunale circa la legittimità dell’atto di esclusione dalla graduatoria ed assume che l’illegittimità di un provvedimento amministrativo sia sempre rilevabile d’ufficio.

Lamenta, infine, che la Corte territoriale abbia ritenuto che non vi fosse la prova di un danno da responsabilità precontrattuale senza motivare circa la mancata assunzione delle prove (interrogatorio formale e testi, consulenza tecnica) richieste dalla ricorrente e della mancata o erronea valutazione della prova documentale.

4. I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, presentano, nei vari aspetti in cui sono articolati, profili di inammissibilità e sono comunque infondati.

4.1. Le censure attinenti alla idoneità della motivazione sono proponibili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo da ultimo vigente ed applicabile alla presente impugnativa, solo in caso di omesso esame di un fatto decisivo, oppure, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, qualora la motivazione della sentenza impugnata manchi del tutto o risulti apparente, situazioni queste, insussistenti nel caso in esame.

Il ragionamento espresso dalla Corte territoriale, come riportato nello storico di lite, è del tutto lineare nè sono stati trascurati i fatti decisivi.

Si ricorda, infatti, che a seguito della riformulazione del testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito in L. n. 134 del 2012, nell’interpretazione di cui al noto arresto costituito da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053, il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.

Inoltre, l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053/2014 delle Sezioni Unite lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti.

Nel caso in questione i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicchè non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla ricorrente.

4.2. Quanto alla affermazione secondo la quale la statuizione della Corte territoriale, nella parte in cui ha affermato che la legittimità del provvedimento di esclusione della T. dovesse aversi per definitiva, posto che avverso la stessa non era stata proposta alcuna doglianza, sarebbe erronea avendo, al contrario, tale questione formato oggetto di doglianza da parte della T., la stessa è rimasta del tutto indimostrata non risultando riprodotto il contenuto sia della sentenza di primo grado sia dell’atto di appello al fine di consentire a questa Corte di apprezzarne la specificità (ed invero sembra anche contraddetta dalla mera sintesi narrativa contenuta a pag. 15 del ricorso per cassazione dalla quale si evince che l’appellante si era limitata a richiamare in toto il contenuto del ricorso introduttivo di primo grado ed a tutto quanto già precedentemente dedotto ed eccepito da darsi qui per integralmente trascritto).

Senza dire che le censure afferenti alla pretesa equivalenza del titolo posseduto a quello richiesto dal bando non sono neppure supportate dalla riproduzione sia del bando sia del contenuto del documento invocato oltre che dalla indicazione della collocazione di tali atti nel fascicolo processuale ovvero in quelli di parte.

Ed allora non sussistono elementi per scalfire il ragionamento della Corte territoriale secondo la quale l’accertata inidoneità del titolo posseduto dalla T. non fosse più revocabile in dubbio, con conseguente venir meno, a monte, di ogni questione relativa alla asserita responsabilità contrattuale.

4.3. Discutendosi, del resto, con riferimento alla riformulazione della graduatoria per vizi relativa alla stessa, di un atto doveroso per la PA cui è precluso che possa essere dichiarato vincitore (in quanto utilmente collocato) un concorrente non in possesso delle abilitazioni richieste, va rilevato che, stante, come detto, la mancanza del titolo previsto dal bando, non sussistessero, nello specifico, le condizioni di possibilità giuridica dell’oggetto del rivendicato contratto di lavoro.

4.4. Esclusa la possibilità di ritenere illegittimo il provvedimento di estromissione della T. dalla graduatoria, come tale fondante una responsabilità contrattuale in capo all’Azienda, neppure è possibile ricondurre il caso di specie nell’ambito di una responsabilità di tipo precontrattuale, cioè da contatto sociale qualificato inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 c.c..

Come, peraltro, rilevato dalla Corte territoriale, la ricorrente si era limitata a formulare le pretese risarcitorie solo con riferimento al c.d. lucro cessante (differenze retributive che avrebbe percepito una volta assunta presso l’Azienda ospedaliera) che è fattispecie diversa dal c.d. interesse negativo rilevante in caso di responsabilità precontrattuale e che riconduce alla responsabilità contrattuale di cui sopra si è detto.

4.5. Le doglianze relative alla ritenuta insussistenza di un danno da responsabilità precontrattuale sono, invero, inammissibili anche sotto altro profilo, non risultando trascritti gli atti di causa in cui le istanze istruttorie sarebbero state avanzate nè il contenuto dei documenti che si assume siano stati pretermessi dalla Corte territoriale.

4.6. In ogni caso, nonostante il formale richiamo al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, le censure prospettano, nel complesso, una diversa lettura di merito, fondata su mere ipotesi ricostruttive, che tuttavia, per le ragioni sopra dette, non sono in grado di superare l’assunto della Corte territoriale fondato, da una lato, sull’assenza di qualsiasi profilo di responsabilità risarcitoria in capo all’Azienda Ospedaliera a fronte dell’affermata lesione di un (asserito) interesse legittimo pretensivo (esclusione dalla graduatoria) facente capo alla T., in conseguenza di una violazione dei doveri di comportamento al cui rispetto è tenuto il soggetto pubblico e ciò per l’inesistenza, in capo all’aspirante, di uno dei requisiti essenziali previsti dal bando (e cioè il possesso del titolo di operatore tecnico addetto all’assistenza) e, dall’altro, sulla mancanza di ogni allegazione e prova dell’interesse negativo correlato alla rivendicata responsabilità precontrattuale (contrapposto all’interesse all’adempimento e rappresentato, ad esempio, dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprendente il lucro cessante: v. Cass. 13 ottobre 2005, n. 19883; Cass. 3 dicembre 2015, n. 24625).

Rilettura del merito che, oltre alle più specifiche criticità e carenze già evidenziate, prospetta un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di appello tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148).

5. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso principale, ove dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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