Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32240 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 13/12/2018), n.32240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5776-2017 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE CAVE,

136, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE ZULLINO, rappresentato

e difeso dagli avvocati GREGORIO VATRANO, ERNESTO MAZZEI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante, in proprio e quale procuratore speciale della

SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA

VITA SCIPLINO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1156/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 26 agosto 2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12 settembre 2018 dal Consigliere Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 26 agosto 2016, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da G.S. avverso la cartella esattoriale con cui l’INPS gli aveva richiesto il pagamento di contributi omessi in danno di un lavoratore dipendente la cui prestazione era stata dissimulata dietro un rapporto di associazione in partecipazione;

che avverso tale pronuncia Salvatore tariffo ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che l’INPS, anche quale procuratore di S.C.C.I. s.p.a., ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che parte ricorrente ha depositato memoria tardiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 2094 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto che la simulazione del rapporto di associazione in partecipazione desse luogo alla configurazione di un rapporto di lavoro subordinato;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2697 e 2094 c.c. nonchè omesso esame e incongrua valutazione delle risultanze istruttorie rilevanti ai fini dell’accertamento del rapporto di lavoro subordinato;

che le censure di violazione di legge possono essere esaminate congiuntamente, in considerazione del loro tenore argomentativo, e sono palesemente inammissibili, in quanto volte, indipendentemente dalla loro veste formale di denunce in indicando e in procedendo, a sollecitare un riesame del merito della causa, in specie dell’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza degli “elementi sintomatici della subordinazione, sin dal 2000 senza soluzione di continuità nonostante la diversa veste formale assunta dal rapporto” (così la sentenza impugnata, pag. 3), individuati correttamente in “vincolo di orario, retribuzione fissa, sottoposizione a controlli” (ibis, pag. 4); che, sotto tale profilo, il primo motivo risulta parzialmente estraneo al deciso, in nessuna parte della motivazione della Corte territoriale tratteggiandosi un automatismo del tipo di quello denunciato da parte ricorrente (cfr. in specie pag. 5, p. 3.4, della sentenza impugnata);

che non meno inammissibile risulta la censura di omesso esame di cui al secondo motivo, dal momento che, avendo la Corte di merito proceduto sia al vaglio degli elementi istruttori addotti dall’ente previdenziale sia all’analitica confutazione delle prove di segno contrario addotte dall’odierno ricorrente (ibid, pagg. 4-5), appare chiaro che parte ricorrente intende lamentarsi non già di un omesso esame, ma del giudizio reso all’esito di quell’esame, che è cosa ovviamente inammissibile in sede di legittimità; che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza; che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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