Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3224 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 3224 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BUFFA FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 19298-2012 proposto da:
FIORINI

PIERFRANCESCO

C.F.

FRNPFR55S01H294Z,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMBO ROMEI 15,
presso lo studio dell’avvocato PESATURO LUDOVICA, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PICCIONI CELIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3168

contro

A.U. – ADRIATICA UTENSILI DI AMADIO GIOVANNI BAIOCCHI
ALBERTO E MARTINI PINO S.N.C. C.F. 00372700419, in
persona del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 12/02/2014

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERTELLI PILO
l, presso lo studio dell’avvocato NICOTERA UGO,
rappresentato e difeso dagli avvocati DELLA COSTANZA
MAURIZIO, BERTI CARLO, giusta delegas in atti;
– controri correnti –

di ANCONA, depositata il 10/08/2011 r.g.n. 406/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
BUFFA;
udito l’Avvocato PESATURO LUDOVICA;
udito l’Avvocato MOSCATELLI CARTONI PIERA per delega
BERTI CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 615/2011 della CORTE D’APPELLO

Rg. 19298/12 – Fiorini c. Adriatica utensili

1. Fiorini Pierfrancesco, già operaio specializzato della Adriatica utensili snc,
veniva licenziato il 29.2.2000 per inidoneità fisica alle mansioni assegnate ed
impossibilità di diversa utilizzazione. L’impugnativa del licenziamento veniva
respinta dal tribunale di Pesaro che, con sentenza del 24.6.2008, riteneva
legittimo il recesso e tuttavia condannava il datore di lavoro al pagamento della
somma di € 11.571, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno biologico
derivato al dipendente dall’aggravamento (della misura dell’1-2%) —a causa
delle mansioni assegnate- delle patologie sofferte per infortunio occorso in
precedente rapporto di lavoro con terzi.
2. Con sentenza n. 615/11 del 10.8.2011, la Corte d’appello di Ancona
confermava la legittimità del licenziamento ma, in parziale riforma della
sentenza impugnata, escludeva la responsabilità datoriale per l’aggravamento
della salute del dipendente, ritenendo ascrivibile questo allo svolgimento di
attività extralavorativa non professionistica di allenatore sportivo di calcio.
3. Ricorre il lavoratore avverso tale sentenza, chiedendone la cassazione per
cinque motivi. Resiste la società datrice con controricorso, illustrato da
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso, il lavoratore deduce la violazione e falsa
applicazione degli art. 1464 e 2110 cod. civ., per avere la sentenza affermato
che spetta al datore di lavoro l’onere della prova dell’impossibilità di
riutilizzazione del dipendente inidoneo, e per aver poi ritenuto che la
possibilità di impiego diverso non era stata proposta dal lavoratore con
sufficiente precisione.
5. Con il secondo motivo, il lavoratore deduce insufficiente motivazione della
sentenza sull’affermata impossibilità di repechage del lavoratore, essendo
possibile un cambio di mansioni con altri dipendenti.
6. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2087 cod. civ.,
per avere la sentenza impugnata escluso l’obbligo del datore di modificare le
mansioni del dipendente e, con esso, la responsabilità del datore di lavoro per
l’aggravamento dello stato di salute del lavoratore.
7. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l’insufficiente motivazione della
sentenza impugnata circa la consapevolezza da parte del datore di lavoro delle
patologie sofferte dal dipendente sin dalla data di assunzione.
8. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della
sentenza impugnata circa l’incompatibilità delle mansioni assegnate con la
salute del dipendente nonché sull’incidenza causale delle stesse in ordine
Udienza del 7 novembre 2013
Pres. Vidiri, Est. Buffa

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Rg. 19298/12 – Fiorini c. Adriatica utensili

9. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto inconferente rispetto al
contenuto delle norme invocate, le quali non fanno alcun riferimento ai criteri —
la cui applicazione concreta è censurata dal ricorrente- di ripartizione
dell’onere della prova dell’impossibilità di repechage del lavoratore inidoneo.
10.11 secondo motivo è infondato. La sentenza impugnata ha correttamente
ritenuto che l’impossibilità di utilizzazione del lavoratore (che va fatta con
riferimento a mansioni equivalenti, attesi i limiti temporali operanti per un
eventuale patto di demansionamento: v. Sez. L, Sentenza n. 6552 del
18/03/2009) deve essere provata dal datore di lavoro, costituendo uno degli
elementi che costituiscono il presupposto di fatto ed il requisito giuridico per la
legittimità del licenziamento disposto per inidoneità lavorativa; la sentenza ha
peraltro affermato che al datore di lavoro non può chiedersi una prova assoluta
ed inconfutabile e che la concreta possibilità di diverso impiego del dipendente
può emergere solo nel contraddittorio con le parti. Così facendo, la corte
territoriale si è attenuta al principio fissato da questa Corte (Sez. L, Sentenza n.
3040 del 08/02/2011) secondo cui, con riferimento al giustificato motivo
oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative
produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei
criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica
tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del
motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha
l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari,
l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse
da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in
modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il
licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile
“repechage”, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei
quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione
l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti
(negli stessi termini, anche Sez. L, Sentenza n. 25197 del 2013; in precedenza,
anche Cass. Sez. L, Sentenza n. 6559 del 18/03/2010 aveva ritenuto che il
datore di lavoro deve dare prova anche dell’impossibilità di una differente
utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente
svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di
Udienza del 7 novembre 2013
Pres. Vidiri, Est. Buffa

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all’aggravamento della patologia sofferta dal lavoratore; rileva in proposito che
la sentenza non ha tenuto conto di ben due consulenze tecniche che avevano
riconosciuto il nesso causale tra attività lavorativa ed aggravamento, e che ha
per converso attribuito immotivatamente efficacia eziologica ad attività
extralavorativa svolta dal ricorrente.

Rg. 19298/12 – Fiorini c. Adriatica utensili

11.11 terzo motivo è infondato. La sentenza impugnata -pur escludendo l’obbligo
del datore di lavoro di modificare l’organizzazione lavorativa e le mansioni
degli altri dipendenti, ritenendo che la discrezionalità dell’imprenditore possa
essere limitata solo in presenza di specifici obblighi o per modifiche di
rilevanza limitata- non ha infatti escluso in generale l’obbligo del datore di
lavoro di modificare le mansioni del dipendente a tutela della salute di questo,
ma ha verificato, con apprezzamento di merito congruamente motivato ed
incensurabile in questa sede, che in concreto non vi era una situazione di
pericolo incombente che imponeva un intervento immediato del datore, ma
solo una riacutizzazione di episodi morbosi pregressi non ricollegati
direttamente all’esecuzione contingente delle mansioni.
12.Va evidenziato in proposito che spetta al giudice di merito la valutazione della
situazione di fatto rilevante per il sorgere dell’obbligo di mutamento delle
mansioni del dipendente, quale alternativa al recesso datoriale, così come
spetta al giudice di merito verificare l’effettiva ricorrenza dell’impossibilità di
reimpiego del dipendente, ciò attraverso un apprezzamento delle prove
incensurabile in sede di legittimità, se effettuato —come nel caso in esame- con
motivazione coerente e completa (Cass. Sez. L, Sentenza n. 10916 del
09/06/2004).
13.In presenza del quadro morboso sopra descritto, il quarto motivo ricorso deve
ritenersi inammissibile, in quanto la limitata incidenza delle mansioni
assegnate al dipendente (e da questo accettate sin dall’assunzione e svolte
senza problemi e senza assenze per malattia per un periodo non modesto) su
patologie sofferte dal dipendente per pregresso infortunio rende irrilevante
l’accertamento del momento di conoscenza da parte del datore di lavoro del
quadro morboso del dipendente, atteso che -secondo quanto detto ai punti che
precedono- la corte d’appello ha correttamente ritenuto non configurabile nel
caso un obbligo di intervento immediato del datore di lavoro, anche
successivamente alla presa di coscienza della patologia del dipendente.
14.11 quinto motivo di ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. La
deduzione circa il mancato rispetto, da parte della sentenza impugnata, delle
conclusioni di ben due consulenze tecniche non è accompagnata, come
imposto dal principio di autosufficienza del ricorso (Cass. Sez. 1, Sentenza n.
4885 del 07/03/2006 e Sez. 2, Sentenza n. 13845 del 13/06/2007)
dall’indicazione (se non anche della trascrizione) degli accertamenti e delle
specifiche risultanze peritali, tanto più essendovi incertezza sul punto, atteso
Udienza del 7 novembre 2013
Pres. Vidiri, Est. Buffa

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natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di
deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego).

che, mentre il ricorrente ha dedotto che “i medici legali hanno concordato sul
fatto che le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa sono tali da
incidere negativamente sulle condizioni di salute del ricorrente”, controparte ha
affermato che la consulenza non accerta alcun nesso causale tra il lavoro svolto
dal ricorrente e l’aggravamento, ma si limita ad esprimersi in termini di
“verosimiglianza e possibilità”, “non essendo il nesso definibile con certezza”,
e rilevando che “l’aggravamento sarebbe comunque avvenuto”, anche per
l’incidenza di fattori degenerativi naturali e connessi con l’attività sportiva.
Peraltro, la sentenza impugnata richiama la consulenza condividendone i
risultati ed affermando che essa “non conduce necessariamente”
all’affermazione del nesso causale.
15 .La sentenza impugnata, con motivazione adeguata, ha correttamente ravvisato
l’efficacia causale sull’aggravamento delle condizioni di salute del ricorrente
più con riferimento all’attività sportiva di allenatore di squadre di calcio di III
categoria, ritenuta usurante ed incentrata sul continuo movimento delle gambe,
che con riguardo alle mansioni usualmente svolte in concreto, che richiedevano
l’azionamento di una pedaliera che offriva ridotta resistenza. Non vi sono
elementi per ritenere insufficiente tale motivazione, tanto più in un quadro che,
per l’esiguità dei postumi e l’incidenza di fattori plurimi, rende assai difficile
l’attribuzione al fattore lavorativo di una portata causale rilevante, sicché non
può addebitarsi al datore di lavoro il danno che comunque si sarebbe verificato
indipendentemente dalla sua condotta.
16.La considerazione della posizione delle parti e dell’oggetto del giudizio dà
ragione della compensazione integrale delle spese di lite.
Pq.m.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Roma, 7 novembre 2013
Il Presidente
Guido Vidiri

Rg. 19298/12 – Fiorini c. Adriatica utensili

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