Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32238 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 13/12/2018), n.32238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5579-2017 proposto da:

D.D.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LAURA NIANTEGAZZA 24, presso lo studio del Sig. MARCO GARDIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO PELLEGRINO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUITO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante, in proprio e (letale procuratore speciale

della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, CARLA

D’ALOISIO, ESTER ADA VITA SCIPLINO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

contro

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 604/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09 marzo 2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12 settembre 2018 dal Consigliere Relatore Dott.

LUIGI CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 9 marzo 2016, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato D.D.P.M. al pagamento dei contributi dovuti alla Gestione dei lavoratori agricoli relativi a vari anni, sul presupposto dell’avvenuta presentazione all’INPS delle relative denunce mensili;

che avverso tale pronuncia D.D.P.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che l’INPS, in proprio e nella qualità di procuratore della S.C.C.I. s.p.a., ha resistito con controricorso, mentre la società concessionaria dei servizi di riscossione e rimasta intimata;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che D.D.P.M. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di merito rigettato l’opposizione alla cartella recante l’ingiunzione di pagamento per cui è causa ancorchè l’INPS non avesse dato prova alcuna del fondamento della propria pretesa impositiva;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il principio di non contestazione si applicasse anche a processi iniziati prima della modifica della disposizione cit. ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 14 e comunque per aver ritenuto che i fatti posti a fondamento della pretesa dell’INPS non erano stati contestati;

che il primo motivo è inammissibile, essendosi chiarito che una violazione dell’art. 2697 c.c. censurabile per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (cfr. da ult. Cass. n. 13395 del 2018), non anche quando – come nella specie – la censura concerna la non necessità di una prova per essere stato il relativo fatto espunto dal thema probandum a seguito di non contestazione;

che il secondo motivo e, anzitutto, inammissibile ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., essendo parimenti consolidato il principio secondo cui, nel rito del lavoro, anche prima della modifica apportata all’art. 115 c.p.c. ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 14, la mancata contestazione di fatti giuridici costitutivi della fattispecie non conoscibili di ufficio rappresenta di per sè l’adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto e quindi rende inutile provarlo, in quanto non controverso (cfr., fra le numerose, Cass. nn. 761 del 2002 e 11353 del 2004), ed e, in secondo luogo, inammissibile ex art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, dal momento che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, nel quale ad avviso del ricorrente sarebbe stata contenuta una contestazione concernente anche l’invio delle denunce mensili dei lavoratori agricoli occupati, non è stato trascritto nelle sue parti all’uopo rilevanti nè si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte esso sarebbe attualmente reperibile (sulla necessità di tale duplice indicazione al fine di integrare il requisito della specificità del motivo v., da ult., Cass. n. 5478 del 2018);

che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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