Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32238 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. II, 10/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21943/2017 R.G. proposto da:

M.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Aurelio Padovani per

procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma

presso il suo studio alla via Albalonga n. 7;

– ricorrente –

contro

Mi.En., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Fabio Baldazzi e

Tommaso Pacciani per procura in calce al controricorso,

elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’Avv. Barbara

Izzo al viale delle Milizie n. 138;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 1863,

depositata il 22 marzo 2017;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone

nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2019;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per

l’inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso, rigetto del

quarto, in subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avv. Rosario Dell’Oglio su delega dell’Avv. Tommaso Pacciani.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con preliminare del 6 novembre 2004, Mi.En. prometteva di vendere a M.M., che prometteva di acquistare per sè o per persona da nominare, un immobile in (OMISSIS) al prezzo di Euro 400.000,00, con definitivo da stipulare “entro e non oltre il 30 maggio 2005”.

Adito da M.E., figlia di M. e da lui nominata per l’acquisto, il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, respingeva la di lei domanda ex art. 2932 c.c. e, in accoglimento della riconvenzionale della promittente venditrice, dichiarava legittimo il recesso di quest’ultima, autorizzandola a trattenere la caparra di Euro 202.500,00.

Soccombente anche in appello, M.E. ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi.

Mi.En. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il controricorso eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione di M.E., in quanto l’electio amici in di lei favore, per espressa clausola del preliminare, avrebbe potuto avvenire unicamente alla stipula del definitivo, sì da non poterle conferire legittimazione ad agire per l’esecuzione del preliminare.

1.1. L’eccezione è infondata.

La legittimazione di M.E. deve ritenersi acquisita, poichè, come osserva il ricorso (pag. 15), ella ha agito quale eletta fin dal primo grado e la sua legittimazione non è stata contestata se non nella conclusionale d’appello.

Il controricorso invoca la rilevabilità d’ufficio del difetto di legitimatio ad causam (pag. 12), ma non considera che l’officiosità del rilievo incontra pur sempre il limite della formazione del giudicato interno (Cass., sez. un., 9 febbraio 2012, n. 1912; Cass. 8 agosto 2012, n. 14243; Cass. 6 dicembre 2018, n. 31574).

2. Il controricorso eccepisce l’inammissibilità del ricorso anche per la commistione tra denunce di violazione di legge e altre di omesso esame di fatto, nonchè, riguardo a queste ultime, per la preclusione indotta dalla “doppia conforme”.

2.1. L’eccezione è infondata.

Pur testualmente assommando i due profili, i motivi di ricorso, per come sono internamente sviluppati, consentono di distinguere le censure relative all’interpretazione e applicazione delle norme di diritto da quelle inerenti alla ricostruzione del fatto, il che rende ammissibile la formulazione cumulativa della doglianza (Cass. 23 aprile 2013, n. 9793; Cass. 11 aprile 2018, n. 8915; Cass. 5 ottobre 2018, n. 24493).

Quanto all’inammissibilità del ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, essa non si applica, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. L. n. 134 del 2012, per i giudizi d’appello introdotti con citazione notificata – com’è nella specie – prima dell’11 settembre 2012 (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass. 11 maggio 2018, n. 11439).

3. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1457 c.c. e omesso esame di fatto, per aver il giudice d’appello ritenuto il termine del 30 maggio 2005 essenziale nell’interesse della promittente venditrice, omettendo di considerare che costei accettò un ulteriore acconto in data 25 giugno 2005, cioè a termine scaduto.

3.1. Il primo motivo è fondato.

L’accertamento del giudice di merito in ordine all’essenzialità del termine per l’adempimento, a norma dell’art. 1457 c.c., va condotto soprattutto alla stregua della natura e dell’oggetto del contratto, non potendo l’essenzialità essere desunta solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, riferita al tempo di esecuzione della prestazione, laddove non emerga inequivocabilmente, dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l’utilità prefissatasi (Cass. 17 marzo 2005, n. 5797; Cass. 6 dicembre 2007, n. 25549; Cass. 15 luglio 2016, n. 14426).

In quanto posta nell’interesse di uno o entrambi i contraenti, la previsione del termine essenziale di adempimento non preclude alla parte interessata di rinunciare, seppur tacitamente, ad avvalersene, anche dopo la scadenza del termine, in particolare accettando un adempimento tardivo (Cass. 3 settembre 1998, n. 8733; Cass. 3 luglio 2000, n. 8881; Cass. 5 luglio 2013, n. 16880).

La concessione di una proroga del termine, pur non essendo incompatibile in modo assoluto col suo carattere essenziale, fornisce un importante elemento presuntivo circa la sua natura meramente ordinatoria, in guisa da escludere che l’adempimento tardivo sia privo d’interesse per il creditore (Cass. 9 aprile 1979, n. 2026; Cass. 30 gennaio 1982, n. 590).

3.2. Nella specie, il giudice d’appello si è limitato a notare che il M., scaduto il termine del 30 maggio 2005, fu “nuovamente” invitato alla stipula del definitivo “entro il 15 settembre” (pag. 9 di sentenza): circostanza che, tuttavia, lungi dall’attestare l’essenzialità del termine originario, è indizio della sua inessenzialità, evidenziando l’interesse della promittente venditrice ad attendere oltre il 30 maggio 2005, pur di stipulare il definitivo e riscuotere il saldo di prezzo.

Il giudice d’appello ha omesso di esaminare il fatto dell’accettazione dell’acconto di Euro 30.000,00 in data 25 giugno 2005, fatto la cui decisività emerge dal rilievo che, accettando un adempimento parziale quando il termine era già scaduto, la promittente venditrice ha manifestato un perdurante interesse all’adempimento e – ove quello scaduto fosse davvero un termine essenziale – una tacita rinuncia alla risoluzione ipso iure.

3.3. Va accolto il primo motivo di ricorso e la sentenza cassata in relazione ad esso, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che si uniformerà ai principi di diritto espressi supra nel p. 3.1, esaminando il fatto indicato supra nel p. 3.2.

4. Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso, concernenti profili che il giudice di rinvio dovrà riconsiderare alla luce della rivisitata essenzialità od inessenzialità del termine del 30 maggio 2005 e della conseguente attribuzione di responsabilità per l’inadempimento.

4.1. Si evidenzia che la missiva del 21 settembre 2005 recante declaratoria di risoluzione, come trascritta in ricorso (pag. 8), dichiara risolto il preliminare per “inosservanza del termine essenziale del 30 maggio 2005”, cosicchè è soltanto l’essenzialità di questo termine che rileva per la legittimità del recesso o della declaratoria di risoluzione della promittente venditrice, non potendosi attribuire alla missiva del 5 settembre 2005 recante l’invito a stipulare entro il 15 settembre 2005 quel significato di diffida ad adempiere che la M. ipotizza e che tuttavia la mittente non ha prefigurato.

5. Il giudice di rinvio regolerà le spese processuali, anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi.

Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA