Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32236 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. II, 10/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19859/2015 R.G. proposto da:

A.E.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Emilio Beretta

per procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma

presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Ametrano alla via Antonio

Sogliano n. 70;

– ricorrente –

contro

V.A., e V.P., rappresentati e difesi dall’Avv.

Carlo Verticale per procura a margine del controricorso,

elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio dell’Avv.

Giovanna Fiore alla via degli Scipioni n. 94;

– controricorrenti –

e contro

Tradital s.r.l., ora Immobiliare Cascina Rubina s.r.l., rappresentata

e difesa dall’Avv. Giuseppe Granata per procura in calce al

controricorso, domiciliata presso la cancelleria della Corte;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 227,

depositata il 15 gennaio 2015;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone

nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2019;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per

l’inammissibilità del primo, terzo e quarto motivo di ricorso, il

rigetto del secondo motivo, in subordine il rigetto del ricorso;

uditi l’Avv. Emilio Beretta e l’Avv. Giovanna Fiore per delega

dell’Avv. Carlo Verticale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.E.E., ingegnere, sul presupposto di aver ricevuto da V.C. incarico professionale relativo alla lottizzazione di alcuni terreni in (OMISSIS), conveniva davanti al Tribunale di Monza A. e V.P., eredi di C., per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 230.000,00 a titolo di corrispettivo, in subordine indennizzo per ingiustificato arricchimento, domanda estesa alla società Tradital, quale proprietaria delle aree.

Il Tribunale respingeva le domande e compensava le spese.

La Corte d’appello di Milano respingeva il gravame dell’ A. e, in parziale accoglimento degli incidentali dei V. e della Tradital, limitava la compensazione delle spese di primo grado alla misura di un quarto.

L’ A. ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi. I V. e la Tradita resistono con distinti controricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia omesso esame di fatto decisivo, per non aver il giudice d’appello esaminato il fatto del conferimento dell’incarico e dell’esecuzione delle prestazioni.

1.1. Il primo motivo è infondato.

L’omesso esame denunciabile a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo odierno, applicabile ratione temporis) attiene al fatto storico decisivo, e non alle relative prove, sicchè l’omesso esame di elementi istruttori non integra il vizio, qualora il fatto storico sia stato comunque esaminato dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415).

Nella specie, il giudice d’appello ha esaminato il fatto storico decisivo del conferimento d’incarico, escludendone la sussistenza “per carenza di prova” (pag. 6 di sentenza).

Nel denunciare l’omesso esame “del fatto”, il motivo di ricorso denuncia, in realtà, l’omesso esame “delle prove del fatto” (soprattutto prove documentali), ciò che, tuttavia, è estraneo al paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 2730,2731 e 2733 c.c., per non aver il giudice d’appello riconosciuto che l’eccezione di prescrizione presuntiva del credito sollevata dai V. e dalla Tradital ne implicasse la confessione circa la sussistenza dell’incarico professionale.

2.1. Il secondo motivo è infondato.

L’eccezione di prescrizione presuntiva non equivale a riconoscimento del debito, poichè l’art. 2959 c.c. dispone che l’ammissione giudiziale del mancato pagamento comporta il rigetto dell’eccezione, non che l’eccezione implichi ammissione del fatto costitutivo del debito (Cass. 21 gennaio 2000, n. 634; Cass. 15 dicembre 2009, n. 26219; Cass. 30 giugno 2015, n. 13401).

Correttamente richiamato dal giudice d’appello (pag. 4 di sentenza), questo principio, ad avviso del ricorrente, non potrebbe estendersi dal riconoscimento del debito alla confessione sull’incarico.

In realtà, il principio vale a fortiori per la confessione, in quanto eventuali ammissioni contenute negli atti difensivi, dei quali è autore il procuratore ad litem, non hanno natura confessoria (Cass. 5 maggio 2003, n. 6750; Cass. 2 ottobre 2007, n. 20701; Cass. 19 marzo 2019, n. 7702).

Nella specie, d’altronde, la tesi del ricorrente determina un paradosso, che concorre a svelarne l’infondatezza: dopo aver respinto l’eccezione di prescrizione presuntiva, a norma dell’art. 2959 c.c., proprio per aver i convenuti “contestato” il conferimento dell’incarico (pag. 3-4 di sentenza), il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere che essi abbiano, in tal modo, “confessato” il conferimento dell’incarico.

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 2697,2721,2722 e 2724 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per aver il giudice d’appello respinto le prove testimoniali sull’incarico e le prestazioni, pur essendovi un principio di prova scritta.

3.1. Il terzo motivo è inammissibile.

Il giudice d’appello non ha respinto le istanze istruttorie, ma dichiarato inammissibile il relativo motivo di gravame.

Questa la ratio decidendi: “il motivo è inammissibile, in quanto non contiene alcuna critica all’affermazione del Tribunale circa l’inammissibilità ex art. 2722 c.c., nell’ambito di un rapporto negoziale di tale portata, della prova orale… ” (pag. 4-5 della sentenza d’appello).

Nel riproporre la questione del rigetto delle prove, il ricorrente non coglie la ratio decidendi espressa dal giudice di secondo grado, che non attiene alla questione di merito, ma all’irritualità dell’appello.

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 2042 c.c., per aver il giudice d’appello respinto la domanda subordinata di ingiustificato arricchimento.

4.1. Il quarto motivo è infondato.

L’azione di ingiustificato arricchimento proposta in subordine rispetto all’azione contrattuale è ammissibile solo se quest’ultima venga rigettata per difetto ab origine del titolo, non se l’azione contrattuale, pur astrattamente configurabile, viene respinta per carenza di prova (Cass. 13 marzo 2013, n. 6295; Cass. 14 maggio 2018, n. 11682).

Questo principio, cui intende darsi continuità, riflette il carattere astratto del requisito di sussidiarietà ex art. 2042 c.c., requisito che postula l’inesistenza originaria di un’azione alternativa, irrilevante essendo il concreto esito negativo di un’azione astrattamente esistente (Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28042; Cass., sez. un., 28 aprile 2011, n. 9441).

Nella specie, il giudice d’appello si è attenuto al principio, facendone corretta applicazione, in quanto la domanda contrattuale dell’ A., pur astrattamente configurabile, è stata respinta in concreto, per la mancanza di “prove sufficienti all’accoglimento” (pag. 6 di sentenza).

5. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese processuali e raddoppio del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ad entrambi i controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che, per ciascuno, liquida in Euro 5.800,00 a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Dichiara che il ricorrente ha l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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