Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32227 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. II, 10/12/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 10/12/2019), n.32227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2777/2015 proposto da:

INAZ SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, e LVG

s.r.l., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA QUATTRO FONTANE 20,

presso lo studio dell’avvocato MATTEO FUSILLO, che l rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLA TRADATI;

– ricorrente –

contro

F.S., D.F.V., D.F.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ALESSANDRIA 128-130, presso lo studio

dell’avvocato ANTONINO PIRO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 437/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/05/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato TRADATI Paola, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ex art. 409 c.p.c. – notificato il 28 marzo 1996 D.F.S. conveniva in giudizio la società Inaz Paghe s.r.l., affinchè fosse accertato “che tra le parti è intercorso un rapporto di lavoro autonomo, caratterizzato da prestazione personale, coordinata e continuativa del ricorrente, per lo svolgimento della prevalente attività di assistenza e consulenza in favore della clientela della resistente”, dichiarato “il diritto del ricorrente a percepire le competenze dedotte dalle parti nei contratti tra loro intercorsi”, condannata la convenuta al pagamento in favore della parte ricorrente, se del caso ai sensi dell’art. 2126 c.c., ovvero dell’art. 2041 c.c., della somma di Lire 328.536.262″. A sostegno della domanda il ricorrente esponeva che dal 1976 le parti avevano stipulato una serie di contratti, qualificati come contratti di agenzia, in base ai quali il ricorrente si impegnava da un lato a fornire assistenza e consulenza e dall’altro lato a proporre ai clienti l’acquisto di alcuni prodotti della convenuta, che l’ultimo contratto era del 26 aprile 1994 ed era stato risolto, con effetto immediato, da Inaz il 4 maggio 1995, che in conseguenza della cessazione del rapporto aveva diritto a percepire somme a titolo di differenze provvisionali e indennità di mancato preavviso. Costituitasi in giudizio, Inaz Paghe contestava la prevalenza dell’attività di consulenza dedotta dal ricorrente, rilevando come i contratti intercorsi tra le parti fossero da qualificarsi quali contratti di agenzia, contratti dei quali eccepiva inoltre la nullità per la mancata iscrizione del ricorrente al ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio, mancata iscrizione che la convenuta aveva appreso solo il 27 aprile 1995 e che aveva determinato la cessazione del rapporto da parte della società; in via riconvenzionale, Inaz chiedeva la condanna del ricorrente al rimborso delle somme percepite a titolo di provvigioni dal 1988 al 1995.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 19413/2005, in parziale accoglimento della domanda principale condannava Inaz Paghe al pagamento in favore del ricorrente di Euro 134.508,69; respingeva invece la domanda riconvenzionale. In particolare, il Tribunale disattendeva la qualificazione, suggerita da D.F., del rapporto

come lavoro autonomo, qualificando il contratto intercorso tra le parti come contratto di agenzia sulla base di due argomenti: sul punto si era formato giudicato con la sentenza n. 27488/2002, con cui la Corte d’appello di Roma aveva riformato la sentenza di prime cure che aveva ritenuto non dovuti i contributi versati da Inaz Paghe all’Enasarco sul presupposto della nullità del contratto di agenzia per mancata iscrizione al ruolo da parte di D.F., con ciò riconoscendo come contratto di agenzia quello stipulato tra le parti; in secondo luogo andava considerato il potere del giudice di procedere alla qualificazione giuridica del fatto e, nel caso in esame, la documentazione prodotta e i contratti conclusi nel tempo, anche considerando la corrispondenza intercorsa tra le parti, inducevano a considerare la sussistenza di un contratto di agenzia, come d’altro canto ritenuto dalla società convenuta, contratto da ritenersi valido alla luce della direttiva n. 86/653/CEE. Quanto alle somme richieste dal ricorrente, il Tribunale le riteneva dovute, per avere Inaz Paghe contestato tali importi soltanto in seguito all’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio e, perciò, tardivamente.

2. Avverso la sentenza proponevano appello Inaz s.r.l. (in qualità di successore di Inaz Paghe s.r.l.) e LVG s.r.l. (già Inaz Paghe s.r.l.), lamentando l’erroneità dell’impugnata sentenza sulla base di quattro motivi: vizio di ultrapetizione, per avere il Tribunale qualificato il contratto come contratto di agenzia oltre i limiti della domanda del ricorrente; violazione ed errata applicazione degli artt. 416 e 167 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto non contestate le pretese del ricorrente; erronea ricostruzione dei fatti, per avere il Tribunale ritenuto direttamente applicabile al caso di specie la direttiva n. 86/653/CEE; nullità della consulenza tecnica ed erroneità del calcolo della somme liquidate a titolo di provvigioni per il mese di febbraio 1995.

La Corte d’appello di Roma – con sentenza 23 gennaio 2014, n. 437 – ha rigettato il gravame.

3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione Inaz s.r.l. e LVG

s.r.l..

Resistono con controricorso F.S., D.F.L. e D.F.V., in qualità di successori di D.F.S..

Le ricorrenti e i controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Il ricorso è articolato in cinque motivi, che sostanzialmente ripropongono i quattro motivi d’appello.

1) Il primo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la Corte d’appello ritenuto non viziata da ultrapetizione la decisione del Tribunale di qualificazione dei contratti oggetto di causa come contratti tipici di agenzia.

Il motivo è infondato. Le ricorrenti, che avevano in primo grado eccepito che si trattava di rapporto di agenzia e non di rapporto di lavoro autonomo, contestano che questa qualificazione sia stata riconosciuta dal Tribunale perchè il giudice si sarebbe in tal modo pronunciato oltre i limiti della domanda. Il vizio, come ha affermato il giudice d’appello, non sussiste, essendosi il Tribunale limitato a qualificare giuridicamente i fatti posti dall’originario ricorrente a fondamento della propria domanda. Secondo l’orientamento di questa Corte, infatti, il giudice ha “il potere-dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione”, con il “limite del rispetto del petitum e della causa petendi, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso” (così, da ultimo, Cass. 8048/2019). Nel caso in esame, il giudice ha riconosciuto al ricorrente il bene della vita che questi aveva chiesto (la condanna di Inaz a pagare le provvigioni e le indennità) sulla base dei fatti costitutivi allegati, le prestazioni da

egli svolte sulla base dei contratti intercorsi tra le parti (v. lo svolgimento del processo alla p. 2 della sentenza impugnata e l’esposizione a p. 3 del ricorso).

2) Il secondo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 416,167 e 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la Corte d’appello confermato la pronuncia del Tribunale in relazione alla ritenuta mancata contestazione da parte della società resistente in ordine alle somme richieste dal ricorrente, quando invece, essendo l’oggetto del giudizio non il riconoscimento di importi provvigionali e dell’indennità sostituiva di preavviso, ma il pagamento di un importo a titolo risarcitorio ex artt. 2126 o 2041 c.c., non aveva ragion d’essere un onere di Inaz di contestare domande che non erano nemmeno state formulate; Inaz ha radicalmente negato il diritto del ricorrente di ottenere le somme richieste, così investendo “l’intera architettura difensiva del ricorrente, senza dunque che alcun elemento ne restasse escluso”; d’altro canto l’onere di contestazione specifica è stato espressamente introdotto soltanto nel 2009.

Il motivo è infondato. Le ricorrenti, anzitutto, sembrano ritenere che l’onere di contestazione abbia ad oggetto la qualificazione giuridica della domanda prospettata da chi la propone. L’onere di contestazione specifica, invece, ha ad oggetto i fatti costitutivi della domanda, cfr. l’art. 115 c.p.c.. Le ricorrenti, poi, sostengono la sufficienza dell’eccezione relativa alla riconduzione del rapporto al contratto di agenzia e alla nullità del medesimo, che avrebbe reso superflua la più specifica contestazione sui conteggi proposti dall’attore, tesi che si collega a quella per cui il principio di non contestazione sarebbe “sorto” solo nel 2009, con la modifica dell’art. 115 c.p.c.. Nessuno dei due argomenti è fondato: non quello della novità del principio, che è solo stato codificato dal legislatore seguendo la giurisprudenza di questa Corte, che lo ritiene immanente nel carattere dispositivo e nel sistema di preclusioni su cui si fonda il processo civile, che comportano “per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa” (così Cass. 3245/2003). Quanto all’eccezione di nullità del rapporto di agenzia intercorso tra le parti, questa non ha affatto investito “necessariamente ogni allegazione dell’attore”, “risultandone, per l’effetto, esclusa ogni necessità di più specifica contestazione” – come sostengono le ricorrenti richiamando la pronuncia delle sezioni unite n. 761/2002 – perchè era appunto solo inerente alla mancata iscrizione nel ruolo di agente dell’attore, così che, una volta superata quella tesi, la stessa linea difensiva assunta da Inaz, che riconduceva, pur assumendone la nullità, il rapporto a quello di agenzia, comportava che la mancata contestazione delle voci di credito fosse incompatibile con la negazione del fatto, incompatibilità che rendeva – come ha affermato il giudice d’appello inutile la prova del fatto perchè non controverso.

3) Con il terzo motivo – che riporta “violazione e/o falsa applicazione della direttiva n. 86/653/CEE, della L. 3 maggio 1985, n. 204, art. 9 e dell’art. 11 disp. gen., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3″ – le ricorrenti sostengono l’erroneità della decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha confermato la decisione del Tribunale di rigetto dell'”eccezione di nullità del contratto di agenzia intercorso tra le parti in conseguenza di quanto disposto dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee del 30 aprile 1998”.

Le ricorrenti articolano così la loro censura:

a. la direttiva 86/653/CEE, che, secondo la sentenza sopra richiamata della Corte Europea di giustizia, osta a una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio a un apposito ruolo, è appunto una direttiva e non un regolamento e non può quindi incidere sui rapporti tra privati;

b. in ogni caso, anche considerando la direttiva direttamente efficace nell’ordinamento italiano dalla scadenza del termine per darvi attuazione, ossia il 31 dicembre 1989, essendo il rapporto tra Inaz Paghe e D.F. iniziato nel 1976, l’abrogazione della norma imperativa che sancisce la nullità del contratto non poteva retroagire sulla qualificazione del contratto;

c. infine, la comunicazione della cessazione del rapporto è intervenuta nel 1995, ossia tre anni prima della pronuncia della Corte Europea di giustizia.

Gli argomenti sono tutti e tre infondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la direttiva 86/653/CEE è auto-applicativa: contenendo disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, dalla scadenza del termine assegnato per la sua attuazione è “produttiva di effetti diretti nell’ordinamento italiano” (così Cass. 5505/2002). A partire da tale data, la normativa interna con essa in conflitto non era quindi più applicabile, e il meccanismo della disapplicazione non è comparabile con quello abrogativo (invocato dalle ricorrenti): la norma interna (L. n. 204 del 1985, art. 9) è rimasta formalmente in vigore, ma non ha più avuto spazio applicativo (il “ruolo” degli agenti sarà poi abrogato nel 2010), appunto perchè in contrasto con il diritto comunitario, che è intervenuto quando il rapporto tra le parti era in corso. Collegare come fanno le ricorrenti – l’operatività della norma comunitaria alla pronuncia della Corte di giustizia è improprio, in quanto la giurisprudenza non crea ex tunc la norma, ma ne fa emergere il significato.

4) Il quarto e il quinto motivo cumulativamente fanno valere “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 191 c.p.c., art. 1748 c.c., art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”: la pronuncia della Corte d’appello sarebbe errata nella parte in cui ha rigettato il quarto motivo di gravame, con il quale si lamentava la nullità della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado e l’erronea quantificazione delle somme ritenute dovute a D.F..

Il motivo non può essere accolto. Quanto alla nullità della consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe “palesemente ecceduto i limiti del mandato conferito dal giudice”, la Corte d’appello ha ritenuto – con valutazione argomentata e condivisibile – che il consulente tecnico d’ufficio abbia correttamente interpretato il quesito (cfr. p. 8 della sentenza impugnata). Circa l’erroneo conteggio delle provvigioni relative al febbraio 1995, la censura si sostanzia in una inammissibile richiesta a questa Corte di legittimità di rivalutare elementi di prova, perdipiù in relazione a fatti che, come si è visto supra sub 2, sono stati oggetto di contestazione, tardiva, solo a seguito dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio.

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle società ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 7.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, comma 1-bis, i presupposti per il versamento da parte delle società ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza della Sezione Seconda Civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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