Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32224 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. III, 13/12/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11410-2017 proposto da:

CURATELA FALLIMENTO M.S. SRL, in persona del suo Curatore

Avv. T.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PONTEFICI, 3, presso lo studio dell’avvocato NICO PANIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELA FERRARA giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 58/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 24/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha

concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato il 5.6.2013, L.P. intimò sfratto per morosità al Fallimento della soc. M.S. s.r.l., deducendo il mancato pagamento dei canoni del periodo marzo-giugno 2013 relativi ad un immobile ad uso diverso locato alla M.S. s.r.l. nel 2002.

La Curatela del Fallimento si oppose alla convalida assumendo che, in forza di contratto di affitto di ramo di azienda del 2008, nella locazione era subentrata la CIROS s.r.l., che aveva provveduto regolarmente al pagamento dei canoni; aggiunse che il locatore non aveva mai sollecitato o diffidato il Fallimento al pagamento dei canoni, così ingenerando in quest’ultimo la legittima convinzione della regolarità dei pagamenti, e che, con nota immediatamente successiva alla notifica dell’intimazione di sfratto, la Curatela aveva inviato al locatore la somma corrispondente alla dedotta morosità.

Il Tribunale dichiarò risolto il contratto di locazione per grave inadempimento della Curatela conduttrice e condannò il Fallimento al rilascio dell’immobile entro il 30 settembre 2013 e al pagamento delle mensilità di agosto e settembre 2013.

La Corte di Appello ha rigettato il gravame della Curatela, mentre ha accolto parzialmente l’incidentale del L. condannando il Fallimento al pagamento delle spese di primo grado (che erano state compensate dal Tribunale), oltre a quelle del giudizio di appello.

Ha proposto ricorso per cassazione la Curatela del Fallimento M.S. s.r.l., affidandosi a quattro articolati motivi; l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Il P.M. ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo (articolato in quattro sottomotivi), deduce:

sub 1.1, la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 112,116,132 e 342 c.p.c., dell’art. 111Cost. e dell’art. 6 CEDU, nonchè per “motivazione apparente, che si traduce in una omessa pronuncia sui motivi di appello”;

sub 1.2., la “violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. nel combinato disposto con l’art. 2734 c.c.”;

sub 1.3, la “violazione e falsa applicazione degli artt. 2568 e 2563 c.c. oltre che del D.Lgs. 10 novembre 2005, n. 30, art. 22”;

sub 1.4, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, “per mancanza di motivazione circa un motivo di appello”.

1.1. Con le anzidette articolate censure, la Curatela contesta la sentenza nella parte in cui ha affermato la “sicura inopponibilità della cessione di azienda, sempre che valida e operante tra le parti (…), nei confronti del locatore”.

Assume la ricorrente che la motivazione della Corte è “apparente” in quanto non ha considerato plurime “circostanze e prove”; che è stata erroneamente esclusa la valenza di accettazione della cessione del ramo di azienda (e del contratto di locazione) alla circostanza che, per un quinquennio, la parte locatrice aveva ricevuto il pagamento del canone da un soggetto collegato alla cessionaria CIROS s.r.l.; che altrettanto erroneamente la Corte ha valutato la denominazione (OMISSIS) (risultante nelle quietanze di pagamento) come “inidonea ad identificare il soggetto titolare dell’impresa” nella CIROS s.r.l.; afferma, conclusivamente, che “la Corte, quindi, è incorsa nel vizio di omessa pronuncia sulle conseguenze derivanti dalla circostanza che il pagamento dei canoni era stato assolto dal terzo in modo puntuale e reiterato nel tempo (5 anni) per adempiere ad una propria obbligazione pecuniaria (e non dell’originario conduttore) in dipendenza della cessione di azienda”, così che la ricezione dei canoni costituiva “elemento idoneo a dimostrare la volontà di accettare il subentro nel contratto del soggetto terzo”.

1.2. Il motivo – esaminati congiuntamente i vari profili – è infondato.

1.2.1. Quanto al motivo 1.1., la motivazione della sentenza in punto di inopponibilità della cessione di azienda al locatore è tutt’altro che apparente, essendo ampiamente illustrata ed argomentata a pagg. 6 e 7.

L’illustrazione del motivo non precisa inoltre in cosa sarebbe consistita la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., limitandosi a lamentare che la decisione era fondata “sull’esame isolato di singoli elementi e non su tutte le circostanze e prove nel complesso emerse nel corso del giudizio” e ad evidenziare le circostanze di cui la Corte avrebbe dovuto tener conto “ai fini della opponibilità del contratto di affitto di ramo di azienda”, in tal modo svolgendo deduzioni che non sono correlate alla rubrica del motivo e che risultano volte, nella sostanza a conseguire una diversa valutazione di merito.

Infine, la violazione dell’art. 116 non è dedotta in conformità a Cass. n. 11892/2016, secondo cui il vizio risulta integrato solo quando il giudice di merito disattenda il principio della libera valutazione delle prove “in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime”.

1.2.2. Quanto al motivo 1.2, richiamate – in punto di violazione dell’art. 116 c.p.c. – le considerazioni che precedono, deve rilevarsi che la violazione dell’art. 2734 c.c. è dedotta sull’assunto erroneo che vi siano state dichiarazioni aggiunte alle quietanze di pagamento rilasciate dal locatore, mentre la Corte si è limitata a valorizzare il dato che dette quietanze fossero intestate al “(OMISSIS)’s” per escludere che vi fossero stati pagamenti quietanzati univocamente alla CIROS s.r.l.; la censura non è pertanto congruente rispetto al contenuto della decisione.

1.2.3. Le deduzioni di cui al motivo 1.3, con cui si contesta alla Corte di avere ritenuto la denominazione commerciale “(OMISSIS)” “inidonea ad identificare il soggetto titolare dell’impresa” risultano anch’esse inconferenti, in quanto non sono idonee ad incrinare la valutazione – di merito – circa la non univoca riconducibilità delle quietanze alla pretesa cessionaria dell’azienda;

1.2.4. Neppure ricorre la “mancanza di motivazione circa un motivo di appello” dedotta al punto 1.4, giacchè la Corte ha – come detto – ampiamente motivato (alle pagg. 6, 7 e 8) sulla inidoneità dei pagamenti dei canoni ricevuti dal locatore a comprovare la volontà di quest’ultimo di accettare il subentro nel contratto del soggetto terzo; per il resto, il motivo insiste – inammissibilmente – su considerazioni di merito volte a conseguire una diversa lettura della vicenda.

2. Il secondo motivo (articolato in tre sottomotivi), deduce:

sub 2.1, l'”omesso esame su di un fatto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, in quanto la Corte omette di esaminare, in particolare, la tempestiva offerta dei canoni eseguita dalla curatela e gli effetti della stessa ai fini della colpa del conduttore”: la ricorrente rileva che, con nota del 13.3.2013, la Curatela aveva chiesto alla parte locatrice di precisare “se, ad oggi, siano stati puntualmente corrisposti i canoni dovuti per la locazione dell’immobile” aggiungendo “in difetto, vorrà precisare l’ammontare in modo da provvederne all’immediato pagamento”; evidenzia che a detta nota non era seguita risposta, ma soltanto – a distanza di tre mesi – la notifica dell’intimazione di sfratto; tanto premesso, assume che, “per l’esistenza della mora debendi, occorre che l’inadempimento sia imputabile al conduttore a titolo di dolo o di colpa (elemento soggettivo)” e che, “per potere essere ritenuta grave, tale da causare la risoluzione del contratto, l’inadempienza dev’essere valutata non solo in riferimento alla sua concreta entità ma anche sotto il profilo soggettivo, tenendo conto del comportamento complessivo del contraente in mora”; conclude che “la valutazione dell’inadempimento va adeguata ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale” e che “la tempestiva offerta di pagamento dei canoni eseguita anche senza le formalità dell’offerta reale vale ad escludere la mora ai sensi dell’art. 1220 c.c. e quindi la colpa del conduttore”;

sub 2.2, viene dedotta la “nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa motivazione circa un motivo di appello”, assumendosi che “la sentenza è viziata da motivazione apparente o solo di stile con riferimento alla condotta tenuta dalla curatela nella esecuzione del contratto”;

sub 2.3, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. laddove la sentenza “valuta grave l’inadempimento del conduttore”: lamenta che la Corte non ha valutato che l’inadempimento ha riguardato un singolo e giustificato episodio, relativo a sole tre mensilità, non essendo stato preceduto da alcun pregresso prolungato, reiterato o ravvicinato, ritardo nel pagamento del canone” e che tale circostanza, “considerata unitamente all’incolpevole ritardo, vista la tempestiva offerta di pagamento da parte del conduttore, cui è seguito l’effettivo saldo della morosità, vale ad escludere la gravità dell’inadempimento avuto riguardo all’intera economia del rapporto”.

2.1. Il motivo risulta – sotto ogni profilo – infondato.

2.1.1. Quanto al motivo sub 2.1, la sentenza impugnata ha esaminato il profilo soggettivo dell’inadempimento rilevando che l’assunto difensivo della curatela “non convince, ove si consideri che: a) il mantenimento di una siffatta equivoca situazione era stato reso possibile dalla stessa curatela, la quale, dopo avere chiesto ed ottenuto, nell’anno 2010, il sequestro giudiziario del bene locato, aveva omesso di dare esecuzione alla misura cautelare; b) a fronte della nota della proprietà in data 9.3.2013, nella quale si faceva riserva di risoluzione anticipata del contratto per la persistente “precarietà dei luoghi e degli adempimenti contrattuali”, sarebbe stato onere di ordinaria diligenza della curatela assumere direttamente e immediatamente la successiva gestione del contratto di locazione, anzichè affidarsi alla condotta della CIROS s.r.l., esecutiva di un contratto che la curatela aveva sempre ritenuto nullo (…) e dal quale, per di più, aveva receduto ai sensi della L. Fall., art. 79″.

La Corte non ha dunque omesso l’esame di fatti dedotti dalla ricorrente per sostenere l’incolpevolezza dell’inadempimento, ma ha compiuto una valutazione (non sindacabile) di irrilevanza della disponibilità manifestata con la nota del 13.3.2013, evidenziando come tale generica disponibilità non fosse sufficiente e come dovesse essere la curatela ad assumere direttamente la successiva gestione del contratto, individuando pertanto elementi idonei ad escludere l’assunto della incolpevolezza della ricorrente.

2.1.2. A fronte della chiara presa di posizione della Corte sul punto, risulta infondata anche la censura di motivazione omessa o apparente formulata col motivo 2.2, che peraltro svolge contestazioni di merito che non valgono ad incrinare la ratio decidendi basata sulla necessità che fosse la curatela a dover assumere in proprio il pagamento dei canoni, “anzichè affidarsi alla condotta della CIROS s.r.l.”.

2.1.3. Il motivo – attinente al profilo oggettivo della gravità dell’inadempimento – è inammissibile a fronte del principio secondo cui, “in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1455 c.c. costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass. n. 20791/2004; cfr., ex multis, anche Cass. 14974/2006 e Cass. n. 6401/2015).

3. Il terzo motivo (articolato in due sottomotivi) deduce:

sub 3.1, la “nullità della sentenza per omessa ammissione della prova testimoniale ritualmente proposta, determinante omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia”;

sub 3.2, la violazione degli artt. 224,156,253 e 116 c.p.c. nella valutazione della specificità e rilevanza della prova”.

3.1. Le censure sono inammissibili in quanto mirano a superare la valutazione con cui la Corte ha rigettato l’ammissione delle prove testimoniali (considerandole “superflue” o “generiche e di taglio valutativo” “o contrastanti con evidenze documentali” ovvero “di portata non decisiva” o “affatto irrilevanti”), mirando pertanto ad investire un apprezzamento di merito che non è sindacabile in sede di legittimità, tanto più perchè non si è tradotto nell’omesso esame di fatti decisivi (dato che, per quanto emerge dai capitoli trascritti in ricorso, le prove non vertevano sul pagamento del canoni del periodo marzo-giugno 2013, la cui omissione ha determinato la pronuncia di risoluzione per morosità).

4. Col quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, dolendosi che la Corte abbia condannato la Curatela al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio senza considerare che l’appello incidentale del Lauro era stato rigettato nella parte in cui aveva chiesto la condanna del Fallimento al pagamento dei canoni maturati dopo lo sfratto; assume che la reciproca soccombenza avrebbe dovuto determinare la compensazione delle spese del giudizio di appello.

4.1. Il motivo è infondato, poichè la Corte si è evidentemente attenuta al criterio della soccombenza prevalente e non è censurabile in sede di legittimità la scelta del giudice di merito di non avvalersi della facoltà di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite.

5. In difetto di attività difensiva dell’intimato, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

6. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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