Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32219 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. III, 13/12/2018, (ud. 04/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13645-2015 proposto da:

L.E., L.F., L.S.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DE’ GRENET 30 SCALA A, presso

lo studio dell’avvocato LORELLA MONTANO, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIUSEPPE MONTANO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4575/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/10/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I fratelli E., S.A. e L.F. adirono la Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per sentir dichiarare la risoluzione di un contratto di affitto agrario per morosità del conduttore M.V. e per avere questi subaffittato il fondo a tale D.B.L.; in subordine, chiesero che venisse dichiarata la scadenza del contratto alla data del 30.11.2014.

Il M. contestò la morosità, assumendo che il canone dovuto era quello di 720,00 Euro annui risultante dal contratto registrato il 2.12.2004 e non quello di 4.200,00 Euro di cui ad una scrittura -avente la stessa data della prima – registrata il 4.8.2010; contestò, altresì, di avere subaffittato il fondo.

Il Tribunale accolse le domande di risoluzione e rilascio proposte dei ricorrenti, ritenendo sussistente la morosità, e condannò il M. al pagamento dei canoni insoluti.

La Corte di Appello di Napoli ha riformato la sentenza, rigettando le domande attoree, sulla base del seguente percorso argomentativo:

il gravame del M. era ammissibile in quanto “soddisfa, nella sostanza, il disposto dell’art. 434 c.p.c.”;

il Tribunale aveva accolto la domanda fondata sulla morosità facendo riferimento alla scrittura che recava il canone di 4.200,00 Euro, che tuttavia era stata “impugnata di falso dal resistente che sosteneva che la clausola relativa al canone era stata aggiunta a penna, successivamente alla sua sottoscrizione”;

il primo giudice aveva erroneamente affermato che il contratto indicante l’importo di 4.200,00 Euro era incontestabile in quanto, pur ricorrendo un’ipotesi di riempimento absque pactis, non era stata proposta querela di falso: doveva invece ritenersi che “la mancata produzione dell’atto in originale esonerava la parte dall’onere della querela”; infatti, “pur a fronte della eccepita contraffazione, i L. non hanno prodotto l’originale della scrittura che, dattiloscritta, reca effettivamente aggiunto solo a penna, e fuori dai margini, l’importo di Euro 4.200,00, piuttosto che quello di Euro 720,00 di cui al contratto del 1.12.2004 registrato il giorno successivo”;

“la parte che aveva esibito il contratto di affitto recante il maggior canone solo in copia fotostatica, non avrebbe potuto, dunque, avvalersi della prova documentale rappresentata dalla detta scrittura”, potendo invece fornire la prova del contenuto del documento con altri mezzi di prova ordinari, nei limiti della loro ammissibilità;

essendo stata dedotta un’ipotesi di simulazione, trovava applicazione il divieto di prova testimoniale di cui all’art. 1417 c.c., mentre la Corte aveva potuto ammettere l’interrogatorio formale del M. che, tuttavia, non ne aveva determinato la confessione, “avendo il predetto dichiarato che il foglio in oggetto, quando era stato da lui firmato, riportava solo l’intervenuto accordo per l’affitto ma non specificava l’importo del canone”;

nè, d’altra parte, poteva “assumere rilievo, in tale contesto, l’assegno circolare, recante la cifra di Euro 4.200,00, emesso in favore di L.E. in data 15.1.2009, unico pagamento di tale entità, di cui non è dato conoscere la causale”;

rigettata pertanto la domanda di risoluzione per morosità, doveva essere disattesa anche quella basata sul dedotto subaffitto, in quanto tale rapporto non risultava sufficientemente provato, atteso che, a fronte dell’affermazione di L.E. di avere rinvenuto nel fondo il D.B. intento a piantare meloni con l’aiuto di alcuni lavoratori extracomunitari, non vi era riscontro dell’esistenza del contratto di affitto, dato che il M. aveva giustificato “diversamente” la presenza del D.B., adducendo la vendita in blocco al medesimo di prodotti agricoli;

la domanda subordinata di finita affittanza risultava – infine – improponibile in quanto non preceduta dal tentativo di conciliazione di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 46.

Hanno proposto ricorso per cassazione i fratelli L., affidandosi a nove motivi; l’intimato non ha svolto attività difensiva.

La parte ricorrente ha depositato memoria con cui ha dato atto di essere rientrata in possesso del fondo in data 1.3.2018, ma ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo -che denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. e censura la Corte territoriale per avere affermato l’ammissibilità dell’appello del M. – è inammissibile e, comunque, infondato, in quanto:

trascrive uno stralcio dell’atto di appello senza precisare se esso riporti i motivi nella loro integralità;

sulla base dei passaggi trascritti, risulta corretto l’assunto della Corte sulla sostanziale idoneità dell’atto di impugnazione a soddisfare la prescrizione di cui all’art. 434 c.p.c..

2. Il secondo motivo – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 214 (disconoscimento scrittura privata) e 215 (riconoscimento tacito di scrittura privata) c.p.c. e art. 101 (principio del contraddittorio) c.p.c.. In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – censura la Corte per avere ritenuto “implicitamente il disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica tempestivo poichè esso è soggetto alle modalità e ai termini fissati dagli artt. 214 e 215 c.p.c. e pertanto doveva avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, con conseguente impossibilità, rilevabile d’ufficio, che venga effettuato per la prima volta in appello essendo stato il documento già prodotto in primo grado e quivi (in sede di interrogatorio) riconosciuto”.

3. Il terzo motivo denuncia “Cosa giudicata. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. (cosa giudicata) e dell’art. 112 (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: premesso che la sentenza impugnata aveva dato atto che il M. non aveva svolto alcun motivo di censura sulla qualificazione della fattispecie compiuta dal primo giudice in termini di riempimento di foglio “sine pactis” piuttosto che “contra pacta”, i ricorrenti assumono che erroneamente la Corte aveva affermato che la scrittura privata riportante il canone di 4.200,00 Euro non potesse costituire fonte di prova nel presente giudizio; che neppure era stata impugnata la ricostruzione in fatto secondo cui l’importo di 4.200,00 Euro che risultava essere stato corrisposto in un’occasione corrispondeva proprio a quello della scrittura contrattuale contestata; che, in difetto di specifica impugnazione sul punto, la Corte non avrebbe potuto inquadrare la vicenda in termini di simulazione, ritenendo operanti i limiti probatori previsti dall’art. 1417 c.c.

4. il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2702 e 2719 c.c. e censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che la contestazione dell’autenticità della scrittura prodotta dagli appellati avrebbe comportato che questi, per avvalersene, avrebbero dovuto produrre il documento originale sì da consentire la proposizione della querela di falso; sostengono i ricorrenti che una siffatta affermazione “non appare conforme a diritto poichè non si verte nel caso di disconoscimento della sottoscrizione o della scrittura, ma solo di una postilla pretesamente aggiunta dopo la sottoscrizione”; aggiungono che “l’onere della prova, configurandosi come eccezione la deduzione di riempimento sine pactis, grava su chi figuri come sottoscrittore e quindi sul M., mentre la Corte aveva “posto interamente in capo all’appellata la prova dell’importo del canone”, senza considerare che “il M. avrebbe potuto/dovuto assolvere alla prova a suo carico depositando una qualche ricevuta/quietanza/assegno anteriore al gennaio 2009 dell’importo di Euro 720,00 invece che di Euro 4.200,00”.

5. Col quinto motivo (che denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 356 c.p.c. e art. 1417 c.c.), i ricorrenti censurano la Corte “per non aver ammesso mezzi di prova che avrebbero dovuto far decidere diversamente la causa e ha invertito l’onere della prova in danno degli attuali ricorrenti”; e ciò per aver ammesso, in punto di simulazione, il solo interrogatorio formale “e non anche la richiesta di ctu e la prova per testi sul subaffitto che (…) avrebbe indotto comunque la Corte territoriale alla convalida dello sfratto per grave inadempimento”; in punto di subaffitto)evidenzia come il D.B. non potesse trovarsi nel fondo, nel mese di marzo, per raccogliere meloni e cocomeri (bensì per piantarli) e come nel giudizio di appello fossero stati depositati una lettera del difensore D.B. con cui questi si qualificava subaffittuario e una copia del ricorso possessorio promosso dal predetto.

6. Col sesto motivo, si deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 355 (provvedimenti sulla querela di falso) e 221 (modo di proposizione della querela) e 222 (interpello della parte che ha prodotto la scrittura) c.p.c.”: premesso che il M. aveva depositato nel corso del giudizio di appello, all’udienza del 16.4.2014, “una querela di falso nei confronti della signora L. sostenendo che avesse alterato la scrittura decisiva per il giudizio con l’aggiunta della misura del canone di Euro 4.200,00”, i ricorrenti sostengono che la Corte avrebbe dovuto sospendere il giudizio e fissare alle parti un termine perentorio entro il quale riassumere la causa di falso avanti al Tribunale.

7. Il settimo motivo (che denuncia la violazione degli artt. 112,115,116 e 356 c.p.c.) rinnova le censure in merito alla mancata considerazione che sarebbe stato il M. a dover provare di avere effettuato, anche prima dell’anno 2009, pagamenti per 720,00 Euro annui e alla conseguente inversione dell’onere della prova da parte della Corte, che aveva parimenti errato nel non ammettere la ctu valutativa sull’importo del canone.

8. Con l’ottavo motivo (che denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c.), i ricorrenti denunciano l’erroneità della sentenza, “con violazione dell’art. 112 c.p.c.” per aver dato credito alla tesi della vendita in blocco di prodotti agricoli da parte del M. in favore del D.B., senza considerare che quest’ultimo era stato sorpreso non a raccogliere prodotti invernali, ma a piantare meloni; ciò che avrebbe dovuto far ritenere provato l’inadempimento dell’affittuario non solo per morosità, ma anche per aver subaffittato il fondo.

Sotto altro profilo, si dolgono che, anche a voler ritenere che il canone effettivo fosse di 720,00 Euro, la Corte non aveva considerato che i due vaglia emessi nell’anno 2010 potevano valere -al massimo-a coprire le annate agrarie 2008 e 2009, residuando pertanto la morosità per i canoni successivi scaduti fino al 2011.

9. Il nono motivo denuncia “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, evidenziando come la motivazione della Corte sia stata del tutto “omessa/insufficiente” in relazione al documentato pagamento di 4.200,00 Euro (rispetto al quale si è limitata a rilevare che “non è dato conoscere la causale”) e che “neanche la circostanza del subaffitto” era stata “correttamente valutata dalla Corte di Appello”.

10. I motivi dal secondo al nono, esaminati congiuntamente, risultano fondati per quanto di ragione, nei termini che seguono.

Va premesso che la ratio fondante della decisione si articola nei seguenti passaggi:

a fronte della contestazione dell’autenticità della scrittura privata esibita in fotocopia, i ricorrenti avrebbero dovuto produrre l’originale, “sì da consentire alla controparte di valutare la reale natura della contraffazione e così poter proporre la querela di falso”;

“pur a fronte dell’eccepita contraffazione, i L. non hanno prodotto l’originale della scrittura”;

la mancata produzione dell’originale esonerava il M. dall’onere di proporre querela di falso;

“la parte che aveva esibito il contratto di affitto recante il maggior canone solo in copia fotostatica, non avrebbe potuto, dunque avvalersi della prova documentale rappresentata dalla anzidetta scrittura, in mancanza dell’originale”;

le prove diverse da quelle testimoniali (non ammissibili ex art. 1417 c.c.) non avevano dimostrato che l’accordo effettivo fosse nel senso della determinazione del canone in Euro 4.200,00; tanto più che risultava irrilevante la dimostrazione di un pagamento di 4.200,00 Euro, effettuato in favore della L. data 15.1.2009, di cui non era “dato conoscere la causale”.

Tanto rilevato, deve considerarsi che:

erroneamente la Corte ha individuato nella contestazione effettivamente svolta dal M. (che non ha negato di avere sottoscritto la scrittura prodotta in copia, ma si è limitato a sostenere che quella da lui firmata non recava l’indicazione del canone, che quindi sarebbe stato aggiunto – a penna – dopo la formazione della scrittura) una implicita contestazione della conformità all’originale della fotocopia prodotta dai L.;

infatti, per quanto non richieda formule sacramentali, è necessario che il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale sia effettuato “espressamente”; ipotesi che per quanto sopra evidenziato – non risulta integrata nel caso di specie;

atteso, dunque, che non può ritenersi che il M. abbia contestato la conformità della fotocopia all’originale, deve considerarsi che – a norma dell’art. 2719 c.c. – le copie fotografiche delle scritture che non siano espressamente disconosciute hanno la stessa efficacia delle autentiche;

non risulta pertinente il richiamo compiuto dalla Corte territoriale a Cass. n. 19987/2011 (secondo cui, a fronte della contestazione della “autenticità di una scrittura privata esibita in fotocopia in giudizio e di cui si eccepisca la contraffazione, la parte che intenda valersene deve produrre il documento originale, o indicare le ragioni per cui non ne sia in possesso, in modo da consentire alla controparte di valutare la reale natura della contraffazione e così di proporre la querela di falso, il cui giudizio di accertamento deve necessariamente svolgersi sull’originale”), giacchè – per quanto emerge dalla motivazione, a pag. 3 – tale pronuncia è stata emessa sul presupposto che vi fosse stata contestazione della conformità della copia prodotta all’originale, diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie;

risulta pertanto erroneo l’assunto della Corte di Appello secondo cui “la mancata produzione dell’atto in originale esonerava la parte dall’onere di proporre la querela”: la querela avrebbe ben potuto essere proposta avverso la fotocopia non disconosciuta, salvo “il grado di probatorietà che gli accertamenti in tal caso possono raggiungere” (Cass. n. 5350/1996) e salva la possibilità di acquisire nel relativo giudizio l’originale, ove ritenuto necessario in relazione alla natura del falso dedotto;

deve conseguentemente ritenersi che la Corte sia pervenuta erroneamente all’affermazione della inutilizzabilità tout-court della scrittura in questione, alla quale va invece riconosciuta efficacia probatoria pari a quella dell’originale, fatta salva la necessità di valutare – a fronte delle due scritture recanti l’indicazione di canoni diversi – quale sia stata l’effettiva volontà delle parti, anche alla luce degli altri elementi emersi dall’istruttoria;

fra tali elementi non può trascurarsi la prova documentale del versamento (nel gennaio 2009) dell’importo di 4.200,00 Euro: rispetto a tale elemento, la Corte ha effettivamente invertito l’onere della prova giacchè, a fronte di un documento (quale la scrittura in contestazione) che consentiva di ricondurre il versamento della somma al pagamento del canone, la Corte non avrebbe potuto limitarsi ad affermare che non era dato conoscere la causale, tanto più in una situazione processuale in cui il M. (che avrebbe potuto e dovuto fornire puntuale indicazione dell’imputazione del pagamento) si era limitato ad una giustificazione del tutto generica (ossia – per quanto indicato a pag. 6 del ricorso – il “bisogno di denaro” della L.);

sotto altro profilo, deve rilevarsi – con specifico riferimento all’ottavo motivo – che, ove si dovesse pervenire alla conclusione che il canone effettivamente pattuito era di 720,00 annui e non si imputasse a pagamento del canone l’assegno di 4.200,00 consegnato dal M. alla L. nel gennaio 2009, si dovrebbe verificare l’integralità del pagamento di tutti i canoni (nell’anzidetto importo annuo di 720,00 Euro) fino al momento della domanda di risoluzione per morosità (marzo 2012); e ciò a fronte della deduzione dei ricorrenti secondo cui erano stati effettuati soltanto due versamenti nel corso dell’anno 2010 che – in difetto di imputazione a pagamento di canoni dell’assegno di 4.200,00 Euro – sarebbero stati da riferire alle annate 2008 e 2009, restando pertanto scoperte le annate successive;

la sentenza va dunque cassata nella parte in cui ha rigettato la domanda di risoluzione per morosità, con rinvio alla Corte territoriale perchè rivaluti, alla luce delle considerazioni sopra svolte, se sussista l’inadempimento lamentato dai L.;

quanto alla domanda di risoluzione basata sul rapporto di subaffitto che sarebbe intercorso fra il M. e il D.B., le censure prospettano, sotto l’apparenza di violazioni di norme di diritto, censure su accertamenti di fatto che non trovano aggancio in pertinenti censure ex art. 360 c.p.c., n. 5: sul punto, il ricorso risulta pertanto inammissibile.

11. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Napoli, Sezione Specializzata Agraria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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