Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32218 del 13/12/2018

Cassazione civile sez. III, 13/12/2018, (ud. 04/10/2018, dep. 13/12/2018), n.32218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4554-2015 proposto da:

C.G., P.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ARCHIMEDE 143, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PATRICELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE FORTE

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.A., CA.MA., CA.EM., V.E.,

CA.GI.;

– intimati –

Nonchè da:

CA.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

95/E, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MICHELE FARES,

DEBORAH DI BITONTO giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

C.G., P.C.;

– intimati –

Nonchè da:

CA.MA., CA.GI., CA.EM., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio

dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, rappresentati e difesi

dall’avvocato PASQUALE MARIO EMANUELE CASO giusta procura in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

P.C., C.G., V.E.,

CA.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1071/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/10/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Lucera rigettò la domanda di riscatto agrario proposta da S.A. e dai figli Ma. ed Ca.Em. nei confronti dei coniugi C.G. e P.C. in relazione ad un fondo venduto ai convenuti, con rogito del 22.1.1999, da Ca.Sa.; il Tribunale rigettò altresì la domanda riconvenzionale di risarcimento danni spiegata dai convenuti e la domanda di garanzia per eventuale evizione proposta nei confronti del terzo chiamato in causa C.S. (cui erano succeduti, nel corso del giudizio, gli eredi V.E. e Ca.Gi.).

In riforma di tale sentenza, la Corte di Appello di Bari ha accolto la domanda di riscatto sostituendo, con effetto ex tunc, S.A. e Ma. ed Ca.Em. nella posizione degli originari acquirenti e condannandoli al pagamento del prezzo di riscatto nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza; ha infine condannato i coniugi C.- P. e gli eredi di Ca.Sa. al rimborso delle spese del doppio grado in favore degli appellanti S. e Ca..

La Corte ha affermato che:

– si era determinato un giudicato interno sull’affermazione del Tribunale secondo cui gli attori non avevano ricevuto la comunicazione utile ai fini dell’esercizio della prelazione;

– al fine di ritenere sussistente la qualifica di coltivatore diretto, è sufficiente la “coltivazione abituale”, non richiedendosi che tale attività sia svolta in via esclusiva o che costituisca l’attività lavorativa principale;

– nel caso di specie risultava integrata tale abitualità e ricorreva altresì il requisito della forza lavorativa pari ad almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, dato che, a fronte di un fondo esteso 59 ettari e richiedente 957,3147 ore lavorative, i retraenti offrivano 689,3 ore lavorative, pari a circa 2/3 del fabbisogno;

– la domanda di riscatto andava pertanto accolta, e ciò per il prezzo di 1.200.000.000 di Lire, in quanto non era stata fornita prova della simulazione di tale importo;

– quanto alla domanda di risarcimento danni proposta dai retrattati nei confronti del loro dante causa, premesso che non era dovuto il rimborso del prezzo (che sarebbe stato pagato dai retraenti), non era stata fornita la prova (di cui erano onerati i coniugi C.- P.) “di aver subito dall’evizione danni ulteriori rispetto a quello costituito dall’avvenuto pagamento del prezzo della vendita”;

– “avuto riguardo all’esito complessivo del giudizio”, le spese del doppio grado in favore dei retraenti andavano poste “a carico dei coniugi C.- P. e degli eredi di Ca.Sa. ( V.E. e Ca.Gi.)”.

Hanno proposto ricorso per cassazione C.G. e P.C., affidandosi a sei motivi; hanno resistito S.A. e Ma. ed Ca.Em., con controricorso contenente ricorso incidentale basato su tre motivi, nonchè C.G., anche in qualità di erede di V.E., con controricorso contenente ricorso incidentale basato su quattro motivi.

I ricorrenti principali hanno depositato memoria

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE C.- P..

1. Il primo motivo (che denuncia la “violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31 in relazione alla qualifica di coltivatore diretto”) censura la Corte territoriale per avere riconosciuto ai retraenti la qualifica di coltivatori diretti: premesso che “la qualifica di coltivatore diretto presuppone la coltivazione personale dei fondi che non è mai stata effettuata da nessuno dei resistenti”, i ricorrenti assumono che “dalla sentenza impugnata non risulta che gli attori abbiano mai svolta attività di coltivazione diretta sui fondi condotti in affitto o sui propri posti a confine con quelli oggetto di riscatto”; contestano la sentenza per essersi basata sulle risultanze della c.t.u., senza considerare che la stessa era palesemente contraddetta dalla documentazione prodotta, ossia dagli allegati alla relazione, oltrechè dalle prove testimoniali.

2. Col secondo motivo (violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8 “in relazione al requisito della mancata alienazione”), i ricorrenti rilevano che la Corte non aveva considerato che il requisito della mancata vendita infrabiennale era “venuto meno a seguito della vendita da parte dei retraenti S.A. e Ca.Em. che hanno alienato i loro fondi” (per la quota di due terzi ed in favore di Ca.Ma.) “in data immediatamente successiva alla domanda di riscatto e durante la pendenza del giudizio”, con atto del 25.1.2002.

3. Col terzo motivo (violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8 “in relazione alla capacità lavorativa”), i ricorrenti deducono che Ca.Em. e S.A. “non hanno alcuna capacità lavorativa, essendo gli stessi dediti ad altra attività e non avendo il possesso di fondi rustici, nè di alcuna macchina agricola” e aggiungono che “la sentenza ha errato nel considerare la capacità lavorativa solo in relazione ai fondi oggetto di riscatto e non all’intera azienda coltivata”; richiamano, al riguardo, le risultanze di una consulenza di parte a firma del dott. M.M. e sostengono che la Corte di Appello ha “impropriamente utilizzato le risultanze della (…) CTU e non ha verificato le incongruenze presenti nella stessa”; evidenziano che la consulenza d’ufficio non era “riferibile alla struttura dell’azienda agricola peritata”, che nel calcolo erano state escluse alcune rilevanti superfici aziendali, che “il numero di ore imputato alle coltivazioni (era) notevolmente sottostimato”, che era “lapalissiana l’incongruenza del fabbisogno lavorativo di frumento duro (…) se confrontato con il fabbisogno lavorativo del terreno a riposo”; richiamano sommariamente il contenuto di deposizioni testimoniali ed evidenziano, altresì, che la condizione dei fondi oggetto di riscatto (in aggiunta a quelli già posseduti) non era “riferibile direttamente ai sigg. Ca./ S., ma bensì alla società “Comunione Ereditaria di Ca.Vi.” di cui il signor Ca.Ma. risulta essere il rappresentante legale”.

4. Il quarto motivo denuncia nuovamente la violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 4 ma – in questo caso – “in relazione alla pregressa coltivazione”, sull’assunto che “non sussiste nemmeno la pregressa coltivazione del fondo che risulta coltivato dalla società semplice Comunione ereditaria C. Vincenzo come è dato agevolmente verificare dall’esame delle denunzie di semina allegate alla ctu”.

5. Col quinto motivo, viene dedotto l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”; i ricorrenti lamentano che la Corte aveva completamente ignorato che, nell’anno 2002, la S. ed Ca.Em. avevano venduto le loro quote di comproprietà a Ca.Ma. e aggiungono che la sentenza era affetta da irriducibile contraddittorietà e da illogicità manifesta e che la Corte di Appello “non solo (aveva) omesso di esaminare la documentazione allegata agli atti, ma nemmeno (aveva) considerato le deposizioni di ben 15 testimoni, i quali hanno concordemente riferito che nessuno degli attori riveste in concreto la qualifica di coltivatore diretto”.

6. Il sesto motivo denuncia “violazione o falsa applicazione della normativa in materia di garanzia per evizione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione all’art. 1479 e 1483 c.c.”: pur concordando sul fatto che, in caso di evizione conseguente a riscatto, è “esclusa la restituzione del prezzo alla quale deve provvedere il retraente”, i ricorrenti si dolgono del mancato riconoscimento del risarcimento del danno censurando la Corte “per aver rigettato la domanda di garanzia proposta nei confronti di parte venditrice ritenendo erroneamente che i coniugi P. C. non abbiano dato prova di aver subito danni ulteriori rispetto a quello costituito dall’avvenuto pagamento del prezzo di vendita”; assumono che “ciò non è assolutamente vero, in quanto dagli atti di causa risulta che gli attuali ricorrenti hanno sostenuto spese rilevanti per il mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dei terreni e hanno pagato gli interessi sulla somma mutuata”.;

RICORSO INCIDENTALE S.- CA..

7. Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione della L. 8 gennaio 1979, n. 2, art. unico, comma 2 di interpretazione autentica della L. n. 590 del 1965, nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8 e degli artt. 1353 e 1360 c.c.”: i ricorrenti rilevano che la L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 8 dispone che, nei casi in cui il pagamento del prezzo è differito, il trasferimento della proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento stesso entro il termine di legge, con conseguente inefficacia del trasferimento ove il prezzo non venga pagato nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza; ciò premesso, censurano la Corte per avere disposto la “condanna” dei retraenti al pagamento del prezzo entro il termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, “esponendoli ad una conseguenza non prevista dalla legge”.

8. Il secondo motivo (che deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c.) censura la Corte di Appello, sotto il profilo del vizio di ultrapetizione, per avere disposto la condanna al pagamento del prezzo di compravendita senza che fosse stata proposta -da alcuna delle parti- una domanda in tal senso.

9. Il terzo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 2643 c.c., n. 14 in relazione all’art. 2653 c.c., comma 1, n. 3 e art. 2654 c.c.”) censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che, “contrariamente a quanto mostrano di ritenere gli appellanti (…), la normativa in vigore non contempla nè la necessità nè l’imposizione di un ordine del giudice finalizzato all’annotazione della presente sentenza a margine dell’atto di trascrizione della domanda giudiziale, alla trascrizione della stessa sentenza nei registri immobiliari e alla voltura catastale”.

RICORSO INCIDENTALE DI CA.GI..

10. Il primo motivo denuncia la “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31 e della L. n. 817 del 1971, art. 2 quanto ai requisiti soggettivi per l’esercizio della azione di riscatto di fondo rustico ed alla qualifica di coltivatore diretto in capo ai ricorrenti”: il Ca. assume che la Corte territoriale ha trascurato la ratio dell’istituto che è stata chiamata ad applicare in quanto “oblitera integralmente il presupposto” della “diretta coltivazione dei fondi”, dato che “l’istruttoria, cui è stato dato sfogo in primo grado, ha evidenziato che difetta in capo a ciascuno degli attori la qualifica richiesta esattamente rispetto al preliminare requisito della coltivazione diretta dei fondi”; richiamate le dichiarazioni rese dai testi escussi e le valutazioni espresse dal Tribunale (che aveva rigettato la domanda di riscatto), assume che la Corte ha riconosciuto agli attori la qualifica di coltivatore diretto “sulla scorta dell’assunto meramente teorico che questa non può dirsi esclusa dall’esercitare in maniera professionale altra attività lavorativa principale”.

11. Il secondo motivo insiste – ma, in questo caso, sotto il profilo della “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo” – sulla “sussistenza dei requisiti soggettivi per l’esercizio dell’azione di riscatto di fondo rustico e della qualifica di coltivatore diretto in capo ai retraenti”: sull’assunto che la Corte ha implicitamente ritenuto “sussistenti i requisiti per il riconoscimento della qualifica di coltivatore diretto in capo agli attori”, il ricorrente denuncia la “radicale carenza di motivazione” o, quantomeno, la “motivazione insufficiente” sul punto.

12. Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31 “quanto alla verifica del requisito della capacità lavorativa”, nonchè “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”: il ricorrente si duole che la Corte, “in maniera sbrigativa ed in assenza di ogni argomentazione”, si sia affidata agli esiti della c.t.u. svolta in primo grado per affermare che le ore di lavoro offerte dagli attori assicuravano circa 2/3 del fabbisogno del fondo, senza verificare l’attività in concreto svolta da chi si affermava coltivatore diretto e senza accertare “se lo stesso, a qualsiasi titolo (… fosse) o meno nel godimento di altri fondi, tali da essere idonei ad assorbire la capacità lavorativa sua e della sua famiglia”.

13. Il quarto motivo deduce la “violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 91 c.p.c. e della regola della soccombenza ai fini della condanna alle spese di lite rispetto alla domanda di garanzia per evizione e relativo risarcimento del danno spiegata nei confronti della parte venditrice”, nonchè “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”: premesso che sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano rigettato la domanda di garanzia per evizione e risarcimento del danno proposta dai coniugi C.- P., il ricorrente si duole che la Corte, pur rigettando la domanda di garanzia, abbia poi condannato gli eredi della parte venditrice, in solido con i retrattati, “al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio in favore degli appellanti S.A., Ca.Em. e Ca.Ma.”, senza considerare che, rispetto alla posizione del terzo chiamato in causa, avrebbe dovuto essere valorizzato il c.d. principio di causalità.

14. Sulla base del criterio della “ragione più liquida”, va esaminato preliminarmente il terzo motivo del ricorso principale, che risulta fondato ed è tale da comportare la cassazione della sentenza a fronte del non esaustivo accertamento della sussistenza del requisito della capacità lavorativa.

Al riguardo, va ribadito che – ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 1, u.p. – la capacità lavorativa dev’essere verificata tenendo conto del fondo oggetto del diritto di prelazione “in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà o in enfiteusi”, richiedendosi che non sia superato il parametro del “triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa” della famiglia di chi esercita la prelazione (o il succedaneo riscatto).

Va altresì evidenziato – in termini generali – che, “attesa la rilevante compressione dell’autonomia privata che comporta l’esercizio del diritto, l’accertamento dei requisiti richiesti dalla legge deve essere condotto con particolare rigore al fine di scongiurare intenti speculativi e di salvaguardare le finalità sociali dell’istituto” (Cass. n. 15899/2011).

Nello specifico, deve rilevarsi che, con riguardo al requisito della capacità lavorativa, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che “risulta (a seguito dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio) che il terreno de quo, esteso 59 ettari, richiede 957,3147 ore di lavoro (59: 132,67 = x: 2152,66) a fronte delle quali gli attori offrono 689,3 ore di lavoro (1.550: 132,67 = x: 59), pari circa 2/3 del fabbisogno”.

Per altro verso, va considerato che i ricorrenti lamentano che la Corte ha “impropriamente utilizzato le risultanze” della c.t.u. senza considerare che i riscattanti sono proprietari di altri fondi; circostanza che emerge sia dal controricorso S.- Ca. (pagg. 26-28) che dal controricorso di Ca.Gi. (pag. 4, ove si deduce che i riscattanti erano proprietari della quota di un mezzo di un fondo esteso circa 41 ettari nonchè di un altro fondo di circa 50 ettari).

A fronte di tali elementi, deve ritenersi che la sentenza impugnata non abbia assolto all’onere di accertare specificamente se risulti rispettato il parametro della capacità lavorativa in relazione al complesso delle superfici riscattande e di quelle già di proprietà dei retraenti, essendosi limitata a considerare la superficie del fondo sottoposto a riscatto (“il terreno de quo, esteso 59 ettari”), senza indicare espressamente se il rapporto considerato dei 2/3 (o altro comunque non inferiore a 1/3) fosse riferibile all’intera superficie costituita dalla somma del fondo oggetto di causa e degli altri di proprietà dei retraenti.

L’accoglimento del motivo comporta l’assorbimento degli altri (giacchè il difetto anche di un solo requisito osta all’accoglimento della domanda di riscatto) e la cassazione della sentenza.

Egualmente debbono dichiararsi assorbiti i due ricorsi incidentali.

La Corte di rinvio dovrà pertanto rivalutare la domanda accertando, in riferimento al requisito della capacità lavorativa, se risulti rispettato il parametro legale in relazione al “fondo per il quale si intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi” (L. n. 590 del 1965, ex art. 8, comma 1).

La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbiti gli altri motivi e i ricorsi incidentali, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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