Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32213 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 12/12/2018), n.32213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8996-2018 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELL’UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI;

(Ammesso P.D.D., delibera 15/3/2018 Cons. Ord. Avv. Genova)

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

PUBBLICO MINISTERO PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE

D’APPELLO DI GENOVA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 118/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. ALDO ANGELO

DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

1.- Il cittadino senegalese signor D.A. ha presentato domanda di protezione internazionale davanti la Commissione Territoriale di Torino (sezione di Genova), che non la ha riconosciuta in alcuna forma. Non diversamente ha ritenuto l’ordinanza resa, su ricorso del richiedente, dal Tribunale di Genova in data 14 giugno 2016.

Avverso l’ordinanza ha proposto appello il cittadino senegalese, che ne ha chiesto la riforma con l’accoglimento della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine della domanda di protezione sussidiaria ovvero, e in ulteriore subordine, l’accoglimento della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.- Con sentenza depositata il 18 settembre 2017, la Corte di Appello di Genova ha respinto l’appello.

Ha in particolare osservato la Corte territoriale che il cittadino senegalese si è “limitato a riferire (sii essere fuggito dal suo paese alla fine del 2013 perchè i genitori di bambini rimasti vittima di un incidente nella falegnameria in cui egli lavorava lo minacciavano”, senza dedurre “alcuna forma di persecuzione, di rischi, nè di fatti discriminatori”. Ha altresì aggiunto che “la situazione generale del Senegal non è tale da arrivare al livello previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2014, art. 14”.

Con riferimento al tema della protezione umanitaria, la sentenza ha escluso che ne ricorrano i presupposti, rilevando che “il ricorrente non ha legami effettivi o familiari tali da integrare un motivo umanitario che ne giustifichi la permanenza in Italia, è giovane e gode buona salute, nè risulta avere reperito in Italia occupazioni lavorative che gli consentano di provvedere al proprio mantenimento”; pure sottolineando che, comunque, “in relazione a tali condizioni personali dell’appellante le statuizioni impugnate sono divenute incontrovertibili, non essendo stato il contrario dedotto come motivo di appello”.

3.- Avverso questa sentenza ricorre ora A.D. con ricorso affidato a un motivo di cassazione.

Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

4.- Il motivo proposto denunzia “violazione dell’art. 2 Cost. e del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, art. 11, (ratificato con legge n. 881 del 1977), violazione del CEDU, art. 8, in relazione in particolare al T.U. Immigrazione, art. 5, comma 6, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, violazione del T.U. Immigrazione, art. 19”.

Nel merito, il motivo censura la sentenza impugnata in relazione a quanto questa ha stabilito in punto di protezione umanitaria.

Ad avviso del ricorrente, la sentenza ha errato nel ritenere che “i presupposti della protezione umanitaria siano esclusivamente avere dei legami affettivi o famigliari in Italia ovvero godere di buona salute”. Per contro, le situazioni di vulnerabilità, che danno luogo al riconoscimento in discorso, costituiscono un “catalogo aperto” e possono ricomprendere tanto situazione soggettive, quanto situazione oggettive.

Segnalato inoltre che il ricorrente ha compiuto un “pregevole percorso di integrazione socio-lavorativa… (corsi in italiano, servizi di volontariato, stage presso una pizzeria, corso di boxe)”, il motivo sottolinea che, secondo quanto divisato dalla recente sentenza di questa Corte, 23 febbraio 2018, n. 4455, i “seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui” – all’esito di un giudizio comparativo tra la realtà italiana e quella del paese di provenienza – “risulti un’effettiva e incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa”.

5.- Il Collegio ritiene che, in disparte il D.L. n. 113 del 2018, il motivo di ricorso non possa essere accolto.

La citata sentenza di Cass. n. 4455/2018, se ha sottolineato il carattere “aperto” dei motivi di accoglienza e protezione umanitaria, ha pure rimarcato che il riscontro di un’effettiva situazione di vulnerabilità non può non partire “dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Tale punto di avvio dell’indagine è intrinseco alla ratio stessa della protezione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una effettiva deprivazione dei diritti umani che ne abbia giustificato l’allontanamento”.

Non può pertanto condividersi l’opzione interpretativa proposta dal ricorrente, che in buona sostanza va a concentrare la situazione di vulnerabilità, di cui la protezione in discorso, nella sussistenza di una fortissima sproporzione tra le condizioni di vita presenti nel paese di partenza e quelle correnti nel paese di accoglienza.

D’altra parte, nel rimarcare il positivo percorso integrativo poste in essere del periodo di permanenza in Italia, il ricorrente trascura di prendere in considerazione la preclusione operatasi nel precedente grado di giudizio e sottolineata dalla Corte territoriale.

6.- Il Collegio ritiene di compensare, in ragione dei tratti proposti dalla fattispecie concreta, le spese del giudizio di legittimità.

Essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non è dovuta alcuna integrazione del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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