Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32212 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 12/12/2018), n.32212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8740-2018 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FEDERICO LERA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1157/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 22/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. ALDO ANGELO

DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

1.- Il cittadino senegalese signor K.A. ricorre per cassazione nei confronti del Ministero dell’Interno, articolando due motivi avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Genova in data 22 settembre 2017.

Confermando quanto deciso dal Tribunale di Genova in composizione monocratica con ordinanza del maggio 2016, la Corte territoriale ha rigettato la domanda di protezione internazionale presentata da K.A., sia sotto il profilo di rifugiato politico, sia sotto quello della protezione sussidiaria, sia pure sotto quello della protezione umanitaria.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto – che è quanto in questa sede rimane in interesse -, la Corte ligure ha rilevato in particolare come sia “la stessa ricostruzione dei fatti fornita dal richiedente a escludere la sussistenza di una condizione di vulnerabilità, sia per l’inattendibilità del racconto, sia (anche attribuendo al racconto credibilità) in quanto è il richiedente a essere coinvolto in un episodio di violenza della quale non lui ma altri risulta essere stato vittima”. Riporta a questo riguardo la sentenza che K.A. ha dichiarato di essere stato coinvolto – all’epoca delle elezioni presidenziali del Senegal del 2012 – in una rissa tra i sostenitori dei contrapposti candidati, all’esito della quale egli venne denunciato insieme a un certo suo amico e l’amico anche arrestato.

2.- Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese nel presente grado di giudizio.

3.1.- Il primo motivo di ricorso lamenta “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (protezione umanitaria)”.

Nel concreto, il motivo assume come il ricorrente, “in caso di rientro in patria, si vedrebbe completamente privo di mezzi di sostentamento non avendo una casa o un lavoro da cui poter ricominciare un percorso di reinserimento che garantisca le condizioni minime di “umanità e dignità””. E aggiunge che, nell’attuale, egli si è “trasferito in provincia di Milano dove ha potuto ottenere dei piccoli lavori tramite alcune agenzie di lavoro interinale”.

3.2.- Il motivo di ricorso è inammissibile.

In disparte il D.L. n. 113 del 2018, il motivo difetta, prima di ogni altra cosa, del necessario requisito dell’autosufficienza ex art. 366 c.p.c.. Ciò in quanto il ricorrente non indica nè il “dove”, nè il “come” egli abbia sollevato – nell’ambito dei giudizi svoltisi avanti ai giudici del merito – una condizione di propria vulnerabilità legata al c.d. “rientro in patria”. Nei fatti, del resto, la pronuncia impugnata non tocca in alcun modo questo profilo.

Appare d’altro canto opportuno ricordare che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455), il “parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata”.

4.1.- Il secondo motivo di ricorso assume vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, pur fatto oggetto di discussione tra le parti.

Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe gravemente travisato la vicenda personale a lui occorsa. A questa sarebbe dunque sfuggito che il ricorrente è “vittima di una Giustizia deviata che viene asservita a lotte di potere politico, con punizione delle persone facenti parte della coalizione “perdente””.

4.2.- Il motivo è inammissibile.

In proposito, appare opportuno rilevare in primis che il “fatto” – il cui omesso esame è rilevante ai fine dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è solo quello “storico”; e non anche la valutazione che di dati fatti abbia dato il giudice del merito.

Ciò posto, il motivo in esame risulta in realtà riproporre, sotto il profilo della protezione umanitaria, il punto che in sede di appello aveva sollevato sotto il profilo della protezione sussidiaria. Punto che, peraltro, era stato effettivamente preso in considerazione dalla Corte di Appello di Genova, la quale aveva propriamente rilevato che il “Senegal è descritto dalle fonti consultate come un regime democratico, nel quale la Costituzione e la legge proibiscono la detenzione arbitraria e il governo in genere osserva questo divieto”.

5.- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Posto che il signor K.A. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non risulta dovuta alcuna integrazione del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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