Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32209 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 10/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 388/2015 R.G. proposto da:

S.C., G.V. e G.M., in

proprio e nella qualità di coeredi di G.P.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Consorti Camillo, elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv. Scaramazza Barbara, in Roma,

Via Alessandria n. 129, giusta procura speciale in calce al ricorso

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata

– controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Abruzzo, n. 601/5/2014depositata il 30 maggio 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 ottobre 2019

dal Consigliere D’Orazio Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione

udito l’Avv. Iadecola Gianfrancesco, su delega dell’Avv. Consorti

Camillo, per i ricorrenti e l’Avv. Foraci Salvatore per l’Avvocatura

Generale dello Stato

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Teramo, che aveva accolto il ricorso del contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento, con cui erano stati determinati maggiori redditi in capo a G.P., esercente attività di trasporto merci su strada, affetto da gravi patologie, per l’anno 2005, in base agli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies. In particolare, per il giudice di appello l’accertamento non era sostenuto soltanto dalle risultanze degli studi di settore, con una riduzione del reddito accertato, dopo il primo invito a comparire, seguito dal contraddittorio, con una riduzione del reddito da Euro 51.069,00 ad Euro 35.569,00, ma anche per le spese sostenute dal contribuente nello stesso periodo, quale proprietario di immobili non locati, di diverse autovetture e di polizze di assicurazione, non compatibili con il modesto reddito dichiarato.

2. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione gli eredi del contribuente S.C., G.V. e G.M..

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono “violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 5 c.p.c., in relazione al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62-bis e 62-sexies “, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto della certificazione medica prodotta dopo il primo invito a comparire, mentre la mancata partecipazione al secondo invito era dovuta alla inutilità dello stesso, in quanto le sue contestazioni erano già state documentate. La ripresa a tassazione si basava su una illogica equiparazione dell’apporto lavorativo del G., malato, a quello espletato da un addetto alla segreteria.

2. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentavano “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto. Omesso esame circa un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62-bis e 62-sexies ed all’art. 2697 c.c.”), in quanto il giudice di appello ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, sia perchè il reddito era stato ridotto a seguito del contraddittorio preventivo, sia perchè il contribuente aveva contestato solo genericamente le deduzioni dell’Ufficio. In realtà, il contribuente ha evidenziato che, a causa della grave patologia, non aveva potuto fornire alcun apporto all’attività, svolta ormai solo dai due figli, collaboratori familiari dell’impresa. Al contrario l’Ufficio ha trasformato la mancata partecipazione all’attività di impresa, in una “artificiosa partecipazione in qualità di segretario”, ricalcolando lo studio in base alle nuove e diverse mansioni a lui attribuite. Proprio la specificità della contestazione ha portato l’Ufficio a ridurre le pretese. Inoltre, non v’è alcun riferimento alla documentazione sanitaria. Nè si è tenuto conto della ridotta partecipazione dei figli, in quanto impegnati a prestare assistenza al padre.

3. Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62-bis e 62-sexies, ed all’art. 2697 c.c.”), in quanto vi è stata una violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova. L’Ufficio, infatti, non potrebbe motivare l’accertamento solo con l’applicazione degli studi di settore. All’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto, mentre il contribuente deve dimostrare, anche con presunzioni semplici, la sussistenza di condizioni di anormalità che giustificano l’esclusione dell’impresa dallo standard di riferimento. Il giudice di appello ha trascurato di considerare il contraddittorio, sia precontenzioso che processuale,

e le condizioni di salute.

4. Con il quarto motivo di impugnazione i ricorrente si dolgono della “violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), in relazione al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62-bis e 62-sexies e art. 2729 c.c.)”, in quanto il giudice di appello ha riscontrato ulteriori indizi in “sommari elementi” indicati nell’atto impugnato quali “immobili non locati, diverse autovetture e polizze di assicurazione”, ma sforniti di prova.

4.1.1 motivi primo, secondo, terzo e quarto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

4.2.Invero, per questa Corte, a sezioni unite, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione

e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., sez.un., 18 dicembre 2009, n. 26635).

Pertanto, nel caso in cui il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente abbia omesso di parteciparvi o si sia astenuto dalle attività di allegazione, l’Ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai dati desunti dagli studi di settore (Cass., 20 settembre 2017, n. 21754; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27617; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27617).

Una volta, dunque, che l’Amministrazione ha dimostrato la sussistenza di gravi incongruenze tra i dati emergenti dagli studi di settore ed il reddito dichiarato dal contribuente, grava su questi, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura (Cass., 15 gennaio 2019, n. 769).

Nella specie, vi è stato un primo invito al contraddittorio, cui ha partecipato il contribuente, che ha prodotto documentazione sanitaria sulle sue precarie condizioni di salute, all’esito del quale, l’Ufficio, proprio sulla scorta di tali documenti, ha ridotto l’importo del reddito (da Euro 51.069,00 ad Euro 35.569,00), reputando, però, che il contribuente, pur non potendo partecipare all’attività dell’impresa nel 2005, aveva però collaborato almeno in segreteria, mentre i suoi due figli avevano svolto le mansioni operative. Al secondo invito a comparire, invece, il contribuente non è comparso, ritenendo di avere già adempiuto al proprio onere probatorio con la produzione della certificazione medica. In tal modo, però, non ha in alcun modo contestato la ricostruzione dei redditi da parte dell’Ufficio, che lo aveva considerato solo come addetto alla segreteria, ma comunque partecipe dell’attività di impresa, seppure con un ruolo defilato.

La sentenza del giudice di appello è stata emessa in data 30-5-2014, quindi nel vigore del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alle sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012.

Pertanto, il giudice di appello ha tenuto conto di tutti gli elementi istruttori in atti, senza omettere l’esame di alcun elemento decisivo e controverso tra le parti.

In particolare, il giudice di appello, facendo buon governo dei principi del riparto dell’onere della prova in tema di accertamento mediante gli studi di settore, ha ritenuto che l’accertamento non si è basato solo sugli studi di settore e sul divario tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto emerso dai dati degli studi, ma ha sottolineato l’intervenuto contraddittorio con la parte, in relazione alla prima convocazione, con la conseguente riduzione della pretesa impositiva (proprio per la valutazione dell’attività del G. come addetto alla segreteria, senza più mansioni operative), oltre alle spese rilevanti, per la gestione di immobili non locati, l’utilizzo di diverse autovetture e la stipulazione di polizze, non commisurate ai redditi di impresa dichiarati di importo “modestissimo”.

Pertanto, sono stati correttamente valorizzati i dati degli studi di settore, la mancata presentazione del contribuente alla seconda convocazione, dopo la riduzione degli importi richiesti, le spese non proporzionate al modestissimo reddito dichiarato.

I ricorrenti chiedono, però, una rivisitazione degli elementi di fatto già esaminati compiutamente dal giudice di merito, non consentita in questa sede. Peraltro, per questa Corte il vizio di motivazione, nella stesura però anteriore al D.L. n. 83 del 2012 (quindi non applicabile in questa fattispecie), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., n. 2272/2007).

5.Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, per il principio di soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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