Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3219 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3219 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CARRATO ALDO

del padre di
famiglia

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 5853/’08) proposto da:

CRESPI S.R.L. (P.I.: 004409910157), in persona del legale rappresentante pro-tempore,
rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Ercoli
Costantino, Ercoli Pierantonio e Piperno Paolo ed elettivamente domiciliata presso lo studio
del terzo, in Roma, via F. Denza, n. 27; – ricorrente contro
EDILCASA S.A.S. (C.F.: 023001890162), in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli
Avv.ti Elisabetta Quadri e Paolo Panariti ed elettivamente domiciliata presso lo studio del
secondo, in Roma, via Celimontana, n. 38;

controricorrente —

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 263/2008, depositata il 4 febbraio
2008 (e non notificata);
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Data pubblicazione: 12/02/2014

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18 dicembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio
Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

al Tribunale di Lodi, la s.r.l. Crespi per sentir riconoscere, in capo alla stessa, la titolarità di
una servitù ex art. 1079 c.c., costituitasi per destinazione del padre di famiglia, sul
presupposto di essere divenuta proprietaria (a seguito di aggiudicazione conseguente a
procedura fallimentare) di un’area industriale identificata con il mappale 163, confinante a
sud con il mappale n. 139 di proprietà della suddetta convenuta. A sostegno di tale
domanda deduceva che i due predetti mappali erano appartenuti in prececiPtIZA
un’unica proprietaria (ta 3.p a AicoM), ia quale li aveva acquistati in due ~menti divgrgì –

formando, successivamente, un’unica proprietà indivisa — e che avevano entrambi
accesso alla strada provinciale 17 mediante uno stesso ponte ed il passaggio insistente
sul mappale 139, sul quale — a seguito della sopravvenuta divisione dei fondi — la società
Crespi aveva apposto una sbarra che aveva impedito ad essa attrice il transito dei mezzi
diretti alla sua proprietà.
Nella costituzione della società convenuta, il Tribunale adito, con sentenza n. 411 del
2005, rigettava la domanda attorea, regolando le spese processuali in base al principio
della soccombenza.
Interposto appello da parte della s.a.s. Edilcasa e nella resistenza dell’appellata, la Corte
di appello di Milano, con sentenza n. 263 del 2008 (depositata il 4 febbraio
2008),accoglieva il gravame e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accertava,
ai sensi dell’art. 1079 c.c., la titolarità in capo all’appellante, in quanto proprietaria del
terreno confinante, del diritto di servitù di passaggio sul fondo di proprietà della Crespi
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Con atto di citazione del 29 maggio 2001 la s.a.s. Edilcasa conveniva in giudizio, dinanzi

s.r.I., disponendo l’eliminazione di ogni ostacolo materiale all’esercizio di tale diritto ed
ordinando, quindi, alla stessa la definitiva rimozione dell’apposta sbarra; con la medesima
pronuncia compensava per intero le spese del giudizio di primo grado e condannava,
invece, l’appellata alla rifusione di quelle del giudizio di appello.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava che la sentenza di prime

evidenziando che la circostanza che lo stesso, per un certo periodo, fosse stato inagibile
avrebbe potuto avere rilievo in un contesto in cui si discuteva della continuità dell’esercizio
della servitù e non quando, come nel caso di specie, si discuteva dell’esistenza o meno di
una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia; in altri termini, nella
prospettiva della formulata domanda, era da considerarsi rilevante il solo fatto che il ponte
esistesse e che, fino ad un determinato momento, fosse stato usato e che fosse
suscettibile di riapertura, costituendo la strutturale interconnessione dei fondi attuata dal
precedente unico proprietario. Così impostata la controversia, si sarebbe dovuto ritenere
che acquistavano una diversa rilevanza sia la circostanza che, per accedere alla proprietà
dell’appellante, fosse necessario attraversare non solo il ponte, ma anche la proprietà
Crespi (ed invero l’opera visibile — ed apprezzabile anche fotograficamente – risultava
essere costituita dal ponte in collegamento con la strada lungo la roggia sulla proprietà
Crespi) sia l’ulteriore circostanza relativa alle emergenze di alcune deposizioni testimoniali
che erano state del tutto trascurate e dalle quali, invece, era possibile evincere la
ricostruzione dei luoghi e dell’accadimento dei fatti (con riguardo, in particolare,
all’impedimento al passaggio posto in essere dalla società appellata) come dedotti dalla
società appellante.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per
cassazione la Crespi s.r.I., basato su due motivi, in relazione al quale si è costituita in
questa sede l’intimata Edilcasa s.a.s., con apposito controricorso.
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cure era incongrua in relazione alla sottovalutazione dell’esistenza del ponte,

I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell’ari.
378 c.p.c. .

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto — in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – la
supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., nonché — con riferimento

costitutivo della “apparenza giuridica” della servitù di passaggio.
Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando la
sentenza impugnata pubblicata nel febbraio 2008) la ricorrente — a corredo dell’esposta
censura — ha formulato i seguenti quesiti di diritto: a) “dica la S.C. se sia corretto e
conforme all’ad. 1061 c.c., ai principi di legge ritenere sussistente opera idonea a rendere
apparente una servitù di passaggio, che si vorrebbe costituita per destinazione, quando al
momento della vendita da parte dell’unico proprietario della porzione immobiliare che si
vorrebbe gravata dalla servitù: – l’opera che si indica destinata all’esercizio della servitù di
passaggio, non sia più attuale ed utilizzabile così che sia di fatto impossibile l’utilitas
oggetto della servitù di passaggio, ovvero se la servitù (non risultando sussistente la
volontà dell’asservimento da parte dell’unico proprietario al momento della vendita
separata); – il collegamento strutturale e funzionale di quell’opera (ponte) con l’accesso
alla porzione successivamente venduta a terzo fosse anche prima della parziale
eliminazione di essa, tale da renderla inagibile, rendesse certo, in equivoco ed oggettivo
l’assoggettamento di essa anche al passaggio a favore del secondo fondo che si vorrebbe
dominante; b) se sia corretto e conforme all’ad. 1061 c.c. dedurre l’assoggettamento della
porzione che si vorrebbe servente a passaggio a favore della porzione che si vorrebbe
dominante, e quindi la “apparenza” della servitù, non sufficientemente emergente dai
luoghi e dalle opere, integrando tale insufficienza con testimonianze e con risultanze non

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all’art. 360 n. 5 c.p.c. – il vizio di omessa ed insufficiente motivazione sull’elemento

oggettive, come tali non verificabili dal primo acquirente al momento della separazione
dell’unico bene iniziale”.
Quanto al dedotto vizio logico, la società ricorrente ha dedotto l’inadeguatezza del
percorso motivazionale seguito dalla Corte di appello di Milano nella parte in cui aveva,
per un verso, omesso di considerare la circostanza che, all’atto dell’introduzione del

poiché il Fallimento Alcom aveva rinunciato alla concessione della Provincia (tanto è vero
che la società Crespi ne aveva dovuto richiedere una nuova per la sua ricostruzione), e,
per altro verso, era incorsa nella confusione tra la mera possibilità di usufruire del ponte e
del piazzale per l’accesso e la certezza ed inequivocità dell’asservimento del ponte e del
piazzale per l’accesso (anche al pioppeto).
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato — in virtù dell’art. 360 n. 5 c.p.c. – il
vizio di omessa ed insufficiente motivazione su fatti decisivi per il giudizio, anche con
riferimento alla documentazione ed alle risultanze testimoniali con le quali le due sole
testimonianze messe a fondamento della decisione risultavano in insanabile contrasto. In
particolare, con tale doglianza, ha inteso allegare la carente motivazionale della sentenza
impugnata sul fatto decisivo dell’apparenza, ancor più necessaria in quanto la situazione
di fatto accertata escludeva la sussistenza delle caratteristiche indispensabili per rendere
apparente la servitù in modo che la Crespi ne potesse prendere consapevolezza al
momento dell’acquisto. Inoltre, secondo la ricorrente, la sintetica motivazione della Corte
di appello, fondata su due sole testimonianze (anzi su due brevi stralci di deposizioni
testimoniali avulsi dal resto) appariva assolutamente inidonea a giustificare la mancata
considerazione di tutte le risultanze che avrebbero impedito la conclusioni alla quale la
stessa Corte territoriale era giunta: infatti, di fronte all’onere della prova che incombeva
all’attrice circa la “apparenza” della servitù e, quindi, dell’esistenza di opere “stabili e
visibili”, obiettivamente ed inequivocamente destinate per loro struttura e funzione al suo
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giudizio, non esisteva più neppure la possibilità giuridica di utilizzare il “reliquato” di ponte

esercizio, la motivazione della sentenza impugnata risultava gravemente carente, non
riuscendo a dare giustificazione logica e sufficiente alla decisione adottata, mentre era
certo che i fatti ignorati erano, per la loro diretta incidenza sugli elementi costitutivi ed
essenziali dell’oggetto in contestazione, idonei a condurre ad una diversa soluzione della
controversia.

requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c.), che possono essere esaminate congiuntamente
siccome strettamente connesse, sono fondate per quanto di ragione nei termini che
seguono.
Sul piano generale, è risaputo (cfr., ad es., Cass. n. 10425 del 2001; Cass. n. 3389 del
2009 e Cass. n. 16842 del 2009) che la costituzione di una servitù per destinazione
del padre di famiglia – che è fattispecie non negoziale e postula la presenza di opere
visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù – presuppone l’originaria
appartenenza di due fondi (o porzioni del medesimo fondo) ad un unico
proprietario, il quale abbia posto gli stessi, l’uno rispetto all’altro, in una situazione
di subordinazione idonea ad integrare il contenuto di una servitù prediale e che,
all’atto della loro separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria
al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo nei confronti dell’altro.
E’ altrettanto univoco che, per un verso, il presupposto della effettiva situazione di
asservimento di un fondo all’altro, richiesto dall’art. 1062 c.c. per la costituzione della
servitù per destinazione del padre di famiglia, deve essere accertato attraverso la
ricostruzione dello stato dei luoghi esistente nel momento in cui, per effetto
dell’alienazione di uno di essi o di entrambi, i due fondi hanno cessato di appartenere al
medesimo proprietario; per altro verso, essenziale per la costituzione della servitù per
destinazione del padre di famiglia è che, all’atto della cessazione dell’appartenenza
di due fondi ad un unico proprietario, le opere destinate al servizio di uno all’altro
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3. Ritiene il collegio che le due censure (ammissibili con riferimento all’osservanza del

siano stabili, sì da escluderne la precarietà, e apparenti, in modo da render certi e
manifesti a chiunque – e perciò anche all’acquirente del fondo gravato – il contenuto
e le modalità di esercizio del corrispondente diritto.
E’ importante, altresì, rilevare che la costituzione della servitù per destinazione del padre
di famiglia non richiede il fatto storico dell’esercizio della servitù stessa, ma soltanto

modo univoco ed oggettivo, per l’esistenza di opere visibili e permanenti, l’asservimento di
uno di essi in favore dell’altro (cfr. Cass. n. 6470 del 1982 e Cass. n. 12197 del 1997).
In termini più complessivi, dunque, la servitù per destinazione del padre di famiglia si
intende stabilita “ope legis” per il fatto che al momento della separazione dei fondi o
del frazionamento dell’unico fondo, lo stato dei luoghi sia stato posto o lasciato per
opere o segni manifesti ed inequivoci ed univoci – nel che si concreta
l’indispensabile requisito dell’apparenza – in una situazione oggettiva di
subordinazione o di servizio, che integri “de facto” il contenuto proprio di una
servitù, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell’unico
proprietario nel determinarla o nel mantenerla; conseguentemente, il requisito della
subordinazione deve essere ricercato non già nell’intenzione del proprietario del
fondo, bensì nella natura delle opere oggettivamente considerate, in quanto nel loro
uso normale determinino il permanente assoggettamento del fondo vicino all’onere
proprio della servitù.
A tal proposito va, tuttavia, evidenziato che non è sufficiente la presenza di opere o segni
manifesti che consentano l’esercizio della servitù, essendo anche necessario che tali
opere e segni manifestino in modo non equivoco l’assoggettamento del fondo vicino alla
servitù; da ciò consegue che l’esistenza di un ponticello (o di altro manufatto) di accesso al
fondo preteso servente non comporta, di per sé, tale evidenza e se a tale accesso non

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l’esistenza, al momento della separazione dei fondi, di una situazione tale da denotare in

segua sul fondo servente un’opera o un segno dell’utilizzo di tale ponte anche per
accedere al fondo asseritamente dominante.
E proprio sulla scorta di tale puntualizzazione, deve sottolinearsi, che, nella fattispecie
concretamente esaminata dalla Corte di appello di Milano, di tale evidenza non viene
operata un’adeguata valutazione nella sentenza impugnata, non potendo valere, sul

all’accertamento della circostanza dell’esercizio del passaggio sul ponticello per accedere
alla proprietà pretesa dominante. In merito, bisogna aggiungere che se, come già
precisato, non occorre che al momento della separazione la servitù sia esercitata,
essendo necessario pur sempre che la stessa sia esercitabile, nella specie non poteva
essere sottovalutato il rilievo della inagibilità del ponte al momento della separazione delle
proprietà, laddove lo stesso, potendosi risolvere in una concreta impossibilità di esercizio
della servitù, avrebbe potuto comportare l’esclusione del requisito dell’apparenza.
E, a tal proposito, la Corte di secondo grado ha trascurato di valorizzare adeguatamente le
risultanze dei documenti prodotti e della complessità degli esiti delle prove orali assunte
(essendosi limitata a valutarne soltanto due, in modo peraltro incompleto) sulla effettiva
agibilità del ponte (pure in relazione alla circostanza che era stato necessario ricostruirlo in
base ad una nuova concessione) e sulla destinazione di esso oltre che del piazzale di
accesso alla superficie acquistata dalla s.a.s. Edilcasa, nonché sulle modalità di
utilizzazione di quest’ultimo (e, quindi, dell’esercizio della eventuale servitù di passaggio
sullo stesso esistente in virtù dell’accertamento di opere visibili e permanenti a tal fine
preposte, tenendo pure presente la sua precedente conformazione e destinazione), anche
in relazione alla sua eventuale (ed esclusiva) destinazione ad accesso saltuario per
necessità agricole.
Alla stregua di tali emergenze, deve, pertanto, ritenersi che la Corte di appello milanese,
nella sentenza qui impugnata, non abbia fornito una motivazione univoca, completa ed
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punto, in modo determinante, le risultanze di due sole deposizioni testimoniali in ordine

effettivamente sufficiente sul punto decisivo e controverso dell’apparenza delle opere (da
risultare, per l’appunto, dotate dei requisiti della visibilità e della permanenza) tali da
denotare, ai fini del riconoscimento della costituzione della servitù per destinazione del
padre di famiglia, il reale asservimento del fondo acquistato dall’odierna ricorrente in
favore del fondo della controparte, avuto riguardo alla concreta situazione di fatto presente

In relazione a tale necessità motivazionale deve, infatti, riconfermarsi, in punto di diritto, il
principio (cfr. Cass. n. 277 del 1997; Cass. n. 3399 del 1999 e Cass. n. 21087 del 2006)
secondo cui la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia ha
per presupposto che due fondi, appartenenti in origine allo stesso proprietario,
siano stati posti dallo stesso in una situazione di subordinazione dell’uno rispetto
all’altro idonea a integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all’atto della
separazione, sia mancata una manifestazione di volontà tale da escludere la
preesistente relazione di sottoposizione di un fondo all’altro e risultino segni visibili
concretantisi in opere permanenti necessarie per l’esercizio di una servitù e
rivelatrici pertanto della sua esistenza; in particolare nel caso di servitù di
passaggio, la servitù si intende costituita quando risulti l’esistenza di una o più
opere visibili destinate stabilmente all’esercizio del passaggio dall’uno all’altro
fondo e non risulti in altro modo manifestata una volontà contraria al mantenimento
del passaggio come fin a quel momento esercitato dall’unico proprietario.

E del resto occorre riaffermare che la parte, la quale deduce di avere acquistato la servitù
per destinazione del padre di famiglia, è tenuta ad assolvere con qualsiasi mezzo l’onere
della prova dell’appartenenza dei due fondi, attualmente divisi, allo stesso proprietario,
della unicità del possesso e della esistenza di opere visibili e permanenti dalle quali
risulti che i fondi sono stati posti o lasciati nello stato dal quale discende la servitù.

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nella fattispecie.

4. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere
accolto in relazione ai vizi motivazionali dedotti con entrambe le censure nei limiti
precedentemente rimarcati, con conseguente cassazione, in tali sensi, della sentenza
impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, che
provvederà a rinnovare il percorso logico sull’appello formulato dalla s.a.s. Edilcasa in

(assolutamente rilevanti in funzione della valutazione definitiva in relazione all’effettiva
sussistenza di tutti i presupposti per la configurazione della reclamata servitù per
destinazione del padre di famiglia, anche sulla scorta di quanto enunciato in punto di
diritto), oltre a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e, per l’effetto, cassa la sentenza
impugnata nei sensi di cui in motivazione, rinviando la causa, anche per le spese della
presente fase di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso nella camera di consiglio della 2″ Sezione civile in data 18 dicembre 2013.

ordine agli evidenziati aspetti oggetto di confutazione da parte della s.r.l. Crespi

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