Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32189 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 10/12/2019, (ud. 07/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20946/2016 proposto da:

F.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Val

D’Ossola 100, presso lo studio dell’avvocato Mario Pettorino,

rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Pettorino, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE DI NAPOLI.

– intimati –

avverso la sentenza n. 2339/45/16 della Commissione tributaria

Regionale di Napoli, depositata il 14/3/2016;

udita la relazione della causa svolta nella adunanza pubblica del

7/10/2019 dal Consigliere Dott. Pepe Stefano;

udite le conclusioni scritte rassegnate dal P.M. in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. Celeste Alberto, che ha

concluso per l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del

ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Massimo Bachetti per la

resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con avviso di accertamento n. (OMISSIS), notificato il 30/8/2012, l’Agenzia del Territorio di Napoli attribuiva, diversamente da quanto indicato dal ricorrente con denuncia di variazione catastale con procedura DOCFA, un diverso classamento agli immobili in essa indicati.

2. Il contribuente impugnava l’avviso sul presupposto che il suindicato classamento era avvenuto in assenza di specifica motivazione e in contrasto ai criteri utilizzati in precedenza (il 19/11/1992 e il 25/3/1999) dall’Ufficio per i medesimi beni e per quelli aventi caratteristiche simili posti nello stesso contesto abitativo; valutazione che, peraltro, era avvenuta senza alcun sopralluogo volto ad individuare le effettive potenzialità economiche degli immobili.

3. LA CTR Campania, con sentenza n. 2339/45/16, confermava la sentenza di primo grado la quale aveva parzialmente accolto parzialmente il ricorso del contribuente relativamente ad una delle due unità immobiliari oggetto di procedimento DOCFA.

4. Nei confronti della suddetta pronuncia Salvatore F. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

5. L’Agenzia dell’entrate ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, anche in relazione alla L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 335 e 336 e della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 58, per avere la CTR ritenuto soddisfatto l’obbligo di motivazione del provvedimento di classificazione mediante la semplice indicazione della consistenza della categoria e della classe accertati dall’Ufficio tecnico erariale (UTE).

Il ricorrente lamenta che il provvedimento di riclassificazione di un immobile già munito di rendita catastale, come nella specie, deve essere munito di idonea motivazione al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa del contribuente e, in particolare, deve indicare se il nuovo classamento è conseguenza: di rilevate trasformazioni edilizie che hanno riguardato l’immobile (L. n. 311 del 2004, ex art. 1, comma 336); della revisione dei parametri catastali della microzona in cui l’immobile è situato (L. n. 311 del 2004, ex art. 1, comma 335) o, infine, della riscontrata incongruenza tra il precedente classamento e quello di fabbricati similari (L. n. 662 del 1996, ex art. 3, comma 58).

2. Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2697 e 2727 c.c., anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la CTR con la sentenza impugnata errato nell’attribuire al contribuente, e non all’UTE, l’onere di provare la non congruità del riclassamento degli immobili in esame.

3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza emessa dalla CTR per violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2697 e 2712 c.c. e art. 115 c.p.c., per avere la CTR omesso di rilevare la non congruità della rendita catastale attribuita dall’UTE oggetto di specifica contestazione da parte del contribuente mediante l’allegazione delle rendite attribuite ad immobili simili a quelli oggetto di giudizio.

4. Il primo motivo di ricorso non è fondato

Con riferimento all’attribuzione della rendita catastale mediante la procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), questa Corte (Cass. n. 3394 del 2014) ha, condivisibilmente, ritenuto che, in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la indicata procedura, l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio “non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perchè la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa”.

Tale principio contrasta, solo in apparenza, con la giurisprudenza (Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui in tali ipotesi l’obbligo di motivazione è soddisfatto mediante la mera indicazione nell’atto di rettifica dei dati oggettivi e della classe attribuiti dall’Agenzia, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell’atto.

Ed invero, questa Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 31809 del 2018, n. 23237 del 2014, n. 21532 del 2013).

Nel primo caso, infatti, gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente, non disattesi dall’Ufficio, risultano immutati, di talchè la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita si riduce ad una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati. In simili ipotesi risulta evidente che la presenza e la adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell’atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso. Diversamente, laddove la rendita proposta con la DOCFA non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente, l’Ufficio dovrà, appunto, specificarle per i motivi sopra indicati.

4.1 Nel caso in esame la CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi, assumendo rilievo la circostanza che il ricorrente lamenta che il provvedimento di riclassificazione si è limitato ad indicare la “consistenza della categoria e della classe acclarati dall’ufficio tecnico erariale” elementi che pongono in luce come il nuovo classamento non si fonda su elementi di fatto diversi da quelli indicati dal contribuente, ma su una differente valutazione compiuta dall’Ufficio sul valore economico del bene, con la conseguenza che l’onere motivazionale, anche in ragione della procedura partecipata in esame (DOCFA), può dirsi pienamente adempiuto con l’attribuzione della classe diversa da quella indicata dal contribuente fondata proprio sulla indicata valutazione tecnica.

5. Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.

Ed invero, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo il quale “In tema di accertamenti tributari, qualora la rettifica del valore di un immobile si fondi sulla stima dell’UTE o di altro ufficio tecnico, che ha il valore di una semplice perizia di parte, il giudice investito della relativa impugnazione, pur non potendo ritenere tale valutazione inattendibile solo perchè proveniente da un’articolazione dell’Amministrazione finanziaria, non può considerarla di per sè sufficiente a supportare l’atto impositivo, dovendo verificare la sua idoneità a superare le contestazioni dell’interessato ed a fornire la prova dei più alti valori pretesi ed essendo, altresì, tenuto ad esplicitare le ragioni del proprio convincimento” (Cass. n. 17702 del 2009).

In applicazione di tale principio la CTR, nel confermare l’avviso di accertamento impugnato dà atto che il contribuente “nulla ha prodotto per contrastare l’accertamento dell’Ufficio, in ordine alle caratteristiche degli immobili di sua proprietà (fotografie degli ambienti, perizia tecnica), ma si è limitato ad allegare riproduzioni fotografiche riprese dall’esterno”.

Nel caso di specie, dunque, la CTR non ha in alcun modo invertito l’onere probatorio posto a carico delle parti, limitandosi a rilevare, al contrario, che il contribuente non aveva fornito adeguata prova contraria a quella offerta dall’Agenzia e posta a fondamento dell’avviso impugnato.

Va, poi, osservato che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la CTR ha ritenuto congrua la nuova classificazione attribuita agli immobili di proprietà del F. in relazione alle relative caratteristiche e, in particolare, ha dato rilievo al fatto che essi sono collocati nel centro cittadino del Comune di Lacco Ameno e, precisamente, lungo una strada a notevole vocazione commerciale.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia dell’Entrate delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 dicembre 2019

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