Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32186 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 10/12/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 10/12/2019), n.32186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29346-2015 proposto da:

CAR SEGNALETICA STRADALE SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CREMERA’ 11, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIO FORMICONI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROBERTO PROZZO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEIIE ENTRATE in persona del Direttore pro tem.00re,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORIOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BENEVENTO;

– intimata –

avverso la sentenza – 4356/2016 della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA,

depositata il 12/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/06/2019 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dctt. SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento

pe guarite di ragione del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato COLLABOLLETTA che ha chiesto

il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2013, l’Ufficio di Benevento notificò a Car Segnaletica Stradale s.r.l. quattro avvisi di accertamento, relativi agli anni dal 2005 al 2008, con cui recuperò a tassazione ai fini IRES, IRAP e IVA l’intero importo delle fatture emesse nei suoi confronti da Del Ponte s.r.l. e Proforma s.r.l., in quanto concernenti operazioni inesistenti. La società ed R.E. (suo legale rappresentante) in proprio proposero ricorso dinanzi alla C.T.P. di Benevento, che lo accolse integralmente con sentenza del 8.7.2014, annullando gli avvisi impugnati. Proposto appello dall’Ufficio, la C.T.R. della Campania lo accolse con sentenza del 12.5.2016, riformando integralmente la prima decisione. Osservò il giudice d’appello che la notifica degli avvisi di accertamento era da ritenersi tempestiva, trovando applicazione il raddoppio dei termini in presenza di fatti di rilevanza penale e che, trattandosi di operazioni oggettivamente inesistenti, a fronte della valenza indiziaria degli elementi offerti dall’Agenzia, l’onere della prova circa l’effettività delle operazioni stesse doveva intendersi gravare sulla contribuente, che però non l’aveva efficacemente assolto.

Car Segnaletica Stradale s.r.l. ricorre ora per cassazione, sulla base di quattordici motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la C.T.R. pronunciato sull’eccezione di inesistenza o nullità della notifica dell’appello.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 16 e degli artt. 148 e 160 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per il caso in cui dovesse ritenersi l’inammissibilità o l’infondatezza del primo motivo, giacchè nella relata di notifica dell’appello non è stato indicato il destinatario della notifica.

1.3 – Con il terzo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la C.T.R. pronunciato sull’eccezione di inesistenza della notifica dell’appello ad R.E..

1.4 – Con il quarto motivo, si lamenta la nullità del procedimento d’appello per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di R.E., che aveva partecipato al giudizio di primo grado, con conseguente violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

1.5 – Con il quinto motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la C.T.R. pronunciato sull’eccezione di inammissibilità dell’appello, derivante dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non aveva impugnato tutte le diverse rationes decidendi su cui si fondava la decisione di primo grado.

1.6 – Con il sesto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la C.T.R. non ha rilevato l’inammissibilità dell’appello per non aver l’Agenzia impugnato tutte le rationes decidendi della prima decisione.

1.7 -‘ Con il settimo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, conv. in L. n. 248 del 2006, in relazione a quanto disposto dal D.Lgs. n. 128 del 2015 e dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130-132, giacchè la C.T.R. ha ritenuto applicabile nella specie il raddoppio dei termini, senza tener conto del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, commi 1 e 2, come modificato dalla normativa citata. Alla luce di tale modifica, il raddoppio non opera, per i periodi di imposta precedenti al 2016, qualora la denuncia all’A.G. sia trasmessa o presentata oltre la scadenza ordinaria dei termini per l’accertamento. In subordine, la ricorrente chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale della norma che fa salvi gli accertamenti precedenti, per violazione del principio di uguaglianza.

1.8 – Con l’ottavo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la C.T.R. pronunciato sull’eccezione di inapplicabilità del raddoppio dei termini in relazione all’IRAP. 1.9 – Con il nono motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, conv. in L. n. 248 del 2006, in relazione a quanto disposto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, non prevedendo tale corpus normativo, richiamato dal citato art. 37, alcun reato in materia di IRAP.

1.10 – Con il decimo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si lamenta omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, ossia se le fatture in questione siano oggettivamente inesistenti o si tratti invece di sovrafatturazione, questione totalmente non esaminata dalla C.T.R.

1.11 – Con l’undicesimo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la C.T.R. esaminato il quarto e il quinto motivo del ricorso di primo grado, riproposti in appello.

1.12 – Con il dodicesimo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente si duole della motivazione meramente apparente offerta dalla C.T.R., laddove ha affermato che dagli atti prodotti dall’Ufficio risultavano elementi idonei a far presumere l’inesistenza delle operazioni, senza però procedere all’esame delle argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate, nè dei motivi di ricorso espressamente riproposti da essa ricorrente.

1.13 – Con il tredicesimo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c., giacchè la C.T.R. ha ritenuto che, avendo l’Ufficio introdotto elementi presuntivi dell’inesistenza delle operazioni, spettava alla contribuente dimostrare l’effettività delle stesse, prova tuttavia non fornita, non essendo idonei, a tal fine, nè i movimenti bancari documentati, nè gli articoli e le fotografie versati in atti, perchè decontestualizzati.

1.14 – Con il quattordicesimo motivo, infine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si lamenta omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti; tale fatto, secondo la ricorrente, consiste nella valutazione del se l’Agenzia abbia effettivamente fornito o meno la prova presuntiva della inesistenza delle operazioni.

2.1 – Il primo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente perchè afferenti al medesimo vizio denunciato, sono infondati.

Infatti, è noto che “l’omesso esame di una questione puramente processuale non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito, dovendosi escludere che l’omesso esame di un’eccezione processuale possa dare luogo a pronuncia implicita, idonea al giudicato, venendo in rilievo la diversa questione della riproposizione dell’eccezione in appello” (Cass. n. 6174/2018; v. anche Cass. n. 321/2016, che altresì precisa che in tale evenienza si “può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”, censure infatti nella specie correlativamente formulate col secondo e col quarto motivo).

3.1 – Il secondo motivo è infondato.

In proposito, va osservato che, anche a voler riscontrare un vizio nella relata in discorso, si tratterebbe comunque di nullità e non già di inesistenza (v. Cass., Sez. Un., n. 14916/2016), trattandosi di notifica effettuata da soggetto abilitato (messo notificatore). E’ quindi evidente che l’avvenuta costituzione nel giudizio d’appello (peraltro, a quanto pare, tempestiva) da parte della società ha comunque sanato ogni vizio, per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c..

4.1 – Il quarto motivo è inammissibile.

Al riguardo, difetta l’interesse ex art. 100 c.p.c. in capo all’odierna ricorrente, giacchè è evidente che R.E., legale rappresentante della società, partecipò al giudizio di primo grado senza averne legittimazione, non essendo in alcun modo destinatario degli effetti degli avvisi di accertamento impugnati, concernenti la sola società (v. controricorso, p. 6). Non si tratta, dunque, di un effettivo litisconsorte necessario, neanche sul piano processuale.

5.1 – Il quinto motivo è inammissibile.

Infatti, a parte quanto già osservato in relazione al primo e al terzo motivo (par. 2.1), va qui ulteriormente evidenziato che la ricorrente ha omesso di indicare e trascrivere le varie ragioni che, a suo dire, avrebbero autonomamente sorretto la decisione di primo grado, così incorrendo nella violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

6.1 – Anche il sesto motivo è inammissibile, per ragioni speculari a quelle delibate riguardo al motivo precedente, in fine.

Infatti, la società ha sintetizzato sia le pretese rationes decidendi della sentenza di primo grado (p. 14), sia le doglianze proposte dall’Agenzia con l’appello (pp. 6-7), in modo tale, però, da non consentire a questa Corte di valutare, già dalla sola lettura del ricorso, la decisività della questione: da un lato, infatti, la stringatezza dell’esposizione non rende immediatamente comprensibile se quelle indicate siano effettive rationes decidendi o mere divagazioni dialettiche; dall’altro, non può escludersi che nell’articolazione delle doglianze, l’Agenzia avesse toccato anche quei profili, stante la insufficiente esposizione dei motivi d’appello, il tutto in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.

7.1 – Il settimo motivo è infondato.

Sulla questione del “raddoppio” dei termini di accertamento, a seguito della novellazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, e del relativo regime transitorio, questa Corte, con sentenza n. 26037/2016, ha esaustivamente affermato che “a) il regime transitorio introdotto dal del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3 (in vigore dal 2 settembre 2015) non è abrogato dal successivo regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132 (in vigore dal 10 gennaio 2016); b) il primo regime transitorio (D.Lgs. n. 128 del 2015) stabilisce che il D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2 non si applicano nè in relazione agli avvisi di accertamento, ai provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie ed agli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione agli inviti a comparire di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5, notificati alla data del 2 settembre 2015, nè in relazione ai processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro il 2 settembre 2015, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015; c) il secondo regime transitorio (L. n. 208 del 2015) disciplina diversamente il regime ordinario del raddoppio dei termini di accertamento previsto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, commi 1 e 2 disponendo che la L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130 e 131 non si applicano agli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 e introducendo per tali periodi d’imposta anteriori una specifica normativa transitoria per le sole ipotesi in cui a detti periodi non sia applicabile il precedente regime transitorio dettato dal D.Lgs. n. 128 del 2015”. Detto orientamento può dirsi oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 11620/2018; Cass. n. 22337/2018) e da esso non v’è ragione di discostarsi.

Pertanto, posto che gli avvisi di accertamento per cui è processo vennero notificati nel 2013, è evidente che del tutto correttamente la C.T.R. non ha tenuto conto dello ius superveniens invocato dalla ricorrente, perchè la fattispecie è regolata, sotto il profilo temporale, proprio dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, che non risulta abrogato, neanche implicitamente, dalla L. n. 208 del 2015. Pertanto, il raddoppio dei termini in discorso, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015 nella lettura datane dalla Corte costituzionale con sentenza n. 247/2011, discende dalla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (in termini, la citata Cass. n. 22337/2018).

A nulla rileva, dunque, che nella specie la denuncia penale non fosse stata già presentata alla data di scadenza “ordinaria” per l’accertamento, atteso che il termine di legge, nel caso di ricorrenza di gravi indizi di reato, non è quello ordinario, ma appunto quello raddoppiato, che opera non già come mera proroga del primo, ma come ipotesi distinta ed autonoma (v. in tal senso, la già citata Cass. n. 26037/2016).

7.2 – La questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla ricorrente in subordine, è manifestamente infondata.

Con essa, si dubita della conformità a Costituzione “della norma che fa salvi gli accertamenti precedenti”, e quindi della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, nella parte in cui esso detta una autonoma disciplina transitoria rispetto a quella di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, anzichè disporre in modo identico per tutti i contribuenti (evidentemente abrogando quest’ultima norma), e ciò per violazione del principio di uguaglianza. La ricorrente, in proposito, invoca un parallelismo con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 80 del 2014, con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, concernente il reato di omesso versamento IVA, quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011.

Al riguardo, va evidenziato che detta pronuncia, in relazione al periodo indicato, effettua una comparazione, ai fini del trattamento riservato dal legislatore, tra condotte del contribuente più “insidiose” per il Fisco (omessa o infedele dichiarazione IVA), non sanzionate penalmente, rispetto ad altre che lo sono meno (mancato versamento dell’IVA dichiarata), ma tuttavia punite con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, e ciò avuto riguardo all’ipotesi in cui l’IVA da versare si collochi nella soglia compresa tra Euro 50.000,00 ed Euro 103.291,38; il giudice delle leggi ha dunque riscontrato, nella specie, la violazione del principio di uguaglianza, non essendo conforme all’art. 3 Cost. un assetto normativo che sancisca l’esenzione da pena per fatti comparativamente più gravi rispetto ad altri, tuttavia assoggettati a sanzione penale.

Come è evidente, la questione è nella specie del tutto diversa, perchè non si tratta di effettuare una comparazione circa il trattamento, sul piano sanzionatorio, di possibili comportamenti del contribuente che si assumono diversi, benchè equiparabili, ma di verificare se sia conforme al principio di uguaglianza la previsione normativa che, a fronte dell’innovazione circa il termine per l’accertamento, stabilisce il mantenimento dello status quo per gli avvisi già notificati ad una certa data e quindi la sottrazione delle relative fattispecie alla nuova previsione normativa. Nella prospettiva della ricorrente, dunque, la disparità di trattamento andrebbe ravvisata tra contribuenti destinatari di accertamenti in epoca precedente o successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 128 del 2015, beneficiando questi ultimi di una diversa e più rigorosa disciplina (per il Fisco) circa il raddoppio del termine per l’accertamento, dovendo intervenire la notitia criminis prima della scadenza del termine ordinario.

Sul punto, a parte l’assorbente considerazione che detta questione rientra a pieno titolo nella discrezionalità del legislatore, è appena il caso di precisare che, ad opinare diversamente, dovrebbe inferirsene che ogni nuova disposizione normativa in subiecta materia, oltre che applicarsi per il futuro, come è ovvio ed anche espressamente previsto (L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1), dovrebbe indefettibilmente applicarsi anche alle situazioni lato sensu pendenti, senza che lo stesso legislatore possa disciplinarle sul piano transitorio o intertemporale; ciò, tuttavia, costituirebbe certamente un vulnus, oltre che ai poteri del Parlamento, anche all’art. 3 Cost., sebbene sotto il diverso profilo dell’irragionevolezza, comportando “l’inutile ed irragionevole conseguenza… dell’illegittimità (ex post) dell’attività ispettiva a suo tempo correttamente intrapresa e svolta dall’amministrazione in base al regime di raddoppio dei termini di accertamento all’epoca vigente” (così la più volte citata Cass. n. 26037/2016).

8.1 – L’ottavo e il nono motivo sono inammissibili, per novità.

Per stessa ammissione della ricorrente, infatti, la questione dell’inapplicabilità del raddoppio del termine ai fini IRAP è stata sollevata solo in appello.

9.1 – (I decimo e il quattordicesimo motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

Con essi, infatti, si pretende di denunciare il vizio di cui al riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012), ma non già rispetto a “fatti storici”, principali o secondari (il cui mancato esame, appunto, costituisce un vizio della sentenza impugnata su cui questa Corte può essere chiamata a pronunciarsi – v., ex multis, Cass. n. 27415/2018), bensì rispetto a questioni, ossia, a) l’essere state contestate dall’Ufficio operazioni tout court oggettivamente inesistenti o invece la sola sovrafatturazione, oppure b) l’avere fornito o meno, l’Ufficio, la prova indiziaria dell’inesistenza delle operazioni.

Risulta quindi evidente che i pretesi vizi sono stati irritualmente denunciati dalla ricorrente, per essi – concernenti, appunto, questioni afferenti ad aspetti sostanziali dell’accertamento operato dal giudice d’appello – occorrendo che il ricorso per cassazione sia proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto. Al riguardo, va pure evidenziato che, dalla lettura dei motivi in discorso, non emergono elementi idonei a riqualificarli (v. Cass., Sez. Un., n. 17931/2013), difettando la pur minima prospettazione della violazione o falsa applicazione di norme.

10.1 – L’undicesimo motivo è infondato.

Contrariamente a quanto osservato dalla società, la C.T.R. ha nella sostanza esaminato le doglianze sollevate col quarto e quinto motivo del ricorso introduttivo – tendenti a dimostrare l’effettività delle operazioni e la mera sovrafatturazione – implicitamente rigettandole, laddove ha invece ritenuto (attraverso un ragionamento inferenziale tipico in tema di operazioni oggettivamente inesistenti – si veda, al riguardo, Cass. n. 17619/2018) che, fornita la prova presuntiva da parte dell’Agenzia, la società stessa non aveva adempiuto il proprio onere, stante l’insufficienza della documentazione prodotta.

Non senza dire che, pacifico essendo che l’Agenzia ha recuperato a tassazione l’intero importo delle fatture, come anche riconosciuto dalla società ricorrente, è evidente che, in concreto, la stessa Agenzia non ha potuto limitarsi a contestare la mera sovrafatturazione, bensì la totale inesistenza oggettiva delle operazioni.

12.1 – Il dodicesimo motivo è invece fondato.

In maniera evidentemente tautologica, la C.T.R., a pp. 6 e 7 della sentenza, sulla questione decisiva, si è limitata a rilevare che dagli atti prodotti dall’Ufficio (p.v.c. della G.d.F. di Benevento, nonchè accertamenti svolti dalla G.d.F. di Alessandria nel p.p. contro C.R. + altri) emergono elementi presuntivi, idonei a spostare l’onere della prova sulla contribuente, e che l’intera documentazione da quest’ultima versata in atti in primo grado (contratti, ricevute di bonifico, articoli di stampa, fotografie) non è idonea a tal fine, noto anzi essendo che, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, la creazione di documenti fittizi è d’uso.

Il giudice d’appello, però, non ha anzitutto indicato quali fossero gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio (neanche indicandoli per relationem), e non ha poi adeguatamente esaminato i singoli documenti offerti dalla contribuente per riscontrarne, analiticamente, l’attitudine probatoria, tutti valutandoli come inidonei e “decontestualizzati”, per il solo fatto che, nel caso di inesistenza oggettiva, la predisposizione di documentazione formale fittizia è una usuale modalità di realizzazione delle relative operazioni, “che devono quindi essere provate nella sostanza”. In tal guisa, la C.T.R. è però incorsa nella violazione del c.d. minimo costituzionale della motivazione, ex art. 111 Cost., comma 6 (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014; più recentemente, ex multis, Cass. n. 23940/2017), nonchè del del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, non avendo fornito il benchè minimo argomento idoneo a consentire di comprendere il percorso logico-giuridico in forza del quale s’è determinato detto convincimento, nè ad individuare, in concreto, per quale ragione la documentazione offerta dalla società non consentisse di provare, “nella sostanza”, l’effettività delle operazioni in discorso.

13.1 – Il tredicesimo motivo è conseguentemente assorbito.

14.1 – In definitiva, è fondato il dodicesimo motivo, assorbito il tredicesimo, inammissibili il quarto, quinto, sesto, ottavo, nono, decimo e quattordicesimo, infondati il primo, secondo, terzo, settimo e undicesimo. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso limitatamente al dodicesimo motivo, assorbito il tredicesimo, rigetta nel resto. Cassa in relazione e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 11 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 10 dicembre 2019

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