Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3218 del 09/02/2011

Cassazione civile sez. II, 09/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 09/02/2011), n.3218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.F.G., S.M.A., T.G.

M., P.G.A. e P.M.G., rappresentati

e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. DIAZ Pietro, elettivamente domiciliato in Roma, nello

studio dell’Avv. Marta Diaz, Via Arrigo Boito, n. 31;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO DI (OMISSIS), in persona

dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di

procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. SPANEDDA

Giorgio, elettivamente domiciliato in Roma presso la Dott.ssa Maria

Elisabetta Spanedda in Arabia, Via Ugo Ojetti, n. 171;

– controricorrente –

e nei confronti di:

T.G. e S.M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, sezione

distaccata di Sassari, n. 253 in data 23 aprile 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Giorgio Spanedda;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso: “concordo con la

relazione”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Consigliere designato ha depositato, in data 6 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“Su domanda proposta da P.M.G., B.F. G. e S.M.A., T.G.M. e P. G.A., il Tribunale di Sassari dichiarava nulle le delibere assembleari dell’8 aprile 1992 e del 24 maggio 1993 del Condominio di (OMISSIS), nella parte in cui ponevano a carico dei condomini spese relative alle parti di proprietà esclusiva dei singoli, e revocava i decreti ingiuntivi opposti che su tali delibere erano stati fondati.

Decidendo sul gravame del Condominio, la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza depositata il 23 aprile 2009, in parziale riforma della sentenza appellata, ha confermato i decreti ingiuntivi n. 1421 del 1993, emesso nei confronti di T. G.M. e di G.A.M., e n. 1660 del 1993, emesso nei confronti di P.M.G.; previa revoca dei decreti ingiuntivi opposti, ha condannato T.G., S. M.A. e i coniugi B. – S. al pagamento, in favore del Condominio, rispettivamente della somma di Euro 1.275,14, 4.473,62 e 9.818,33, oltre interessi legali dalla richiesta al saldo;

ha dichiarato interamente compensate tra le parti le spese di causa.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello B. F.G. con S.M.A., T.G. M. con P.G.A., e P.M.G. hanno proposto ricorso, con atto notificato l’11 gennaio 2010, sulla base di otto motivi.

Ha resistito, con controricorso, il Condominio, mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il primo motivo, con cui si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sugli appelli incidentali proposti (violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, art. 161 cod. proc. civ., e art. 156 cod. proc. civ., comma 2, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4), è inammissibile, perchè non si conclude con il prescritto quesito di diritto, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.

Per la stessa ragione sono inammissibili il quinto (violazione dell’art. 360, 161, 116, 112 e 132 cod. proc. civ.), il settimo (violazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1117, 1135 e 1137 cod. civ.) e l’ottavo motivo (nullità della sentenza per omessa decisione in ordine alla eccezione di improponibilità o inammissibilità dell’appello principale – art. 2909 cod. civ.).

Il secondo motivo, nel denunciare violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ripartizione dell’onere probatorio), si conclude con il seguente quesito: “il piano di riparto integra prova documentale sufficiente a fondare il decreto ingiuntivo ex art. 67 disp. att., ma non è sufficiente, quando contestato, a fondare la pretesa creditoria nel giudizio di merito seguente opposizione al decreto nel quale il Condominio, attore sostanziale, ha onere di provare il fondamento della sua pretesa”. Identico quesito completa il sesto motivo (violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ripartizione dell’onere probatorio).

Il secondo ed il sesto motivo sono inammissibili, per inidoneità del quesito. I motivi non si concludono, infatti, con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata. Il terzo ed il quarto motivo denunciano insufficiente ed omessa motivazione su fatto controverso e decisivo. Entrambi i motivi sono inammissibili, perchè non è stato osservato l’onere, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., della indicazione chiara e sintetica del fatto controverso. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189;

Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741). In altri termini, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis cod. proc. civ. – che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, od insufficiente la motivazione e si indichi quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione”.

Lette le memoria dei ricorrenti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., non essendo meritevoli di accoglimento le critiche ad essa rivolte dai ricorrenti con la memoria depositata in prossimità della Camera di consiglio;

che il primo, il quinto, il settimo e l’ottavo motivo sono assolutamente privi del quesito di diritto, dotato di specifica autonomia rispetto al testo del motivo;

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che va altresì ribadito che il secondo ed il sesto motivo sono corredati di quesiti di diritto inidonei, perchè entrambi non esplicitano la diversa ratio decidendi alla base del provvedimento impugnato;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controverssia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che il terzo ed il quarto motivo – con cui vengono veicolati vizi di motivazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – difettano del prescritto quesito di sintesi;

che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente – al contrario di quanto ritengono i ricorrenti – che tale fatto stia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3^, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che il ricorso devo essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 di cui Euro 1.800,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2011

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