Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3217 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3217 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 8623-2008 proposto da:
TACCHINO GIANCARLO,

TITOLARE E LEGALE RAPP.TE

C.F.TCCGCR35S24F952Q,

INDIVIDUALE,

EDILE

IMPRESA

DELL’OMONIMA

elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIUSEPPE GIOACHINO BELLI 122, presso lo
studio

MASOTTI

dell’avvocato

rappresenta

e

difende

GIULIO,

unitamente

che

lo

all’avvocato

PRONZELLO LUCIANO;
– ricorrente contro

AIRAGHI ANTONIO, TITOLARE DELLA IDROTERMICA AIRAGHI,

Data pubblicazione: 12/02/2014

P.I.00337100150, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DI TRASONE 8, presso lo studio dell’avvocato
FORGIONE CIRIACO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ROMANO ANTONIO;
– controri corrente –

di MILANO, depositata il 02/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito

l’Avvocato Masotti

Giulio

difensore

del

ricorrente che si riporta agli atti depositati e ne
chiede l’accoglimento;
udito

l’Avv.

Forgione

Ciriaco

difensore

del

controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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avverso la sentenza n. 596/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Convenuto in giudizio dal comune di Rho, committente, per responsabilità
contrattuale (relativa all’installazione in alloggi di edilizia residenziale
pubblica di caldaie ritenute difettose), Giancarlo Tacchino, appaltatore titolare
garanzia impropria il

subappaltatore, Antonio Airaghi. Questi, nel costituirsi in giudizio, resisteva
alla domanda eccependo la decadenza del convenuto dall’azione di garanzia.
Il Tribunale di Milano rigettava sia la domanda principale, sia quella di
garanzia, per cui regolava le spese condannando la P.A. attrice verso il
convenuto e questi verso il terzo chiamato. In particolare, per quanto concerne
il rapporto processuale tra queste ultime due parti, il giudice di prime cure
riteneva che le spese dovessero essere poste a carico del convenuto poiché
questi non aveva dimostrato la tempestiva denuncia al subappaltatore dei vizi
lamentati dall’ente appaltante, di talché la chiamata in causa non appariva
giustificata.
Adita dal solo Tacchino e in merito al solo capo relativo alla condanna alle
spese in favore dell’Airaghi, la Corte d’appello di Milano rigettava
l’impugnazione. Riteneva la Corte territoriale che la chiamata in causa di
quest’ultimo era stata ultronea, “tenuto conto dell’eccepita decadenza
dell’azione di garanzia ritenuta dal primo giudice e rappresentata dalla stessa
[parte] terza chiamata nel corso del primo giudizio”. Ove invece, proseguiva
la Corte d’appello, si fosse ritenuta giustificata la chiamata in causa del terzo,
a rispondere delle spese sostenute da quest’ultimo avrebbe dovuto essere la
parte attrice, rimasta, però, estranea al giudizio d’appello. A tale ultimo
riguardo richiamava la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui per il
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dell’omonima impresa edile, chiamava in

principio di causalità le spese del terzo sono sostenute dalla parte
soccombente che ne abbia provocato la chiamata in causa.
Per la cassazione di tale sentenza Giancarlo Tacchino propone ricorso,
affidato ad un solo motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo di ricorso denuncia la falsa applicazione degli arti. 91,

92, 106, 112 e 269 c.p.c. e degli arti. 1281 e 1667 c.c., nonché l’insufficienza
della motivazione, in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale ha errato nel ritenere
ingiustificata la chiamata in garanzia e nel qualificare le difese processuali sia
del Tacchino (che aveva sollevato un’eccezione di decadenza ex art. 1667 c.c.
a fronte di un’azione non di garanzia, ma di inadempimento ex art. 1218 c.c.),
sia dell’Airaghi. Oltre a ciò, prosegue, i giudici d’appello non hanno
considerato che a priori le difese avanzate dalle parti non potevano affatto
qualificarsi come fondate o infondate, e quindi non poteva qualificarsi come
ingiustificata la chiamata in causa dell’Airaghi, visto il normale margine
d’incertezza sull’esito della lite.
La sentenza impugnata, conclude, è erronea anche nella parte in cui la
Corte territoriale ha sostenuto che le spese avrebbero dovuto ricadere
sull’attore se questi non fosse rimasto estraneo al giudizio d’appello. Una tale
conclusione, sostiene parte ricorrente, è inesatta perché nessuna parte aveva
chiesto al giudice la condanna del committente, ma solo la compensazione
delle spese fra convenuto-appellante e garante. Pertanto, l’estraneità del
comune di Rho al giudizio d’appello appare irrilevante, ché la Corte
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Resiste con controricorso Antonio Airaghi, che ha depositato memoria.

territoriale avrebbe potuto e dovuto giudicare sulla domanda di
compensazione delle spese.
Formula i seguenti quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.,
applicabile ratione temporis alla fattispecie: “1) può il giudice legittimamente

se nel processo non è coinvolto l’attore verso il quale nessuna domanda è
rivolta? 2) può il giudice rigettare la domanda di compensazione quando la
chiamata in garanzia è giustificata?”; ed indica quale fatto controverso l’aver
la Corte territoriale negletto la ragionevolezza della chiamata in garanzia
disapplicando la regola dell’art. 112 c.p.c
2. – Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte si è espressa nel senso che in tema di
spese processuaii, la palese infondatezza della domanda di garanzia proposta
dal convenuto nei confronti del terzo chiamato comporta l’applicabilità del
principio della soccombenza nel rapporto processuale instaurato tra convenuto
e terzo chiamato, anche quando l’attore principale sia a sua volta soccombente
nei confronti del convenuto, atteso che il convenuto chiamante sarebbe stato
soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa
principale (Cass. n. 8363/10). In senso del tutto analogo, altre pronunce
precisano che attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è
assunto nell’art. c.p.c., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo
chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove
la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute
dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che
l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il
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dichiarare la compensazione delle spese fra il convenuto e il terzo chiamato,

rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto
chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli
palesemente arbitraria (Cass. mi. 7431/12, 12301/05 e 6514/04).
Non v’è ragione alcuna di discostarsi da tale indirizzo unanime, cui può

Nel caso in cui l’esame della domanda di garanzia sia rimasto assorbito per
effetto della reiezione della domanda principale, il regime delle spese
sostenute dal terzo chiamato dipende dall’applicazione non della regola della
soccombenza in senso stretto, che presuppone una pronuncia effettiva (di
merito o di rito) sulla domanda, ma dal principio di causalità, che a sua volta
presuppone una condizione idonea a provocare la partecipazione del terzo al
processo. Per il principio secondo cui causa causae est causa causati, tale
evento è di norma etiologicamente ascrivibile alla condotta dell’attore, la
quale, tuttavia, non è più qualificabile come condizione idonea allorché difetti
l’utilità stessa della chiamata in garanzia, vuoi per difetto di connessione
(propria o impropria) con la domanda principale, vuoi per l’infondatezza della
pretesa verso il terzo. In tal caso la concatenazione causale s’interrompe, con
la conseguenza che l’unico responsabile della chiamata in causa è il
convenuto, che vi ha fatto ricorso inutilmente e, dunque, in maniera
ingiustificata. E poiché l’utilità della chiamata dipende dall’esistenza e dal
modo di essere del rapporto di garanzia, è solo all’interno di quest’ultimo che
essa deve essere verificata attraverso un giudizio logico di tipo condizionale.
Ne consegue che ove il giudice accerti che nell’ipotesi di accoglimento della
domanda principale la domanda di garanzia avrebbe dovuto essere respinta
comunque, la chiamata in causa si dimostra priva di utilità per il convenuto,
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solo aggiungersi quanto segue.

che pertanto — in applicazione del ridetto principio di causalità — deve
rispondere delle spese di giudizio sostenute dal terzo.
2.1. – A tale principio si è attenuta la Corte territoriale nella prima delle due
argomentazioni svolte a sostegno della decisione.

garanzia proposta da Giancarlo Tacchino contro Antonio Airaghi [in
motivazione si legge che “quanto esposto (cioè le ragioni del rigetto della
domanda attrice: n.d.r.) è assorbente rispetto alle altre domande, eccezioni ed

istanze proposte dalle parti”], sicché l’espressione di rigetto contenuta nel
dispositivo deve ritenersi un’improprietà tecnico-giuridico. Ciò posto, il
giudizio di fatto espresso dal Tribunale e condiviso dalla Corte d’appello, per
cui la domanda di garanzia non avrebbe potuto essere accolta perché, di fronte
all’eccezione di decadenza, il convenuto non aveva provato la tempestività
della denuncia dei vizi al subappaltatore, non risulta scalfito dal motivo
d’impugnazione, incentrato essenzialmente sulla denunciata violazione delle
norme di rito.
3. – Il ricorso va pertanto rigettato.
4. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della
parte ricorrente.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in
E 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 18.12.2013.

La sentenza di primo grado ha in sostanza ritenuto assorbita la domanda di

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