Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3216 del 09/02/2011
Cassazione civile sez. II, 09/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 09/02/2011), n.3216
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
R.N., C.A., C.D.,
M.R., G.A., P.E.,
rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del
ricorso, dagli Avv. SCUDERI Andrea e Rosario Calanni Fraccono,
elettivamente domiciliati nel loro studio in Roma, Via Antonio
Stoppani, n. 1;
– ricorrenti –
contro
M.G. e N.S.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 738 in data
11 marzo 2009.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3
dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che il consigliere designato ha depositato, in
data 6 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi
dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: ” M.G. e
N.S., comproprietari di un fondo sito in (OMISSIS), concesso in
comodato d’uso alla cooperativa Belvedere, convenivano in giudizio,
davanti al Tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre,
tutti gli altri comproprietari ( R.N., C.A.,
C. D., M.R., G.A. e
P. E.), chiedendo 10 scioglimento della comunione.
I convenuti, costituitisi in giudizio, deducevano la non comoda divisibilità del bene.
Il Tribunale adito, all’esito della disposta
c.t.u., con sentenza depositata il 1 marzo 2004 dichiarava
l’immobile divisibile e dichiarava esecutivo il progetto di
divisione.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza n.
738 dell’11 marzo 2009, ha rigettato l’appello del R. e degli
altri convenuti in primo grado.
La Corte territoriale ha rilevato che la
divisione non è impedita dalla necessità di mantenere la minima
unità colturale, nè comporta un deprezzamento significativo
dell’originario valore. Ha inoltre affermato di condividere le
conclusioni sulla comoda divisibilità alle quali era giunto il
c.t.u. ed ha sottolineato la genericità delle critiche formulate
dagli appellanti. Infine, ha precisato che l’interesse della
cooperativa B. a mantenere unito il fondo non ha rilevanza nel
giudizio di divisione.
Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello di Catania hanno proposto ricorso R.N. ed
altri, sulla base di due motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la
violazione degli artt. 846 e 720 cod. civ.. In particolare, si
ritiene che il frazionamento del fondo comporti un deprezzamento
economico del bene ed un inevitabile sgretolamento dell’attività
svolta dalla cooperativa.
Inoltre, si sostiene che il fondo rientrerebbe
nell’accezione di unità colturale e, pertanto, sarebbe
indivisibile poichè la divisione ne impedirebbe la coltivazione.
Infine, il fondo non sarebbe comunque scindibile poichè la
divisione, oltre a non arrecare alcuna utilità ai condividendi,
sarebbe contraria ad esigenze di produttività e normale
utilizzabilità a, scopi agricoli. Il motivo si conclude con il
seguente quesito di diritto:
se è divisibile, ai sensi degli artt. 720 e 846
cod. civ., il fondo per cui è causa, temuto conto della eccessiva
onerosità delle opere di divisione o dei pesi che tale divisione
imporrebbe, dei limiti e servitù che sarebbe necessario realizzare
per il godimento delle singole quote, nonchè del pregiudizio che la
divisione in questione arrecherebbe al valore delle porzioni rispetto
all’intero e alla normale utilizzabilità per scopi agricoli.
Il motivo è inammissibile, per inidoneità del quesito.
Occorre premettere che il concetto di comoda
divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l’art. 720 cod.
civ., postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del
bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete
suscettibili di autonomo e libero godimento e, sotto l’aspetto
economico-funzionale, che la divisione consenta il
mantenimento, sia pure in misura proporzionalmente ridotta,
della funzionalità che aveva il tutto e non comporti un sensibile
deprezzamento del valore delle singole quote rapportate
proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale
destinazione ed utilizzazione del bene stesso. La relativa indagine
implica un accertamento di fatto e la conseguente decisione è
incensurabile in sede di legittimità, salvo che sotto i profili della
mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione
(Cass., Sez. 2^, 7 febbraio 2002, n. 1738).
Ora, nella specie, sotto l’apparente deduzione
della violazione e falsa applicazione di norme di legge, i ricorrenti
pongono in realtà un quesito di fatto, sollecitando questa Corte ad
una nuova indagine di merito e a rivalutare le risultanze istruttorie.
Specchio di questo tentativo è il quesito di diritto che conclude il motivo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez.
1^, 22 giugno 2007, n. 14682), il quesito che la parte
ricorrente è chiamata a formulare, per rispondere alle finalità
della norma, deve esser tale da consentire l’individuazione del
principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e,
correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata
applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a
determinare una decisione di segno diverso.
Se così non fosse, se cioè il quesito non
risultasse finalizzato alla cassazione sul punto della sentenza
impugnata, o comunque non apparisse idoneo a conseguire tale
risultato, ciò vorrebbe dire o che esso non ha in realtà alcuna
attinenza con l’impugnazione e con le ragioni che la sorreggono o
che la parte ricorrente non ha interesse a far valere quelle
ragioni. Nell’uno come nell’altro caso non potrebbe non pervenirsi
alla conclusione dell’inammissibilità del motivo di ricorso. Nella
fattispecie in esame il quesito sopra riferito non risponde a tali
requisiti, perchè non evidenzia in alcun modo l’esistenza di
un’eventuale discrasia tra la criticata ratio decidendi ed un
qualche principio giuridico che i ricorrenti vorrebbero invece fosse
posto a fondamento di una decisione diversa.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione
dell’art. 360 cod. proci. civ., n. 5, e, in particolare,
l’insufficienza della motivazione circa l’asserita comodità del
frazionamento.
Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata,
facendo proprie le valutazioni del consulente tecnico, ha ampiamente
spiegato perchè il fondo in questione è comodamente divisibile. A
fronte delle argomentazioni che sorreggono il decisimi, la censura
si risolve nel tentativo di rimettere in discussione il ragionamento
decisorio del giudice del merito, ossia dell’opzione che lo ha
condotto ad una determinata soluzione della controversia esaminata.
Per di più, il motivo neppure indica in che misura le critiche svolte
dal consulente di parte alla c.t.u. (ed alle quali i ricorrenti si
richiamano) siano state sottoposte al giudice del merito.
Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti
nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., alla quale non sono
stati mossi rilievi critici;
che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte dichiara, inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione
Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2011