Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32157 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2018, (ud. 06/07/2018, dep. 12/12/2018), n.32157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6757-2015 proposto da:

C.C., – (OMISSIS), S.F. – (OMISSIS),

CA.TE. – (OMISSIS), CA.MA.LI.RI. – (OMISSIS),

CO.PA. (OMISSIS), T.D. – (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, alla VIA OTTAVILLA n. 14, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO COLANGELO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro-tempore, domiciliato in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12,

presso gli uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7164/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/09/2014 R.G.N. 916/2016.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da Ca.Te., C.C., Ca.Ma.Li.Ri., Co.Pa., T.D., S.F. e da altri litisconsorti, tutti dipendenti del Ministero della Salute inquadrati nell’area funzionale C, posizione economica C3, avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere l’equiparazione, quanto al trattamento retributivo, al personale appartenente al ruolo ad esaurimento dei direttori di divisione e degli ispettori generali e la conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle differenze maturate;

2. il giudice di appello ha richiamato giurisprudenza di questa Corte ed ha in sintesi osservato che il trattamento differenziato, pur a fronte di identità di mansioni, si giustificava in ragione della diversa storia professionale dei dipendenti appartenenti al cosiddetto ruolo ad esaurimento;

3. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali ha resistito il Ministero della salute con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dei principi di diritto dell’Unione Europea in materia di parità di retribuzione, sanciti dagli artt. 153 e 157 del Trattato, dall’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali, dalla Convenzione Ilo n. 100 del 1951, nonchè dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza;

1.1. i ricorrenti premettono che il trattamento stipendiale rivendicato è stato riconosciuto dal Tribunale di Roma con sentenza n. 1147/2010 ad altro gruppo di dipendenti che, trovandosi nelle medesime condizioni giuridiche e fattuali, aveva avviato un’identica procedura giudiziale;

1.2. l’appello proposto dall’Avvocatura dello Stato è stato dichiarato inammissibile per tardività, tanto che alla prima pronuncia ha fatto seguito l’ulteriore sentenza del Tribunale di Roma n. 3856/2012 con la quale sono state quantificate le differenze retributive spettanti “al gruppo Biffi ed altri”;

1.3. ad avviso dei ricorrenti è stato in tal modo violato il principio della parità di trattamento fra uomini e donne, perchè, sia pure per effetto di un giudicato, l’amministrazione corrisponde retribuzioni differenziate, non giustificate da ragioni oggettive;

1.4. si sostiene che non può costituire mezzo appropriato o oggettivamente giustificato un provvedimento giudiziario definitivo formatosi verso un gruppo di lavoratori e comportante effetti vantaggiosi per questi ultimi, che determini una disparità di trattamento rispetto ad altri lavoratori, di entrambi i sessi, che finiscono per essere discriminati rispetto a quelli di sesso opposto dell’altro gruppo;

1.5. i ricorrenti sollecitano, pertanto, ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulle questioni che, illustrate da pag. 19 a pag. 43, vengono riassunte, quanto ai quesiti da sottoporre, alle pagine da 45 a 47;

2. con la seconda critica, illustrata alle pagine da 50 a 65 del ricorso, i ricorrenti asseriscono, in estrema sintesi, che per effetto del giudicato favorevole ad altri lavoratori, si sarebbe verificata una ingiustificata disparità di trattamento fra dipendenti del medesimo comparto, in violazione degli artt. 2,3,4,36,97 e 117 Cost., e chiedono, quindi, a questa Corte di ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, n. 3;

3. il terzo motivo prospetta la contrarietà al diritto dell’Unione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 perchè sarebbe stata legittimata, in violazione dei principi sanciti dalla direttiva 2006/54/CE una disparità di trattamento, quanto alla retribuzione, fra uomini e donne assegnati allo svolgimento delle medesime mansioni;

3.1. i ricorrenti invocano, quindi, la disapplicazione della norma ed il riconoscimento del diritto a percepire il medesimo trattamento retributivo previsto per la categoria avvantaggiata;

4. il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 123 bis disp. att. c.p.c. e art. 2697 c.c. perchè la causa non poteva essere decisa senza previa acquisizione del fascicolo di primo grado, contenente anche le produzioni effettuate dal Ministero appellato, rimasto contumace in appello;

5. le censure sono state ulteriormente illustrate in sede di memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., con la quale i ricorrenti, precisato che in pendenza del giudizio di cassazione, a seguito della sentenza di questa Corte n. 23848/2017, si era formato il giudicato sulla pronuncia del Tribunale di Roma n. 1147/2010, insistono nel ravvisare nella diversità di trattamento derivata da giudicati di senso opposto una discriminazione vietata dal diritto dell’Unione;

6. il ricorso è infondato in tutte le sue articolazioni;

7. occorre premettere che la sentenza impugnata, che ha negato l’equiparazione al personale del ruolo ad esaurimento dei ricorrenti, tutti inquadrati nell’area C – posizione economica C3, ex 9^ qualifica funzionale, è conforme all’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4434/2018; Cass. nn. 19275, 19041, 17920 del 2017; Cass. n. 24979/2016; Cass. n. 3682/214; Cass. nn. 29939, 22437, 5504 del 2011, Cass. n. 11982/2010) che ha respinto analoghi ricorsi;

7.1 le richiamate pronunce hanno affermato che il principio espresso dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete;

7.2. si è evidenziato, inoltre, che la distinzione in termini stipendiali fra il personale appartenente al ruolo ad esaurimento e gli altri dipendenti della ex 9a qualifica funzionale, tutti ormai inseriti dai C.C.N.L. nell’area contrattuale C, lungi dal determinare una violazione di legge da parte della contrattazione collettiva, costituisce attuazione della norma transitoria contenuta nello stesso D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3, in virtù della quale i dipendenti delle qualifiche ad esaurimento di cui al D.P.R. n. 748 del 1972, artt. 60 e 61 (e successive modificazioni ed integrazioni) e quelli di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 15, all’esito della soppressione dei ruoli, conservano le qualifiche medesime ad personam;

7.3. tali qualifiche, quindi, costituiscono una consapevole eccezione legislativa rispetto all’assetto ordinario, eccezione prevista dallo stesso testo (il D.Lgs. n. 165 del 2001) cui appartiene la norma (art. 45) che i ricorrenti assumono essere stata violata o falsamente applicata;

7.4. l’argomento fondato sulla sostanziale parificazione delle mansioni svolte dai dipendenti provenienti rispettivamente dai ruoli ad esaurimento e dalla 9a qualifica funzionale è stato egualmente disatteso dalla giurisprudenza di questa Corte che, a partire dalla sentenza n. 11982/2010, ha individuato le ragioni della diversità di trattamento nelle origini delle due categorie professionali a confronto e nelle diverse prospettive di carriera che le stesse inizialmente assicuravano;

7.5. si è osservato, infatti, che le qualifiche ad esaurimento provengono dal riordino dei ruoli organici delle carriere direttive delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo (a seguito della istituzione della dirigenza), effettuato dal D.P.R. n. 748 del 1972, il cui art. 60 stabiliva che “Le qualifiche di ispettore generale e di direttore di divisione o equiparate sono conservate ad esaurimento entro i limiti di una autonoma nuova dotazione organica…” (comma 3). Il successivo art. 61, stabiliva poi il trattamento economico delle qualifiche ad esaurimento, rapportando lo stipendio annuo lordo dell’ex ispettore generale e dell’ex direttore di divisione o equiparate “a quattro quinti di quello spettante rispettivamente al dirigente superiore ed al primo dirigente con pari anzianità di qualifica”;

7.6. la nona qualifica funzionale, invece, venne istituita dal D.L. n. 9 del 1986, art.2, che stabilì il relativo trattamento economico iniziale in misura non superiore al 90% di quello del direttore di divisione del ruolo ad esaurimento, mentre le relative mansioni vennero successivamente determinate, con la procedura contrattuale prevista dalla L. n. 93 del 1983, dal D.P.R. n. 266 del 1987;

7.7. infine, il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25, comma 4, nel sopprimere i ruoli ad esaurimento, conservando peraltro le qualifiche al personale che le rivestiva, descrisse le funzioni attribuite a quest’ultimo in termini analoghi a quelle relative al personale della 9a qualifica, stabilendo che “il trattamento economico è definito nel primo contratto collettivo di comparto di cui all’art. 45” e mantenendo, pertanto, nonostante la sostanziale equiparazione di fatto delle mansioni, una considerazione separata delle ex qualifiche ad esaurimento, sia quanto alla descrizione delle mansioni, che con riguardo alla qualificazione delle stesse ed al trattamento economico attribuito;

7.8. va poi evidenziato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3, del individua il contenuto essenziale delle mansioni da assegnare agli ex direttori di divisione ed agli ispettori generali, precisando che agli stessi “sono attribuite funzioni vicarie del dirigente e funzioni di direzione di uffici di particolare rilevanza non riservati al dirigente, nonchè compiti di studio, ricerca, ispezione e vigilanza delegati dal dirigente” e demanda alla contrattazione la sola determinazione del trattamento retributivo, che, quindi, le parti collettive ben potevano effettuare considerando le peculiarità proprie del ruolo ad esaurimento;

8. sulla scorta di dette argomentazioni si deve escludere la fondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata, in via subordinata, dalla difesa dei ricorrenti, perchè la disparità di trattamento non appare ingiustificata e riposa sulla diversità delle due situazioni a confronto, in relazione sia agli appartenenti al ruolo ad esaurimento, sia ai dipendenti dell’area C, posizione economica C3, che hanno ottenuto il giudicato favorevole;

9. non si ravvisa, inoltre, la violazione del diritto dell’Unione, ed in particolare dell’art. 157 TFUE (ex art. 141 TCE) e delle norme antidiscriminatorie dettate dalle direttive 2000/78/CE, 2000/43/CE e 2006/54/CE, già esclusa da questa Corte (Cass. n. 24979/2016), perchè la disparità assume connotati discriminatori allorchè non trovi giustificazione se non in ragione del fattore di rischio posseduto dal destinatario;

9.1. la discriminazione deve essere esclusa in relazione al personale del ruolo ad esaurimento, perchè la disparità di trattamento trova giustificazione nella diversa provenienza delle due categorie a confronto e non viene in rilievo alcuno dei fattori di rischio individuati dal legislatore Eurounitario;

9.2. parimenti è da escludere che possa essere ravvisato un trattamento discriminatorio rispetto ai dipendenti di categoria C3 che, per effetto di giudicato, hanno ottenuto l’equiparazione negata agli attuali ricorrenti;

9.3. va premesso che, contrariamente a quanto si legge nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., la sentenza di questa Corte n. 23848/2017 non ha “avvalorato quanto sostenuto indirettamente dagli attuali ricorrenti nel proprio ricorso principale”, avendo solo statuito sulla questione della tardività dell’appello, proposto dal Ministero della Salute avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 1147/2010, quando già era decorso il termine breve previsto per l’impugnazione, da computarsi a far tempo dalla notifica della sentenza stessa al funzionario che nel giudizio di primo grado aveva rappresentato l’amministrazione;

9.4. non si può sostenere che per effetto del giudicato verrebbe violato il principio della necessaria parità di trattamento fra gli uomini e le donne appartenenti ai due gruppi a confronto, perchè gli stessi ricorrenti, nell’evidenziare la presenza di entrambi i sessi in ciascun raggruppamento, finiscono per negare il necessario collegamento fra la disparità ed il sesso del lavoratore;

9.5. la giurisprudenza della Corte di Giustizia è costante nell’affermare che “il principio della parità delle retribuzioni sancito all’art. 141 CE osta non solo all’applicazione delle norme che dispongono discriminazioni direttamente fondate sul sesso, ma anche all’applicazione di norme che conservano differenze di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile in applicazione di criteri non fondati sul sesso, ogni volta che dette differenze non possano spiegarsi in base a fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso (v., in particolare, sentenze Seymour-Smith e Perez, C-167/97, EU:C:1999:60, punto 52, e VoB, C-300/06, EU:C:2007:757, punto 25 e giurisprudenza ivi citata)” (Corte di Giustizia 17.7.2014 causa C 173/13);

9.6. con la stessa pronuncia la Corte ha ribadito che “sussiste una discriminazione indiretta fondata sul sesso quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di lavoratori di un sesso che dell’altro (v., in particolare, sentenza Z, C-363/12, EU:C:2014:159, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). Un siffatto provvedimento è compatibile con il principio di parità di trattamento unicamente a condizione che la differenza di trattamento tra le due categorie di lavoratori che esso genera sia giustificata da fattori obiettivi estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso (v., in particolare, sentenze Rinner-Kuhn, 171/88, EU:C:1989:328, punto 12; Vo6, EU:C:2007:757, punto 38, e Brachner, C-123/10, EU:C:2011:675, punto 70)”;

9.7. nel caso di specie detta estraneità risulta evidente, perchè la diversità di trattamento risulta collegata alla formazione del giudicato verificatasi per ragioni di carattere processuale e prescinde del tutto da qualsiasi collegamento con il sesso dei ricorrenti che hanno agito nell’uno e nell’altro giudizio;

10. in realtà, ribadito che sulla base della normativa di legge e contrattuale non ha fondamento la pretesa dell’equiparazione al personale del ruolo ad esaurimento, ciò che i ricorrenti fanno valere in questa sede, facendo leva sul giudicato favorevole ottenuto (per ragioni meramente processuali) da altri dipendenti inquadrati nello stesso livello, altro non è se non un diritto al riallineamento stipendiale, che è stato espunto dalla disciplina dell’impiego pubblico con il D.L. n. 333 del 1992, art. 2, comma 4, norma, questa, collegata al disegno generale di riforma del pubblico impiego che ha condotto all’adozione sia della Legge Di Delegazione 23 ottobre 1992, n. 421, che del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, dove, tra l’altro, è stata disposta l’abrogazione di tutte le disposizioni che prevedono “automatismi” suscettibili di influenzare il trattamento economico fondamentale ed accessorio dei dipendenti pubblici (L. n. 421 del 1992, art. 2, lett. o, e D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 2);

10.1. è utile rammentare che la Corte Costituzionale, nel valutare la legittimità costituzionale della norma con la quale l’istituto è stato soppresso con efficacia retroattiva, ne ha sottolineato la “intrinseca irrazionalità”, evidenziando che priva di giustificazione è “l’estensione di un trattamento riconosciuto ad personam ad una intera categoria di dipendenti conseguente al fatto, del tutto accidentale, che un soggetto dotato di un trattamento “personalizzato” più favorevole venga a inserirsi nell’ambito di tale categoria” (Corte Cost. n. 6/1994);

11. non si ravvisa, pertanto, necessità alcuna dell’invocato rinvio pregiudiziale perchè sulle condizioni che devono ricorrere affinchè possa essere configurato una discriminazione vietata e violato il principio della necessaria parità di trattamento nelle condizioni di lavoro fra uomini e donne, la Corte di Giustizia ha ripetutamente statuito, affermando principi che consentono di risolvere la questione qui prospettata;

11.1. il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un acte claire che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (tra le altre: Cass., Sez. Un., 24.5.2007, n. 12067; Cass., 22.10.2007, n. 22103; Cass. 26.3.2012, n. 4776; Cass. 29.11.2013, n. 26924);

11.2. non è configurabile, infatti, “alcun diritto della parte all’automatico rinvio pregiudiziale ogni qualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, bastando che le ragioni del diniego siano espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek vs. Belgio) ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind Telecomunicazioni vs. Italia, p.36)” (in termini: Cass. Sez. Un. 8.7.2016, n. 14042 e Cass. 7.6.2018 n. 14828);

12. parimenti infondato è il quarto motivo alla luce dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte secondo cui “l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado nel processo d’appello ha una funzione meramente sussidiaria, sicchè, in mancanza, il procedimento di secondo grado, e la relativa sentenza, non sono viziati, nè tale omissione può costituire motivo di ricorso per cassazione, salvo che il ricorrente deduca che da detto fascicolo il giudice avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili aliunde, che è suo onere indicare specificatamente” (Cass. 1678/2016 e negli stessi termini Cass. 27691/2017);

12.1. detta ipotesi non ricorre nella fattispecie, poichè la questione è stata decisa dalla Corte d’appello sulla base di argomenti giuridici, conformi ai principi già affermati da questa Corte, sicchè l’acquisizione del fascicolo non poteva condurre ad una decisione di diverso tenore rispetto a quella adottata;

13. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

14. sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito e degli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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