Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32155 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/12/2019, (ud. 15/10/2019, dep. 10/12/2019), n.32155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5100-2018 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO PRATICO’;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1508/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA

GIOVANNA C. SAMBITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 7.7.2017, la Corte d’Appello di Torino ha confermato la decisione con cui il Tribunale di quella Città aveva rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate da C.E., nato in Gambia. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di quattro motivi, resistiti dal Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi tre motivi, il ricorrente deduce, rispettivamente: a) la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 1 e commi 3 e 5, lett. a) c) e), e dell’art. 8, commi 2 e 3, per non avere la Corte d’Appello applicato in modo corretto le norme sull’onere della prova e sulla valutazione di credibilità del richiedente protezione internazionale alla luce dei parametri fissati in tali disposizioni”; b) l’omesso esame di fatti decisivi e carenza di motivazione per illogicità manifesta; c) l’omesso esame di specifiche argomentazioni dei motivi d’appello.

Con tali motivi, unitariamente trattati, il ricorrente lamenta in particolare che la valutazione di non credibilità del suo racconto sia stata assunta esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese alla Commissione, mentre sarebbe stato necessario procedere al suo libero interrogatorio, onde verificare, con specifico riferimento ai punti della narrazione ritenuti incongrui, se esso dichiarante “fosse stato adeguatamente esaminato dalla Commissione Territoriale” con la contestazione delle eventuali incongruenze e, così, comprendere se esse potessero, o meno, riconnettersi al modo in cui era stato condotto il suo esame, o ad inesattezze della traduzione. La valutazione di non credibilità, conclude il ricorrente, era dunque inficiata da errori ed era, anche, illogica, e peraltro la Corte non si era fatta carico di esaminare le obiezioni sollevate in seno all’atto d’appello.

2. I motivi, da valutarsi congiuntamente, sono inammissibili. Occorre premettere che la Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, ha affermato il principio secondo cui: “(l)a Dir. 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 detta Dir., e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, Dir. medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato alla Dir., art. 46, paragrafo 3”.

Tale approdo, come rilevato dalla stessa Corte di giustizia, è del resto coerente con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui lo svolgimento dell’udienza non è necessario quando la causa non prospetti questioni di fatto e di diritto che non possano essere risolte sulla scorta del fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti (Corte EDU 12 novembre 2002, Dory c. Suede, 37).

3. A tali principi è conforme la sentenza impugnata, laddove, come è evidente dal loro tenore, le contestazioni mosse dal ricorrente tendono a sovvertire la valutazione di non credibilità soggettiva fondata sulla dichiarazione resa, di cui si offre una diversa interpretazione, senza considerare che, come questa Corte ha già condivisibilmente affermato, la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr. Cass. n. 27503 del 2018), e censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, da una parte, esclude il sindacato sulla motivazione basato sulla sua sufficienza o coerenza, limitandolo alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, e, dall’altra, introduce nell’ordinamento il vizio di omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. SU n. 8053 del 2014), fatto che nella specie non è stato indicato.

4. Il quarto motivo, con cui si denuncia, in riferimento al T.U. n. 115 del 2002, art. 136, nonchè al difetto e carenza di motivazione, la disposta revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è inammissibile. Infatti, la circostanza che la suddetta revoca sia stata adottata con la sentenza che ha definito il giudizio, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso decreto dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal citato D.P.R., art. 113 (Cass. n. 29228 del 2017, n. 3028 del 2018; n. 32028 del 2018; cfr. pure n. 16940 del 2019).

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositiva Essendo stato al patrocinio a spese dello Stato, non si ravvisano i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condanna alle spese, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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