Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32153 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 12/12/2018), n.32153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27012-2014 proposto da:

P.A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SENECA 10, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DANESE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO FRANCESCHELLI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

IL MESSAGGERO S.P.A., I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA

DEI GIORNALISTI ITALIANI “G. AMENDOLA”;

– intimati –

Nonchè da:

IL MESSAGGERO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99,

presso lo studio dell’avvocato CARMINE PUNZI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI LAZZARA, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

P.A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SENECA 10, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DANESE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO FRANCESCHELLI, giusta

delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI

ITALIANI “G. AMENDOLA”;

– intimato –

avverso la sentenza n. 990/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 27/01/2014 R.G.N. 645/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato GIOVANNI LAZZARA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 990/2013 la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accertato la esistenza, nel periodo decorrente dal 1.1.1992 al 30.11.2005, di un rapporto di lavoro subordinato tra P.A.P. e la società Il Messaggero s.p.a. e condannato quest’ultima al pagamento, a titolo di differenze retributive, della somma Euro 461.600,25 e al versamento in favore dell’INPGI dei contributi assicurativi di legge.

1.1. La Corte territoriale, per quel che ancora rileva, ha ritenuto che le emergenze in atti deponevano per la riconducibilità delle prestazioni svolte dalla P. in favore della società Il Messaggero s.p.a. ai compiti propri del collaboratore fisso ex art. 2 del c.c.n.l. giornalisti anzichè a quelli di redattore riconosciuti in primo grado; ha, quindi, proceduto alla rideterminazione delle relative differenze retributive sulla base del conteggio prodotto dalla P. calcolato su una retribuzione parametrata sull’importo minimo previsto in relazione alla produzione media mensile di articoli stabilita dall’art. 2 c.c.n.l., importo costituente un parametro medio ritenuto congruo dalle parti collettive. Ha confermato l’obbligo contributivo della società nei confronti dell’INPGI sul rilievo della natura subordinata del rapporto tra le parti e della iscrizione della lavoratrice all’Albo dei pubblicisti; ha ritenuto infondata la eccezione di prescrizione riferita agli obblighi contributivi sul rilievo che la stessa non teneva in considerazione gli atti interruttivi richiamati dall’istituto previdenziale.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.A.P. sulla base di un unico motivo; Il Messaggero s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato a quattro motivi; P.A.P. ha depositato controricorso avverso ricorso incidentale; l’INPGI non ha svolto attività difensiva.

2.1. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso principale, articolato in più profili, P.A.P. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5, 7, 11 e 36 (prima parte del c.c.n.l. giornalistico), omessa ed insufficiente motivazione e disamina delle risultanze istruttorie, violazione dei principi e definizioni sanciti dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alle mansioni di redattore ordinario. Censura la sentenza impugnata per avere ricondotto l’attività espletata dalla P. in favore della società Il Messaggero alle mansioni di collaboratore fisso ex art. 2 c.c.n.l. giornalisti, anzichè di redattore, omettendo di considerare le emergenze della prova orale e documentale e gli stessi principi affermati dal giudice di legittimità in tema di criteri distintivi dell’attività del redattore da quella di collaboratore fisso. A tal fine evidenzia che dalla richiamata prova orale e documentale era emerso il pieno inserimento di essa P. nella struttura redazionale e il carattere quotidiano dell’impegno profuso.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società Il Messaggero s.p.a. deduce omesso esame circa un punto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti censurando la sentenza impugnata per avere ricondotto l’attività espletata dalla P. all’ambito della collaborazione fissa ex art. 2 c.c.n.l. giornalisti; assume che è mancata la indagine sulla sussistenza di elementi sintomatici della subordinazione e sugli stessi requisiti richiesti per la riconducibilità dei compiti svolti a quelli del collaboratore fisso, non essendo emersa dalla espletata istruttoria nè la responsabilità di un servizio nè la continuità di prestazione, elementi connotanti tale figura professionale.

3. Con il secondo motivo di ricorso incidentale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2 c.c.n.l. giornalisti censurando la sentenza impugnata con riferimento al criterio di determinazione del compenso dovuto alla P.. Sostiene che l’utilizzazione del parametro meramente quantitativo, relativo al numero dei “pezzi” scritti, non era conforme alla norma collettiva la quale imponeva, in ogni caso, di distinguere, nell’ambito dell’attività prestata, tra articoli, servizi e notizie e di tenere conto non solo del numero dei “pezzi” ma anche dell’impegno di frequenza della collaborazione, della natura e dell’importanza delle materie trattate e del numero mensile di collaborazioni.

4. Con il terzo motivo di ricorso incidentale deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. censurando la omessa pronunzia sulla eccezione di prescrizione quinquennale dei crediti maturati in costanza di rapporto, eccezione ritualmente sollevata da essa società in prime cure e reiterata con il ricorso in appello.

5. Con il quarto motivo di ricorso incidentale deduce violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 76 e art. 158, comma 3, della L. 5 agosto 1981, n. 416, art. 38 e dell’art. 11 preleggi per non avere la sentenza impugnata considerato che nel periodo anteriore all’anno 2001 l’INPGI non aveva titolo per attuare la previdenza dei giornalisti pubblicisti in quanto la previdenza obbligatoria in regime di sostitutività operava esclusivamente in favore dei professionisti e dei praticanti (D.M. 1 ottobre 1953 e D.M. 24 luglio 1995) e non anche dei pubblicisti.

6. Ragioni di ordine logico giuridico, collegate al rilievo dirimente del suo eventuale accoglimento, rendono opportuna la trattazione con carattere di priorità del primo motivo del ricorso incidentale con il quale si censurano, sotto il profilo dell’ omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro in oggetto sia la riconducibilità delle mansioni espletate a quelle di collaboratore fisso ex art. 2 c.c.n.l. giornalisti.

6.1. Esso è inammissibile. La sentenza impugnata ha accertato la costante messa a disposizione delle energie lavorative, senza sostanziale soluzione di continuità e secondo le esigenze individuate di volta in volta dalla redazione da parte della P. ed ha ritenuto che tale attività presentasse le caratteristiche proprie di un rapporto di lavoro subordinato riconducibile alla figura del collaboratore fisso ex art. 2 del c.c.n.l. giornalisti.

6.2. Per inficiare l’accertamento di fatto del giudice di merito occorreva, pertanto, in conformità delle regole sui motivi che possono essere fatte valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, dettate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente applicabile ratione temporis, la deduzione di omesso esame di uno specifico fatto storico, di rilevanza decisiva, oggetto di discussione tra le parti. Tale fatto doveva essere evocato nel rispetto della previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 ovvero con l’indicazione del dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risultava l’esistenza, con l’indicazione del come e del quando (nel quadro processuale) tale fatto aveva costituito oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053).

6.3. Le censure articolate con il motivo in esame non sono coerenti con tali prescrizioni posto che non individuano alcuno specifico fatto storico di carattere decisivo il cui esame sarebbe è stato omesso dal giudice di appello nel pervenire all’accertamento contestato. La ricorrente incidentale si limita, infatti, a richiamare a sostegno del proprio assunto circostanze tratte dalle deposizioni testimoniali, che evoca, peraltro, senza il rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e quindi, in definitiva a sollecitare un diverso apprezzamento del grado di significatività probatoria delle stesse, apprezzamento che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte risulta precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846; Cass. 21/07/2006 n. 16788; Cass. 7/2/2004 n. 2357).

7. Il motivo di ricorso principale è inammissibile in quanto censura in maniera promiscua tanto la violazione di norme di diritto quanto l’asserita omessa insufficiente disamina delle risultanze istruttorie concretandosi in una negazione della regola della chiarezza e nella richiesta non consentita di un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure. (Cass. 4/9/2016 n. 18021; Cass. 23/9/2011 n. 19443; Cass. 11/4/2008 n. 9470). In ogni caso, premessa la conformità alla giurisprudenza di questa Corte dei criteri utilizzati dal giudice di appello nell’ operare la distinzione tra i compiti del redattore e quelli del collaboratore fisso ex art. 2 c.c.n.l giornalisti, distinzione ancorata sia al carattere quotidiano della prestazione del primo, esigendosi per il collaboratore solo il di diverso requisito della “continuità”, sia al fatto che solo al primo è richiesto il coinvolgimento nella cd. cucina redazionale, implicante la più ampia elaborazione del prodotto da editare, sotto il profilo della definitiva revisione e selezione degli articoli e sotto il profilo della composizione del giornale da pubblicare (Cass.08/02/2011 n. 3037; Cass. 25/06/2009 n. 14931; Cass. 09/03/2004 n. 4797), si rileva che le censure articolate non sono idonee, per le ragioni già evidenziate nell’esame del primo motivo di ricorso incidentale, ad inficiare l’accertamento relativo alla riconducibilità dell’attività prestata a quella di collaboratore fisso.

7.1. Tali censure infatti, fanno riferimento a circostanze prive di decisività non potendosi, in particolare, ritenere il giudice di appello vincolato alle valutazioni espresse nella richiamata Delibera del Consiglio dell’ordine dei giornalisti e nel verbale Ispettivo INPGI, e si sostanziano, anche con riguardo agli esiti della richiamata prova orale, nella richiesta di rivalutazione del materiale probatorio, estranea ai compiti del giudice di legittimità secondo quanto già osservato in relazione al primo motivo di ricorso incidentale.

8. Il secondo motivo di ricorso incidentale è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte il collaboratore fisso da identificarsi nel giornalista che, pur non assicurando una attività giornaliera, fornisca con continuità ai lettori un flusso di notizie attraverso la redazione sistematica di articoli o la tenuta di rubriche, ha diritto, ai sensi dell’art. 2, comma 4 c.c.n.l. lavoro giornalistico, ad una retribuzione collegata al numero di collaborazioni fornite, ossia al numero di articoli redatti o rubriche tenute, nonchè all’impegno di frequenza e alla natura e all’importanza delle materie trattate, ferma restando la soglia minima di quattro od otto collaborazioni al mese, con la conseguenza che, ove il numero delle collaborazioni sia particolarmente elevato e superiore a quello pattuito, il giudice, ai fini della equa determinazione della retribuzione, non può limitarsi ad un aumento proporzionale della stessa in rapporto al maggior numero di articoli o rubriche rispetto a quelli concordati, dovendo anche tenere conto di tutti gli altri parametri previsti dalla disposizione collettiva. (Cass. 09/01/2014 n. 290) E’ stato, quindi, ritenuto che potrebbe pertanto effettivamente risultare violato, nel quomodo, il canone di proporzionalità e di equa determinazione della retribuzione laddove si provvedesse a tale adeguamento dividendo semplicemente il compenso pattuito per le collaborazioni previste, moltiplicandolo quindi per tutti gli articoli o pezzi giornalistici prodotti, senza congruamente accertare l’impegno di frequenza richiesto e la natura ed importanza delle materie trattate che parimenti contribuiscono, in base al c. c. n. l. g. (art. 2, comma 4), a quantificare la retribuzione dovuta (Cass. n. 290/2014 cit., in motivazione). Tanto premesso parte ricorrente, nel contestare la conformità alla previsione collettiva del criterio meramente quantitativo utilizzato dalla Corte di merito, non chiarisce in che modo l’applicazione del detto parametro ha comportato una determinazione del dovuto a sè sfavorevole in quanto in contrasto con il canone di proporzionalità ed equa determinazione della retribuzione. Per inficiare l’accertamento della sentenza impugnata occorreva, infatti, la deduzione di omesso esame di un fatto specifico decisivo oggetto di discussione fra le parti secondo le modalità richieste dall’attuale formulazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (in relazione al quale v. sopra sub 6, punti 2 e 3)., onere non assolto dalla società ricorrente.

9. Il terzo motivo di ricorso incidentale è fondato in quanto la sentenza impugnata ha effettivamente omesso di pronunziare sulla eccezione di prescrizione ritualmente reiterata con l’atto di appello dalla società Il Messaggero.

9.1. Quanto ora osservato non comporta tuttavia la necessità di rinvio della causa al giudice del merito alla luce dei principi enucleati da questa Corte in tema di ragionevole durata del processo.

9.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi,una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 28/6/2017 n. 6171; Cass. 28/10/2015 n. 21968; Cass. 08/10/2014 n. 21257). Nella medesima linea argomentativi e con specifico riferimento alla ipotesi di omessa pronunzia su questione di diritto implicante accertamento di fatto si pone Cass. 13/6/2008 n. 15986secondo la quale la Corte di cassazione, oltre che nei casi in cui la fattispecie concreta è incontroversa tra le parti e oggetto di discussione sia solo la ricostruzione giuridica della stessa, può decidere nel merito la causa se, negli accertamenti di fatto compiuti dai giudici delle pregresse fasi (come ricostruiti in sentenza), il giudice di legittimità rinvenga la base per la definizione del processo. A tale ipotesi è riconducibile la fattispecie in esame posto che l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata relativo al fatto che il rapporto tra Il Messaggero s.p.a. e la P. non è stato ab origine configurato come di natura subordinata ma riconosciuto tale solo in seguito alla sentenza di primo grado esclude, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass. 12/12/2017 n. 29774; Cass. 22/09/2017 n. 22172; Cass. 23/01/2009 n. 1717; Cass. 06/07/2002 n. 9839) alla quale si ritiene di dare continuità, il decorso del termine prescrizionale in relazione al periodo dal 1.1.1992 al 30.11.2005 nel quale, per come pacifico, il rapporto era stato configurato tra le parti come autonomo e quindi privo di stabilità reale.

10. Il quarto motivo di ricorso, avente ad oggetto la condanna al versamento dei contributi previdenziali in favore dell’INPGI, è inammissibile non avendo parte ricorrente documentato il perfezionamento della notifica del ricorso nei confronti del detto ente mediante produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c. (Cass. 12/07/2018 n. 18361; Cass. 27/10/2017 n. 25552).

11. Il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale comporta la integrale compensazione delle spese di lite nel rapporto processuale tra P.A.P. e Il Messaggero s.p.a. Nulla nei confronti di INPGI che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso di Anna Paola P.. Rigetta il ricorso di Il Messaggero s.p.a. nei confronti di P.A.P. e lo dichiara inammissibile nei confronti di INPGI. Compensa le spese di lite tra P.A.P. e Il Messaggero s.p.a.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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