Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32151 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 12/12/2018), n.32151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3288-2014 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II,

33, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA PARISI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUISA LEOPARDI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), UFFICIO

SCOLASTICO REGIONALE PER L’ABRUZZO, UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE

TERAMO, CONVITTO NAZIONALE (OMISSIS); elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

DIRIGENTE CONVITTO NAZIONALE (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 947/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/07/2013 R.G.N. 327/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/06/2018 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato LUISA LEOPARDI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione proposta da G.G. nei confronti del MIUR, dell’Ufficio scolastico regionale per l’Abruzzo, dell’Ufficio scolastico di Teramo, del Convitto nazionale (OMISSIS), nonchè del dirigente scolastico del Convitto, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Teramo.

Il lavoratore aveva adito il Tribunale con due distinti ricorsi (in data 27 novembre 2006 e in data 26 aprile 2010) volti a far accertare l’avvenuto demansionamento ed isolamento lavorativo di esso ricorrente, che avrebbe portato quest’ultimo a rassegnare le dimissioni (definite forzose) il 18 maggio 2009, nonchè l’esistenza di comportamenti datoriali discriminatori o prevaricatori e quindi la configurabilità di fenomeni di mobbing a proprio danno, soprattutto caratterizzato da un uso illegittimo del potere organizzativo e disciplinare, con le correlate pretese risarcitorie.

2. Il Tribunale, riuniti i ricorsi, li rigettava e la sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d’Appello.

3. Per la cassazione della sentenza di secondo grado ricorre De G.G., prospettando sette motivi di ricorso.

4. Resiste il MIUR con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ preliminare l’esame del settimo motivo di ricorso, con il quale è prospettata la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza o del provvedimento in relazione all’art. 151 disp. att. c.p.c. e art. 155 c.p.c., per la illegittima riunione in primo grado dei due ricorsi, i quali pure in presenza di connessione soggettiva, non erano connessi oggettivamente e si trovavano al momento della riunione in fasi diverse. Difetto di istruttoria del secondo ricorso.

Assume il ricorrente che in ragione del diverso oggetto dei ricorsi e delle relative conclusioni la Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità della riunione.

1.1. Occorre premettere che, anche qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo, nella specie omessa pronuncia, rispetto al quale la Corte di Cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicchè la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (Cass., n. 14639 del 2016, n. 15367 del 2014, n. 23420 del 2011).

Nella specie, il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente non deduce che la disposta riunione dei giudizi da parte del giudice di primo grado ha costituito oggetto di specifica impugnazione dinanzi alla Corte d’Appello, con conseguenza non apprezzabilità della rilevanza della censura, non potendo trovare ingresso questioni nuove, e inammissibilità della medesima.

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sulle domande volte ad ottenere il danno professionale per demansionamento; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., in combinato con gli artt. 32 e 41 Cost., per non aver riconosciuto al lavoratore il danno non patrimoniale per l’eccessivo carico di lavoro che ha compromesso la salute del ricorrente, e per la mancata adibizione a mansioni corrispondenti al profilo professionale posseduto.

1.1. Il ricorrente deduce che la Corte d’Appello aveva ritenuto sussistere un conflitto interpersonale nel periodo 2000/2005 tra esso ricorrente e il dirigente scolastico, errando l’interpretazione del dettato contrattuale e negando i diritti di esso ricorrente. Ciò non corrispondeva al vero sussistendo ottimi rapporti, discendenti anche dalla profonda conoscenza dei contratti di lavoro del comparto scuola alla cui conclusione e articolazione esso ricorrente aveva contribuito, nell’esercizio di funzioni sindacali.

Per questa ragione era stato proposto dal dirigente e nominato dal Collegio degli Educatori Coordinatore, prima con funzione strumentale e successivamente con funzione obiettivo, del progetto denominato “Il Convitto una comunità educante”, relativo all’integrazione del personale ATA nelle attività convittuali.

L’attività educativa, di cui agli artt. 123 e 124 del CCNL 2002 del 2005, doveva convivere con l’assistenza notturna ai convittori, nell’arco di un orario settimanale di h. 24 + 6. Pertanto, fare due o tre turni notturni alla settimana di assistenza, aveva significato per il ricorrente non poter mettere a frutto le competenze di tipo psicopedagogico, metodologico e organizzativo relazionale, tra loro correlate e integrate.

La Corte d’Appello avrebbe dovuto prescindere dal preteso conflitto tra il G. e il dirigente scolastico, e avrebbe dovuto rilevare che l’adibizione di esso ricorrente a due o tre turni di assistenza, in violazione della normativa contrattuale, era di per sè illegittima; sottoponeva il ricorrente ad una attività estenuante (in violazione dell’art. 2087 c.c., artt. 32 e 41 Cost.); comprimeva eccessivamente la funzione docente e comportava demansionamento e violazione dell’obbligo del datore di lavoro di tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore.

Andava, quindi, accolta la richiesta risarcitoria ex art. 2087 c.c.. Inoltre si doveva tenere presente che il dirigente, nel rispetto del contratto (art. 6, punto 2, lett. i del CCNL 2002-2005), avrebbe dovuto definire, in sede di trattativa sindacale con la RSU i criteri e le modalità relativi all’organizzazione del lavoro e all’articolazione dell’orario del personale educativo. La violazione di tale regola dava luogo a lesione del bene salute costituzionalmente tutelato.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1485,2087 e 2013 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, e degli artt. 122, 123, 126 e 128 del CCNL comparto scuola 2002/2005 in materia di assistenza notturna del personale educativo e di eventuale equivalenza di tale assistenza al servizio diurno.

Espone il ricorrente che l’assistenza notturna è mansione obbligatoria e necessaria dell’educatore, ma non può essere considerata alla stregua del servizio diurno ai sensi dell’art. 2103 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, in quanto non consente all’educatore di sviluppare, almeno durante quelle ore, la funzione di docente.

Premette il ricorrente che dopo il riconoscimento della funzione docente al personale educativo (dal 1988) l’assistenza notturna è considerata funzione accessoria ordinamentale proveniente dal vecchio ruolo degli istitutori assistenti, tanto da essere retribuita separatamente e con appositi fondi.

Nella sezione del CCNL scuola relativa al personale educativo se ne evince l’obbligatorietà (art. 128), mentre essa è più specificatamente illustrata con riguardo al personale ATA (artt. 52 e 44 CCNL).

Richiama, altresì, la circolare ministeriale n. 111 del 31 marzo 1989, che delinea la funzione del personale educativo dei convitti, tra l’altro, come funzione docente, finalizzata alla formazione ed educazione dei convittori e dei semiconvittori, in modo simile agli artt. 122 e 123 del CCNL scuola.

Il G. prospetta che, apprezzato e stimato dal dirigente, tanto da essere esonerato da incarichi accessori, perdeva ogni prerogativa quando cominciava a rifiutare i troppi turni notturni non più compatibili con il proprio stato di salute. Esso ricorrente vedeva il dirigente scolastico azzerare il progetto teso al pieno coinvolgimento, nella vita convittuale, sia del personale educativo, sia del personale ATA.

La Corte d’Appello affermava che l’assegnazione prevalentemente a turni notturni risultava sufficientemente confermata, in punto di fatto, ma che andava considerato che, nell’attività convittuale, la presenza di personale educativo impegnati in turni di notte è del tutto fisiologica, e citava erroneamente il CCNL 2002-2005, atteso che lo stesso, all’art. 128 prevede un orario settimanale per gli educatori di ore 24, programmabile su base plurisettimanale, da svolgere in non meno di cinque giorni la settimana.

Sussisteva, quindi, vizio motivazionale, in quanto se l’assistenza notturna è di dodici ore (foglio presenza per turni dalle h. 22 alle 10 del giorno successivo), e il ricorrente svolgeva da due a tre notti a settimana, non si è più nell’ambito di una prestazione fisiologica, in quanto l’assistenza notturna copre per intero l’arco settimanale di servizio, non distribuisce l’orario su cinque giorni lavorativi e non permette di assolvere la funzione docente.

Il ricorrente ricorda, quindi, le testimonianze C., M., Z., sullo svolgimento dei turni.

Censura l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui i turni erano assegnati sulla base delle volontà manifestate di comune accordo all’esito di apposite riunioni del Collegio degli Istitutori, in quanto tale organo non ha competenze in materia di orario di lavoro, riservata alla contrattazione collettiva e rispetto a cui non ci si può autogestire, ma deve occuparsi di rendere attuabile il progetto educativo dell’Istituto, come si evinceva dall’art. 126 del CCNL.

L’accordo tra gli educatori non poteva eludere la disciplina contrattuale, con conseguente responsabilità del dirigente. Sussisteva un caso di mobbing in ragione dell’attività estenuante demandata al lavoratore. Nè la circolare n. 111 del 1989 offriva argomenti a sostegno della statuizione della Corte d’Appello.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione delle norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro del comparto scuola: art. 6, lett. d), del CCNL comparto scuola 2002/2005 (relativo alle relazioni sindacali a livello di istituzione scolastica) “modalità di utilizzazione del personale in rapporto al piano per l’offerta formativa”, h) “criteri generali per la ripartizione delle risorse del fondo di istituto e per l’attribuzione dei compensi accessori”, i) “criteri e modalità relativi all’organizzazione del lavoro e all’articolazione dell’orario del personale docente, educativo ed ATA”.

Tutte le richiamate disposizioni erano state violate dal dirigente scolastico nel periodo 2002 -2005, in quanto esso lavoratore veniva adibito prevalentemente ai turni notturni a scapito dell’attività di docenza, con prestazione via via più gravose e dovendo svolgere altri compiti che gli erano affidati (coordinamento funzione strume tale e funzione obiettivo) al di fuori del proprio normale orario di lavoro.

Il lavoratore censura l’affermazione della Corte d’Appello che ha ravvisato: nel rifiuto di applicare criteri e modalità di organizzazione del lavoro; nella mancata corresponsione dei compensi previsti dalla normativa contrattuale; nell’azzeramento del piano finanziario relativo alla progettazione di sistema promossa dal G., atti di macro organizzazione che investivano l’intera struttura e incidevano solo indirettamente sulle posizioni dei singoli lavoratori.

In tal modo il giudice di appello ha legittimato la disapplicazione da parte dl dirigente scolastico della disciplina contrattuale. Ed infatti, ai sensi dell’art. 25 TUPI e del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 7 spettano al dirigente scolastico determinati poteri, ma gli stessi devono essere esercitati nel rispetto delle attribuzioni e delle competenze del Collegio dei docenti e degli altri organi collegiali.

Così nel valutare l’azzeramento del progetto “Il Convitto come comunità educante” non si era tenuto conto del procedimento con cui era stato approvato: lavoro di due commissioni; sottoscrizione per approvazione del dirigente scolastico, e del direttore S.G.A.; base di sviluppo del piano offerta formativa del Convitto 2003-2004; deliberazione da tutti gli organi collegiali e dotato del piano attuativo.

Si palesava, quindi, nel suddetto azzeramento, l’intenzione di avversare esso ricorrente, che aveva speso in quel progetto le proprie competenze, ma non poteva più sostenere i turni notturni.

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 52, comma 1, lett. c), quinta alinea, del CCNL comparto scuola 2002-2005, relativo al limite massimo dei turni notturni effettuabili nell’arco del mese (norme presenti rispettivamente anche nel CCNL successivo).

La Corte d’Appello partendo dal citato art. 52, comma 1, lett. c), quinta alinea che prevede “nelle istituzioni educativi, il numero di turni notturni effettuabile da ciascun dipendete non può, di norma essere superiore a 8”, definisce detto limite “tendenziale” e quindi derogabile e conclude sul punto: “alla luce della documentazione acquisita e tenendo conto di una medi aritmetica tra i periodi di maggiore e di minore concentrazione dell’orario, non risulta superata dal G., che non ha allegato la avvenuta violazione della soglia massima contemplata dalle sopra indicate norme contrattuali”.

Ma tale interpretazione, assume il ricorrente, non tiene conto dell’interpretazione sistematica, atteso che l’art. 52 riguarda il personale ATA, che ha tra i propri compiti la sorveglianza (il progetto del G. teneva conto della necessità di coinvolgere anche gli educatori nella assistenza notturna, peraltro obbligatoria ai sensi dell’art. 128 CCNL), così ignorando la disapplicazione sistematica delle previsioni contrattuali in materia di orario di lavoro e di organizzazione del servizio, nella violazione dell’art. 52 cit., che non si riferisce agli educatori.

Dalla lettura del complesso delle norme contrattuali emerge la possibilità di un margine di elasticità nell’organizzazione dell’istituto in periodi critici, ma tale situazione non si ravvisava nella specie ove alcuni educatori si rifiutavano di adempiere all’obbligo contrattuale di cui all’art. 128 cit..

Pertanto, non doveva trovare applicazione l’art. 52 ma l’art. 128 CCNL scuola, con l’obbligo per tutti gli educatori di prestare il servizio notturno.

5. Con il quinto motivo di ricorso è prospettata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 32 Cost. e art. 41 Cost., comma 2, e dell’art. 2087 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., obbligo del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore.

Il ricorrente ricorda la giurisprudenza di legittimità relativa all’art. 2087 c.c., al mobbing e alla prova del demansionamento.

La decisione della Corte d’Appello non ha seguito i principi giurisprudenziali di legittimità, in quanto non riconosceva le diverse condotte denunciate a carico del dirigente scolastico (richiesta effettuazione prestazioni lavorative estenuanti ben oltre gli obblighi contrattuali, azzeramento progetto, trasferimento del dipendente, emarginazione dello stesso, mancata risposta alla richiesta inviata dal lavoratore quale RSU e di rappresentante della sicurezza) come vessatorie nei confronti di esso ricorrente, che aveva chiesto il danno da mobbing anche nei termini più ampi di risarcimento del danno esistenziale e del danno dall’anticipato trattamento di quiescenza.

La Corte d’Appello esclusa la strategia persecutoria, ha rigettato la domanda, senza considerare se alcuni comportamenti pur non potendo essere accomunati da un unico intento persecutorio potessero essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro, in particolare, alla luce di Cass. n. 18927/05.

6. I suddetti motivi di ricorso da 1 a 5 devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione atteso che, nell’esposizione degli stessi, profili relativi al thema decidendum della prima domanda si intersecano con profili relativi al thema decidendum della seconda domanda, trattate insieme dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello. Gli stessi sono in parte inammissibili e in parte non fondati.

7. E’ preliminare richiamare la giurisprudenza di legittimità in tema di demansionamento nel pubblico impiego e di mobbing, nonchè procedere ad una ricostruzione del quadro normativo contrattuale di riferimento.

8. Nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, il demansionamento è disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, arrt., 52.

A partire dalla sentenza resa a Sezioni Unite da questa Corte n. 8740 del 2008, è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che in materia di pubblico impiego contrattualizzzato non si applica l’art. 2103 cod. civ., essendo la materia disciplinata compiutamente dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della p.a., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo all’art. 2103 c.c. ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass., n. 7106 del 2014, n. 17396 del 2011, n. 18283 del 2010, n. 11405 del 2010).

8.1. Con riguardo al danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio – dall’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicchè non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (Cass., S.U. n. 6572 del 2006; conformi, Cass. n. 19785 del 2010, n. 17163 del 2016).

8.2. Ai sensi dell’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (Cass., 17698 del 2014, n. 26684 del 2017, n. 12437 del 2018).

L’elemento qualificante del mobbing lavorativo, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell’illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica, sicchè la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perchè, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell’assenza dell’elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata; parimenti la conflittualità delle relazioni personali all’interno dell’ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore (Cass., n. 26684 del 2017).

9. L’attività educativa, come stabilito dal CCNL scuola 2002-2005 art. 123, è volta alla promozione dei processi di crescita umana, civile e culturale, nonchè di socializzazione degli allievi, convittori e semiconvittori, i quali sono così assistiti e guidati nella loro partecipazione ai vari momenti della vita comune nel convitto od istituzione educativa. La medesima attività è finalizzata anche all’organizzazione degli studi e del tempo libero, delle iniziative culturali, sportive e ricreative, nonchè alla definizione delle rispettive metodologie, anche per gli aspetti psicopedagogici e di orientamento.

Il CCNL scuola 2002-2005, all’art. 128 (CCNL scuola 2006-2009, art. 133) regola gli obblighi di lavoro e stabilisce al primo comma “Gli obblighi di lavoro del personale educativo sono funzionali all’orario di servizio stabilito dal piano di attività e sono finalizzati allo svolgimento dell’attività educativa e di tutte le altre attività di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione e documentazione necessarie all’efficace realizzazione dei processi formativi”; il comma 2 stabilisce che “Per l’attività educativa, ivi compresa l’assistenza notturna, è determinato un orario settimanale di 24 ore, programmabile su base plurisettimanale, da svolgere in non meno di cinque giorni alla settimana”, ma il successivo comma 3 prevede che “In aggiunta all’orario settimanale, di cui al comma 2, è determinato un obbligo di ulteriori 6 ore settimanali. Esse sono utilizzate, sulla base di una programmazione plurisettimanale, per le attività di carattere collegiale funzionali all’attività educativa, di cui all’art. 124, comma 3, e, fino a 5 ore settimanali, per il completamente del servizio di assistenza notturna, secondo quanto previsto dal progetto educativo di istituto e dal relativo piano attuativo”.

Costituisce norma di chiusura del Capo 9 del CCNL che reca “Personale delle istituzioni educative” l’art. 129 che stabilisce che “Per quanto non disciplinato specificamente dal presente capo, si applicano le disposizioni recate da questo CCNL”.

10. La circolare ministeriale n. 111 del 1989 autorizzava il Collegio degli istitutori cui era demandato, tra l’altro: “formulare ad inizio d’anno ipotesi per la formazione e composizione delle squadre e per la formulazione dell’orario di servizio, tenuto conto dei criteri generali indicati dal Consiglio di amministrazione negli istituti di educazione e dal Consiglio di amministrazione negli Istituti di educazione e dal Consiglio d’Istituto degli istituti tecnici e professionali nei Convitti annessi”.

11. L’art. 52 del CCNL scuola 2002-2005 (CCNL scuola 2006-2009, art. 53) regola le modalità di prestazione dell’orario di lavoro per il personale ATA. Lo stesso regola espressamente le turnazioni, stabilendo che il numero di turni notturni effettuabile nell’arco del mese non può essere superiore a 8 e che l’orario notturno va dalle h. 22 alle h. 6 del giorno successivo.

12. Così ricapitolato il quadro giurisprudenziale e normativo di riferimento può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

12.1. Anche alla luce delle censure sopra richiamate, è corretto il rilievo attribuito dalla Corte d’Appello non solo alle disposizioni del CCNL relative alla figura dell’educatore (in particolare art. 128), ma anche all’art. 52 che riguarda il personale ATA, e che stabilisce il numero dei turni notturni e la durata degli stessi. Tale disposizione può trovare applicazione, atteso che sul punto non vi è una specifica disposizione nel Capo del CCNL dedicato al personale delle istituzioni educative, in ragione della previsione di chiusura contenuta nel citato art. 129 del CCNL scuola.

Come si è detto l’art. 52 stabilisce un numero di turni notturni che deve intendersi tendenziale (nel contratto vi è l’espressione “di norma”) nella misura di 8, dalle h. 22 alle 6 del giorno successivo.

La stessa disposizione chiarisce che l’orario di lavoro è flessibile in relazione all’orario di servizio, in ragione delle necessità connesse alle finalità e agli obiettivi dell’istituzione scolastica.

Dunque, la previsione contrattuale prevede tendenzialmente 8 turni e indica anche le ore ricomprese nel turno, di modo che l’imputazione dell’orario di lavoro a turno notturno è limitata alle h. dalle 22 alle 6 del giorno successivo, dovendosi ritenere che la contrattazione abbia escluso che le ore di lavoro prestate dopo le h. 6 del mattino, sia pure rese in continuità, integrino lavoro notturno, come asserisce il ricorrente nel riferire dei fogli presenza dalle h. 22 alle h.10 del giorno successivo.

12.2. Corretto è altresì, in ragione della disciplina di riferimento, il rilievo attribuito al Collegio degli Istitutori, che non è inciso dalle doglianze del ricorrente.

Gli artt. 124 e 126 del CCNL scuola 2002-2005, valorizzano la collegialità. In particolare l’art. 126 sancisce che “Il personale educativo, riunito collegialmente, definisce i principi ed i contenuti formativi del progetto educativo, che è adottato dal rettore, direttore o direttrice o, per i convitti annessi, dal dirigente scolastico. Il progetto educativo comprende anche il piano delle attività aggiuntive di cui al precedente articolo”. L’art. 131 del CCNL scuola 2006-2009 ha stabilito che “Il personale educativo, riunito collegialmente, definisce i principi ed i contenuti formativi del progetto educativo, che è adottato dal rettore, direttore o direttrice o, per i convitti annessi, dal dirigente scolastico. Il progetto educativo comprende anche il piano delle attività aggiuntive di cui al precedente articolo.

Ma ancor prima, la circolare ministeriale n. 111 del 1998, richiamata dalla Corte d’Appello, già prevedeva in via sperimentale il Collegio degli istitutori, di cui faceva parte anche il G., e lo deputava alla formulazione dell’orario di servizio, con la conseguenza che i turni, comunque legittimamente ricadenti nelle previsioni contrattuali, venivano stabiliti all’esito di apposite riunioni, sulla base della volontà manifestatesi.

Il ruolo attribuito dalla Corte d’appello al Collegio degli Istitutori trova conferma nelle risultanze delle prove per testi, peraltro come riportate anche dal ricorrente, dovendosi chiarire che la sede del Collegio degli Istitutori, esclude che la determinazione dei turni, tenuto conto delle disponibilità dei lavoratori, possa avere e dato luogo ad autonome e illegittime determinazioni dei singoli lavoratori circa l’orario di lavoro e i turni.

Il G., peraltro, non ha contestato la propria partecipazione al Collegio degli istitutori e la circostanza che coloro che svolgevano i turni, e quindi anche lui in mancanza di censure circostanziate in merito, avevano dato una loro disponibilità all’effettuazione degli stessi.

Nè assume rilievo in relazione alla ratio decidendi della sentenza della Corte d’Appello il conflitto interpersonale, che è rappresentato, ad abundantiam, solo quale mera ipotesi percepibile dal ricorso introduttivo, rispetto alla quale dunque non sussiste la rilevanza delle censure.

12.3. Dunque, non sono ravvisabili le prospettate violazioni della disciplina contrattuale sui turni notturni. Neppure, poichè ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 si deve fare applicazione del criterio di equivalenza formale, è ravvisabile demansionamento e conseguente danno, atteso che l’assistenza notturna rientra nel profilo professionale del ricorrente, poichè il CCNL scuola riferisce l’orario di lavoro all’attività educativa, ivi compresa l’assistenza notturna. Ciò, anche considerato che il G. prospetta la sussistenza di un danno in re ipsa come conseguenza diretta dell’asserito inadempimento contrattuale del Convitto e del dirigente scolastico, nell’effettuazione dei turni notturni, di cui dunque manca il presupposto, oltre a considerare che il danno da inadempimento del datore di lavoro poichè costituisce danno conseguenza andava comunque provato dal lavoratore (Cass, S.U. n. 6572 del 2006; conformi Cass. n. 19785 del 2010, n. 17163 del 2016).

12.4. Nè si è in presenza di mobbing per la prospettata assegnazione prevalente e continuativa allo svolgimento della sorveglianza notturna, atteso che in merito, come correttamente affermato dalla Corte d’Appello, non sussistono nè il demansionamento nè condotte vessatorie o discriminatorie, rispetto alle quali verificare l’intento doloso unificatore richiesto per la configurazione del mobbing, secondo la giurisprudenza di questa Corte.

12.5. La Corte d’Appello ha esaminato le ulteriori circostanze prospettate dal ricorrente come inadempimento datoriale: riduzione degli educatori ad uno; rifiuto di applicare in sede contrattuale i criteri e le modalità relativi all’organizzazione di lavoro e all’articolazione dell’orario del personale educativo di cui all’art. 6 del CCNL scuola 2002-2006; mancata corresponsione al personale di compensi previsti dalla normativa contrattuale; blocco della progettazione di sistema proposta dal G. mediante azzeramento del relativo piano finanziario; trasferimento interno al Liceo Classico Europeo; sottoposizione ad alcuni richiami, scritti e verbali da parte del dirigente; progressivo svuotamento delle mansioni ed isolamento lavorativo; contrasti nell’attività sindacale svolta dal lavoratore; accettazione delle dimissioni forzose.

12.6. Il giudice di appello non ha ravvisato un uso abnome del potere disciplinare, rilevando con corretta motivazione che vi erano state solo tre contestazioni e che i procedimenti disciplinari si erano conclusi con sanzioni lievi.

Tenuto conto delle censure prospettate con l’odierno ricorso, si rileva che la Corte d’Appello compiutamente sotto il profilo sia logico che giuridico, ha affermato che non era dato comprendere quale valenza intimidatoria nei confronti specifici della persona del G. potessero avere: i contrasti insorti nell’attività sindacale dallo stesso svolta quale RSU e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; le difficoltose relazioni sindacali all’interno della istituzione scolastica; la riduzione degli educatori ad uno; il rifiuto di applicare in sede contrattuale di istituto i criteri e le modalità di cui all’art. 6 del CCNL 2002-2006 scuola; la mancata corresponsione a tutto il personale di compensi previsti dalla normativa contrattuale, nonchè l’azzeramento del piano finanziario per la progettazione di sistema promossa dal G. e avviate nelle scuole nel convitto.

12.7. La Corte d’Appello rileva l’afferenza di tali atti all’attività di macro-organizzazione, posta in essere attraverso atti amministrativi presupposti rispetto alle eventuali successive determinazioni relative ai singoli lavoratori, attività che in quanto tale incide solo indirettamente ed eventualmente su singole posizioni lavorative quale nella specie quella del G., che non censura adeguatamente tale statuizione, non dando contezza dell’eventuale diverso contenuto individualizzante di tali atti rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello, e prospetta, peraltro, anche in questo caso un danno in re ipsa.

L’azzeramento finanziario aveva riguardato un progetto curato dal lavoratore, ma come rileva la Corte d’Appello tale scelta, come le altre di cui si duole il ricorrente, costituivano atti di macro organizzazione, non erano rivolte al singolo lavoratore, il ricorrente G., con specifico e diretto intento penalizzante e persecutorio, non incidevano sulla qualifica dello stesso, tenuto conto della nozione di demansionamento nel pubblico impiego, come sopra richiamata.

12.8. La Corte d’Appello con riguardo alle dimissioni presentate dal G., di cui si prospettava il carattere forzoso e la sussistenza di vizio del consenso, quale sorta di “violenza morale”, premette che ai fini della sussistenza del vizio del consenso è necessario che la minaccia sia diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale di deduce l’invalidità e risulti di natura tale da incidere con efficienza causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore della stessa. Quindi, rilevava che il G. non aveva offerto idonea dimostrazione, in concreto, in merito, nè aveva dedotto di avere subito alcuna specifica pressione a recedere dal rapporto di lavoro, e aveva provveduto spontaneamente a sottoscrivere la lettera di dimissione, non risultando dagli atti di causa un comportamento datoriale specificamente diretto ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce il vizio. Tale statuizione è censurata richiamando la documentazione medica che rilevava disturbi riconducibili all’attività lavorativa, l’asserito utilizzo delle competenze del G. da parte del dirigente scolastico salvo poi azzerare il finanziamento del progetto dallo stesso curato, la dequalificazione che ne era conseguita, deduzioni che non colgono e censurano adeguatamente la ratio decidendi della mancanza di prova di una minaccia con efficienza causale sulle dimissioni, quale vizio del consenso.

Come questa Corte ha affermato in tema di violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, i requisiti previsti dall’art. 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo; è in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l’annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore di essa. L’apprezzamento del giudice di merito sulla esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà di una persona, si risolvono in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio (Cass., n. 19974 del 2017).

13. Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e all’art. 111 Cost. non essendo stato adoperato, ai fini della decisione, ogni elemento istruttorio utile (mancato ingresso nel giudizio della richiesta di CTU medico legale).

E’ censurata la statuizione che ha escluso la CTU medica in quanto non era stata raggiunta la prova in ordine all’esistenza di comportamenti anche protratti nel tempo che rivelassero un’esplicita volontà del Convitto di Teramo e per essa del dirigente, di emarginazione del G..

Prospetta quindi i comportamenti vessatori che avrebbe subito e che sarebbero risultati provati:

assegnazione prevalente all’assistenza notturna; rifiuto di applicare i criteri e le modalità dell’orario di lavoro con violazione dell’art. 128 CCNL scuola; mancata corresponsione al personale dei compensi previsti dal CCNL scuola; blocco della progettazione di sistema promossa dal ricorrente; progressivo svuotamento delle mansioni e isolamento del lavoratore; contrasti nell’attività sindacale; dimissioni forzose.

In particolare, richiama il carteggio prodotto da cui emergeva la diagnosi di disturbi in relazione causale con la vicenda lavorativa.

Il G. prima impegnato in incarichi di responsabilità era poi stato relegato a far nulla con dequalificazione e discredito rispetto al personale.

La CTU avrebbe chiarito gli aspetti psicosomatici e non è sufficiente l’affermazione della Corte d’Appello che i certificati medici riportavano fatti dichiarati dal ricorrente atteso quanto emergeva dalle diagnosi (22 marzo 2007, 8 marzo 2007, 18 settembre 2009).

Pertanto la CTU andava ammessa.

13.1. Al rigetto dei precedenti motivi di ricorso consegue il rigetto del sesto motivo di ricorso, anche tenuto della circostanziata motivazione della Corte d’Appello sul fatto che la nota del 18 settembre 2009 (sportello mobbing di Pescara) evidenziava che la diagnosi aveva tenuto conto della storia lavorativa riferita dal lavoratore, e il serio aggravamento delle condizioni di salute risultava dalle sole consulenze prodotte dalla parte (dott. L. 23 marzo 2007, dott.ssa G. 19 aprile 2007, dott. P. 28 gennaio 2008), circostanze non contestate in modo circostanziato, indicando un contenuto e una provenienza di tali atti diversi da quelli indicati dalla Corte d’appello, che li riteneva non adeguati a provare le deduzioni del ricorrente.

14. Il corretto accertamento svolto dalla Corte d’Appello in punto di fatto sia della mancanza di demansionamento che delle lamentate condotte vessatorie o discriminatorie, facendo corretta applicazione dei principi enunciato da questa Corte in materia, priva di rilevanza gli ulteriori profili di censura, oltre a quelli già esaminati, relativi al prospettato mobbing, nonchè in ordine alla sussistenza e alla quantificazione del danno risarcibile.

15. Il ricorso deve essere rigettato.

16. Le spese deguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

17. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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