Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32148 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 10/12/2019), n.32148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26616-2018 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato a Roma, Appia Nuova 679,

presso lo studio dell’Avvocato GOFFREDO BARBANTINI e rappresentato e

difeso dall’Avvocato MAURO TOMMASI, per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

CAPRICE S.R.L. –

– intimata –

avverso la sentenza n. 976/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 15/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/7/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che T.S. aveva proposto nei confronti della sentenza con cui, nel 2011, il tribunale di Massa, in accoglimento dell’opposizione proposta, aveva revocato il decreto che aveva ingiunto alla s.r.l. Caprice il pagamento, in suo favore, della somma di Euro 686.414,19, oltre accessori, per prestazioni d’opera professionale.

La corte, in particolare, dopo aver premesso di aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio allo scopo “di determinare la congruità degli importi professionali richiesti dall’arch. T. per l’attività svolta in favore dell’appellante e per la quale è stato chiesto il decreto ingiuntivo di cui è causa” e di aver dovuto procedere alla revoca dell’ordinanza di nomina del consulente “nell’impossibilità, da quest’ultimo dichiarata, di espletare l’incarico per assenza di documentazione agli atti sufficiente allo scopo”, ha osservato che la società appellata aveva svolto in primo grado e riproposto ai sensi dell’art. 346 c.p.c. in appello svariate contestazioni nel merito, sia quanto all’an, che sul quantum delle pretese creditorie dell’arch. T. e che la puntuale contestazione svolta dalla Caprice in ordine all’effettivo svolgimento e all’entità delle prestazioni rese dall’arch. T. aveva determinato una indubbia inversione dell’onere della prova. Il professionista che chieda il compenso per le sue prestazioni, ha proseguito la corte, ha, infatti, l’onere di provare la sussistenza del credito, l’adempimento dell’incarico e l’entità delle stesse. Tale prova, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale: tale documentazione, tuttavia, non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione ed impone, quindi, al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, con la conseguenza che il giudice di merito non può assumere, come base di calcolo per la determinazione del compenso, le esposizioni della parcella contestata dal debitore con riferimento alle opera effettivamente eseguite e alla misura degli importi.

Nel caso di specie, ha proseguito la corte, l’arch. T. non risulta aver assolto a tale onere probatorio: dalle risultanze istruttorie ed, in particolare, dalla prova per testi espletata in giudizio, emerge talvolta la generica conferma che l’arch. T. ha continuato, anche dopo il sequestro dell’immobile della Caprice, a svolgere l’attività di direttore dei lavori nell’interesse dell’opponente ma, ha concluso la corte, “nessun elemento che concretamente consenta la individuazione delle attività effettivamente svolte”: in particolare, la lacunosità e la genericità delle deposizioni testimoniali non consentono di ritenere provata l’effettività dell’attività svolta dall’opposto.

La corte, quindi, ha ritenuto che l’appello dovesse essere rigettato per il mancato assolvimento dell’onere della prova in ordine all’entità delle prestazioni rese ed alla quantificazione delle competenze spettanti.

Il T., con ricorso notificato a mezzo pec il 14/9/2018, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.

La Caprice s.r.l. è rimasta intimata.

Il ricorrente, all’esito della proposta del relatore, ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, invocando l’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’appellante non avesse fornito la prova della sussistenza del credito, dell’adempimento dell’incarico e dell’entità delle proprie prestazioni professionali, evidenziando che tale affermazione è priva di fondamento logico e giuridico in quanto determinata da una non attenta lettura degli atti processuali e della documentazione prodotta ed, in particolare, della consulenza tecnica d’ufficio del 5/5/2007 e delle prove testimoniali assunte, con la conseguente violazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 115 c.p.c..

1.2. L’incarico professionale, ha aggiunto il ricorrente, risulta specificamente dimostrato, oltre che dalla documentazione prodotta in primo grado, dal contratto di affidamento dell’incarico del 13/2/1993, nel quale è scritto che “nel fabbricato (OMISSIS) sono in corso opere di radicale modifica e ristrutturazione e che ad oggi la progettazione e direzione dei lavori per la ristrutturazione dell’intero fabbricato è stata curata dall’Arch. T.S.”. La stessa scrittura, ha aggiunto il ricorrente, precisa che il compenso per l’incarico professionale di “completamento dei lavori” è stato determinato “tenendo conto della quantità di lavoro ad oggi eseguita”.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, invocando l’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio che consentisse di avere la “tecnica” certezza dell’attività professionale svolta dall’arch. T.. La consulenza tecnica d’ufficio, infatti, ha osservato il ricorrente, è un mezzo istruttorii al quale il giudice deve ricorrere quando, come nel caso in esame, l’impiego di conoscenze tecniche o scientifiche particolari siano necessarie per accertare i fatti del procedimento.

2.2. La semplice lettura della consulenza tecnica d’ufficio del 5/5/2007, ha aggiunto il ricorrente, avrebbe, inoltre, permesso alla corte d’appello di accertare l’esistenza del diritto dell’arch. T. al compenso professionale, nella misura ritenuta legittima. Tale consulenza, infatti, ricostruisce tutto il percorso amministrativo ed operativo dell’arch. T. in merito alla ristrutturazione del (OMISSIS), ed ha indotto la stessa corte d’appello a riconoscere, con la sentenza n. 1229 del 2018, il diritto dell’arch. T. a diventare proprietario di una mansarda sita nel (OMISSIS) ed oggetto di contratto preliminare di vendita con la Caprice.

2.3. La stessa sentenza appellata, ha proseguito il ricorrente, ha riconosciuto che il contratto di prestazione d’opera professionale per la direzione dei lavori e la ristrutturazione del fabbricato (OMISSIS) di proprietà della Caprice è stato pacificamente ammesso dalla stessa e provato dalla scrittura provata del 13/2/1993.

2.4. Non è, quindi, comprensibile, ha concluso il ricorrente, sul piano logico giuridico, che la sentenza impugnata abbia ritenuto indimostrata l’attività professionale e il diritto al compenso.

3. I motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati. Intanto, il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 c.p.c. può porsi esclusivamente ove il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge. La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti ed il relativo apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità salvo che, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella specie neppure invocato, per omesso esame di un fatto decisivo. In effetti, non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008). Per il resto, non può che ribadirsi il principio secondo il quale la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, con la conseguenza che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. n. 30218 del 2017; Cass. n. 10373 del 2019).

5. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

6. Nulla per le spese di lite, non avendo la Caprice s.r.l. svolto alcuna attività difensiva.

7. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

la Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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