Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32132 del 10/12/2019

Cassazione civile sez. III, 10/12/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 10/12/2019), n.32132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11844/2017 proposto da:

B.C., T.D.E., T.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CESI N 44, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO PILATO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO MARIA VERRECCHIA;

– ricorrenti –

contro

A.L.A., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALBERTO MARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 923/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/09/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 923/2017, emessa nel giudizio di rinvio a seguito della sentenza n. 21895/2013 della Prima Sezione Civile di questa Corte, in integrale riforma della propria sentenza n. 1428/2006 resa nel giudizio di appello, ha accolto l’opposizione proposta da A.L.A.; e, per l’effetto, ha ritenuto prescritte le domande proposte da B.C., vedova T., T.E. e T.D.E. con atto di intimazione notificato in data 7 ottobre 1999, condannando i suddetti, in via tra loro solidale, alla rifusione delle spese processuali in favore dell’opponente.

2.Era accaduto che B.C., ved. T., T.E. e T.D.E., tutti eredi di T.P., quali creditori pignoratizi, con atto 6 ottobre 1999 avevano intimato a A.L.A., ex art. 2797 c.c., e al fine di procedere alla vendita del pegno, il pagamento del capitale e degli interessi relativi al prezzo della quota di partecipazione sociale, che era stata venduta all’ A. il 27/6/1989 da T.P., all’epoca titolare di una quota di nominali 48.990.000 delle vecchie Lire nella Ericeta Mare s.r.l. e su parte della quale era stato costituito pegno a garanzia del pagamento della parte di prezzo dilazionata. Gli intimanti sostenevano che l’acquirente, a garanzia del pagamento della parte di prezzo dilazionata, aveva costituito un pegno su una parte della quota acquistata, ragion per cui l’azione veniva proposta per il pagamento del saldo prezzo.

Nel 1999 A.L.A. aveva proposto opposizione ex art. 2797 c.c., avverso detta intimazione di pagamento, deducendo di aver pagato l’intero e che comunque il credito si era prescritto in quanto l’atto di intimazione le era stato notificato nell’ottobre 1999, ovvero oltre 10 anni dopo la conclusione del contratto.

Si erano costituiti gli opposti chiedendo l’assegnazione del bene costituito in pegno (fino alla concorrenza del loro credito di 528.215.00 delle vecchie lire, oltre interessi).

Il Tribunale di Milano, con sentenza non definitiva n. 13337/2003, ritenuta tardiva l’eccezione di prescrizione, aveva accolto l’opposizione dell’ A. limitatamente agli interessi, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l’accertamento della domanda dei creditori pignoratizi di assegnazione del bene pignorato.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1428/2006, aveva confermato la sentenza non definitiva del giudice di primo grado, sia pure con diversa motivazione. In particolare aveva ritenuto l’eccezione di prescrizione tempestiva, ma comunque infondata, avuto riguardo alla data di scadenza dell’obbligazione garantita (della quale l’opponente non aveva fornito la prova e rispetto alla quale, anzi, si poteva ritenere acquisita la prova del mancato superamento del termine decennale di prescrizione). Infatti, l’opponente non aveva contestato l’allegazione degli eredi T. sulla pattuizione di una dilazione di pagamento; ed inoltre, a fronte della produzione da parte dei suddetti eredi degli effetti cambiari che essi assumevano essere stati rilasciati e poi rinnovati con funzione di garanzia del pagamento del corrispettivo pattuito, non aveva altrimenti spiegato il rilascio dei titoli, limitandosi a rilevare di non esserne l’emittente; tale contestazione, tuttavia, secondo la Corte d’Appello, era inconsistente in quanto i titoli erano stati emessi dal padre dell’opponente e, d’altra parte, gli intimanti avevano prodotto una dichiarazione sottoscritta da tale “Dott. S.”, dalla quale risultava che questi aveva ricevuto, quale rappresentante degli eredi T., titoli a firma di A.G. e A.L. per l’operazione di acquisto delle quote della s.r.l. Ericeta Mare.

Successivamente erano state emesse e sono passate in giudicato:

– la sentenza n. 9393/2011 con la quale il Tribunale di Milano aveva definito il quantum della pretesa, azionata dai creditori pignoratizi; e

– la sentenza n. 1230/2010 con la quale la Corte di appello di Milano, nel giudizio promosso dagli odierni ricorrenti nei confronti dell’ A. per il pagamento della somma di Euro 204.550,50 relativa alle 24 cambiali emesse da A.G. in favore della società AG Costruzioni s.r.l., ha affermato che dette cambiali si riferivano alla cessione delle quote detenute nella società Ericeta Mare e che nell’ambito della cessione per cui è causa vi era stato un accordo di pagamento nella misura affermata dai creditori opposti e secondo modalità dilazionate poi rimaste disattese, per cui si era determinato il parziale inadempimento dell’accordo medesimo.

Nelle more, avverso la sentenza n. 1428/2006 della Corte territoriale aveva proposto ricorso l’ A., articolando 3 motivi: con il primo motivo – denunciando la violazione degli artt. 1183,1498 e 2697 c.c. – aveva lamentato che la Corte di appello, “malgrado le prime due disposizioni prevedano rispettivamente l’immediata esigibilità della prestazione per la quale non sia previsto un termine ed il pagamento del prezzo al momento della consegna, ove non sia diversamente previsto, aveva posto a suo carico la prova che la vendita prevedeva un elemento accidentale e cioè un termine per il pagamento del prezzo, senza considerare che l’opponente aveva offerto la prova su di essa gravante e relativa alla data della vendita ed alla data della sua annotazione nel libro dei soci”. Con il secondo motivo, aveva denunciato un vizio di motivazione, “lamentando che incongruamente la Corte di appello aveva ritenuto provato, sulla base del “complesso delle risultanze processuali” che le parti avevano stabilito, per il pagamento del prezzo, un termine successivo alla conclusione del contratto di cessione delle quote. Con il terzo motivo, aveva denunciato la violazione degli artt. 2730 e 2731 c.c., ed il vizio di motivazione, lamentando che la sentenza impugnata aveva attribuito valore probatorio alla dichiarazione di un soggetto qualificatosi come rappresentante degli eredi T. e che, pertanto, poteva confessare soltanto fatti ad essi sfavorevoli.

La Prima Sezione Civile di questa Corte, con sentenza n. 21895/2013, aveva cassato la sentenza impugnata in relazione ai primi due motivi di ricorso, affermando il principio di diritto per cui, in tema di compravendita, l’eventuale pattuizione di un termine per il pagamento del prezzo rappresenta, rispetto alla previsione di cui all’art. 1498 c.c., comma 2, un fatto modificativo degli effetti naturali del contratto, sicchè grava sul venditore, che su tale termine fondi una più favorevole individuazione del “dies a quo” della prescrizione, fornirne la corrispondente dimostrazione. Il procedimento era così stato rinviato, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Nel 2014 l’ A. aveva convenuto in riassunzione B.C. T., T.E. e T.D.E., T.A. e T.E.E., chiedendo, a seguito della sentenza emessa dalla Prima Sezione Civile di questa Corte, l’accoglimento dell’opposizione.

Si erano costituiti i convenuti B.C. T., T.E. e T.D.E., chiedendo il rigetto dell’appello ed eccependo comunque l’intervenuto giudicato con riferimento alle citate sentenze nn. 9393/2011 del Tribunale di Milano e 1230/2011 della Corte di Appello di Milano, mentre gli altri convenuti erano rimasti contumaci.

E la Corte territoriale, in sede di rinvio, come sopra rilevato, con la impugnata sentenza, ha ritenuto prescritte le domande proposte da B.C., vedova T., T.E. e T.D.E..

3. Avverso la menzionata sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano, quale giudice di rinvio, hanno proposto ricorso B.T.C., T.E. e T.D.E., articolando due motivi.

Ha resistito con controricorso la A..

E questa Corte ad esito dell’adunanza svoltasi in data 10 luglio 2018, in vista della quale i ricorrenti hanno depositato memoria, ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa della pubblicazione della sentenza che le Sezioni Unite avrebbero emesso scrutinando il ricorso n. 7833 del 2017.

A seguito della pubblicazione di detta sentenza (recante numero 22438/2018) è stata fissata l’odierna adunanza, in vista della quale i ricorrenti hanno depositato nuova memoria, deducendo la procedibilità del ricorso e riproponendo le argomentazioni svolte nella memoria presentata per la precedente adunanza.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. In primo luogo va affermata la procedibilità del ricorso.

Invero, le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 22438/2018 hanno affermato il principio per cui: “il deposito in Cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta la improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c., sia nel caso in cui il controricorrente (anche se tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23 comma 2, non ne abbia disconosciuto la conformità all’originale notificatogli”.

Alla luce del suddetto principio va affermata la procedibilità del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, in considerazione del fatto che parte intimata ha resistito con controricorso, al quale ha allegato copia analogica conforme del ricorso notificato e nel quale non ha disconosciuto la conformità all’originale notificatogli della copia di detto ricorso.

2. Passando al “merito cassatorio”, il ricorso è affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione, dell’art. 2697 c.c., comma 2, con riferimento agli oneri probatori gravanti a carico della parte attrice nei giudizi di opposizione all’intimazione ex art. 2797 c.c., anche in virtù del giudicato esterno scaturente dalla sentenza definitiva n. 1230/2010, emessa inter partes dalla Corte d’Appello di Milano. Al riguardo, sostengono che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 2, sarebbe stato onere della A. provare il termine per il pagamento del prezzo delle quote di Ericeta Mare s.r.l., ignorando il principio di diritto affermato da questa Corte nella sentenza di rinvio; assumono la tardività dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla A. nella memoria presentata ex art. 180 c.p.c., nel giudizio di primo grado; deducono che l’opposizione ex art. 2697 c.c., non può riguardare l’esistenza del debito, ma soltanto la regolarità dell’intimazione ed il diritto di procedere alla vendita del bene impegnato; si soffermano sulla valenza probatoria degli effetti cambiari, che erano stati emessi dal padre della A., a distanza di anni dalla compravendita delle quote di Ericeta Mare s.r.l., e che, dopo vari passaggi, erano stati girati da tale Z. a T.P.; sostengono la mancata contestazione da parte della A. delle loro affermazioni in punto di esistenza di un termine per il pagamento del prezzo della compravendita; si lamentano del mancato rilievo d’ufficio del giudicato esterno formatosi sulla sentenza n. 1230/2010, con la quale la stessa Corte territoriale, definendo tra le parti un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva condannato l’ A. al pagamento del valore delle cambiali;

2.2. Con il secondo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame circa un fatto decisivo e controverso con riferimento all’erronea valutazione dei mezzi di prova disponibili in relazione alle pronunce giudiziali definitive inerenti i rapporti dare-avere tra le parti (compreso il decreto ingiuntivo n. 20121/2003 del Tribunale di Milano). Al riguardo, si lamentano che il giudice dell’impugnazione avrebbe accolto la domanda dell’ A. sul presupposto dell’erronea interpretazione dei contenuti della pronuncia di rinvio senza considerare nè le decisioni definitive succedutesi nel contenzioso tra le parti nè le circostanze effettive emerse nel corso del giudizio. E, a sostegno dell’effettiva sussistenza del debito in questione, deducono – oltre a varie circostanze, che indicano come “oggetto di definitivo accertamento giudiziale tra le parti”- la valenza probatoria della dichiarazione di ricevuta in data 28/2/1991 da parte del Dott. S.M., loro rappresentante, di assegno bancario a firma dell’ A. in sostituzione di altro titolo rilasciato da A.G. per l’acquisto delle quote della Ericeta Mare srl a decurtazione del maggior dovuto, con espresso riferimento agli assegni cambiari concernenti sin dall’origine la stessa operazione di acquisto.

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1. Inammissibile è il primo motivo.

A) La Prima Sezione Civile di questa Corte, con sentenza n. 21895/13:

– ha accolto il primo motivo di ricorso dell’ A., osservando che: “come risulta dalla sentenza impugnata, sebbene nessuna delle parti abbia prodotto il contratto di vendita della partecipazione sociale, è pacifico che sia scaduta l’obbligazione di pagare il corrispettivo, mentre è controversa la pattuizione, rispetto alla data della vendita, di una dilazione per il pagamento. In tale situazione, essendo incontroversa la vendita in una data coeva o anteriore a quella della iscrizione del pegno sul libro dei soci (27 giugno 1989), sulla opponente non può gravare l’onere di provare il fatto negativo della mancata pattuizione di una dilazione per il pagamento del corrispettivo. L’opponente, infatti, può giovarsi del disposto dell’art. 1498 c.c., secondo cui “in mancanza di pattuizione… il pagamento deve avvenire al momento della consegna…”. Rispetto a tale previsione, infatti, l’eventuale pattuizione di un termine rappresenta un fatto modificativo degli effetti naturali della vendita ed il relativo onere, pertanto, grava sul venditore che su tale termine fondi una a lui più favorevole individuazione del dies a quo per il computo della prescrizione”;

– ha parimenti accolto il secondo motivo, osservando: “da un lato, l’affermazione della mancata contestazione da parte dell’opponente della esistenza di un termine per il pagamento è contraddetta non solo implicitamente dalla eccepita prescrizione, fatta decorrere dalla data del 27 giugno 1989, ma anche esplicitamente dalle difese svolte nell’atto di opposizione e nella comparsa conclusionale di primo grado. D’altro canto, sebbene la ricorrente non abbia trascritto il tenore dei titoli di credito, tra le parti è pacifico che non esiste un rapporto cartolare diretto tra l’opponente e gli eredi T., cosicchè la produzione dei titoli, a fronte della specifica contestazione da parte dell’opponente, non può sollevare questi ultimi dal provare la riferibilità dei titoli alla vendita della partecipazione”;

– ha infine ritenuto infondato il terzo motivo, affermando che:” la sentenza impugnata non ha affatto attribuito valore confessorio alla dichiarazione scritta proveniente da un soggetto il cui potere di rappresentanza, avente ad oggetto la ricezione dei titoli per cui è causa, si è ormai esaurito”, ma, in conformità a richiamata giurisprudenza di legittimità, “si è limitata a valutare nel “complesso delle risultanze processuali” la dichiarazione di scienza resa dal terzo su fatti ai quali esso aveva partecipato in qualità di rappresentante dei T.”; al riguardo la Prima Sezione Civile di questa Corte – dopo aver precisato che “gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, non essendo stati raccolti nell’ambito del giudizio in contraddittorio delle parti, nè di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice del merito, e possono, in concorso con altre circostanze, fornire utili elementi di convincimento” – ha osservato che “la dichiarazione proveniente dal terzo è stata, peraltro, valutata dalla Corte di appello nell’ambito “complesso delle risultanze processuali”(mancata contestazione della dilazione del prezzo e mancata indicazione del diverso rapporto cui si riferivano i titoli) utilmente censurato in questa sede. Ne consegue, pur con il rigetto del motivo, la necessità in sede di rinvio di una nuova valutazione della dichiarazione scritta proveniente dal terzo”.

In definitiva, questa Corte, nel cassare la sentenza del primo giudice di appello, ha rinviato alla stessa Corte territoriale, precisando che la stessa avrebbe dovuto decidere “gravando gli opposti dell’onere di provare una scadenza dell’obbligazione di pagare il corrispettivo diversa da quella coincidente con la stipula del contratto e motivando nuovamente in ordine alla sussistenza in atti della prova di una siffatta diversa scadenza”.

B) Entrambi i suddetti dicta sono stati tenuti presenti dalla Corte di rinvio, la quale – dopo aver premesso che: a) era pacifico tra le parti che in data 27/6/1989 la A. aveva acquistato da T.P. il 97,5% delle quote sociali dallo stesso detenute nella società Ericeta Mare s.r.l.; contestualmente la cessione era stata annotata sul libro soci ed era stato iscritto un vincolo pignoratizio in favore di T.P. sul 63% del capitale sociale, a garanzia del pagamento del debito residuo; b) l’ A. aveva contrastato l’azione di cui all’art. 2797 c.c., proposta dagli eredi di T.P., eccependo la prescrizione del diritto di credito, in quanto la domanda era stata proposta con atto di citazione notificato in data 2 dicembre 1999, mentre il contratto di compravendita, era stato concluso il 27 giugno 1989, sicchè il credito relativo al pagamento del corrispettivo residuo era esigibile sin da tale momento – applicando il principio di diritto posto dalla Prima Sezione Civile di questa Corte, a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte convenuta, ha ritenuto che era onere della parte creditrice provare che le parti avessero pattuito una dilazione del termine di pagamento del corrispettivo, in quanto tale termine costituisce un fatto modificativo degli effetti naturali della compravendita.

Quindi, la corte di rinvio – dopo aver ripercorso le circostanze sulla base delle quali la prima sentenza d’appello aveva ritenuto il mancato superamento del termine decennale (precisamente: a) il fatto che la signora A. non avesse mai specificatamente contestato le affermazioni degli eredi T. sull’intervenuta convenzione di un pagamento dilazionato della quota acquistata; b) la circostanza che l’appellante non avesse dimostrato l’avvenuto pagamento dell’intero prezzo di Lire 1.070.000.000, riconosciuto ed ammesso quale corrispettivo della cessione; c) la circostanza che l’appellante non avesse puntualmente contestato e fornito elementi giustificativi relativi al rilascio di effetti cambiari poi rinnovati con altri titoli che, secondo la tesi degli eredi T., avevano funzione di garanzia dell’adempimento del corrispettivo pattuito; d) la presenza di una dichiarazione rilasciata in data 28.2.1991 dal Dott. S., con la quale questi dichiarava di ricevere, quale rappresentante degli eredi del comm. T.P., titoli a firma A.G. e A.L. per l’operazione di acquisto delle quote della società Ericeta Mare s.r.l.) – ha rilevato che, poichè tutte dette circostanze erano state “utilmente” censurate in sede di legittimità, l’unico valido elemento di prova rimasto era costituito dalla sopra menzionata dichiarazione del Dott. S..

Ciò posto, la corte di rinvio – applicando correttamente il principio per cui gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice di merito e possono fornire utili elementi di convincimento soltanto in concorso con altre circostanze – ha ritenuto che la sola dichiarazione resa dal Dott. S. non fosse un elemento di prova, di per sè idoneo a dimostrare la riferibilità delle cambiali all’operazione di acquisto della società Ericeta Mare (e, quindi, la prova che fosse stato previsto un termine dilazionato per il pagamento del prezzo residuo delle quote acquistate nella suddetta società), tanto più che “tali titoli erano stati emessi nel 1992 (a diversi anni di distanza dalla conclusione del contratto di compravendita) dal padre di A.L. in favore di una società estranea alle parti in causa, la Immobiliare A.G. s.r.l. e reca(va)no la sottoscrizione per avallo di A.L.”.

Trattasi di giudizio in fatto che, in quanto congruamente motivato e conforme ai dicta contenuti nella sentenza di cassazione, si sottrae al sindacato di questa Corte.

3.2. Inammissibile è anche il secondo motivo.

Invero, la giurisprudenza di legittimità (peraltro puntualmente richiamata nella sentenza impugnata) ha avuto più volte modo di affermare che il principio processuale della rilevabilità del giudicato (sia inferno che esterno) – in ogni stato e grado del giudizio – deve essere coordinato con i principi, parimenti processuali, che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio dal giudice – nel giudizio di legittimità – ma anche le questioni che costituiscano il necessario presupposto della sentenza, ancorchè non siano state dedotte o rilevate in quel giudizio. Ne consegue che il giudice di rinvio non può prendere in esame neanche la questione concernente l’esistenza di un giudicato esterno o (come nella specie) interno, ove l’esistenza dello stesso giudicato – pur potendo essere allegata o rilevata – risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio.

Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, di tale principio ha fatto corretta applicazione la Corte di rinvio, che ha respinto l’eccezione di giudicato, formulata dagli allora appellati (odierni ricorrenti) con riferimento alla pronuncia del Tribunale di Milano n. 9393/11 e a quella della Corte d’Appello di Milano n. 1230/10, così argomentando:

-la pronuncia del Tribunale di Milano n. 9393/11 era la sentenza che aveva definito il quantum della pretesa, azionata dai creditori pignoratizi ed era stata emessa dopo la sentenza non definitiva resa sull’an del diritto di credito; mentre la sentenza della Corte d’Appello n. 1428/06, che aveva confermato la pronuncia non definitiva, era stata cassata dalla Corte di Cassazione; sicchè, in virtù del principio espresso dall’art. 336 c.p.c., doveva ritenersi che la riforma e la cassazione della sentenza non definitiva avessero determinato la caducazione anche della sentenza definitiva n. 9393/11;

– la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1230/10 – che era stata resa nel giudizio promosso dagli eredi di T.P. nei confronti di A.L. per il pagamento della somma di Euro 204.550,50 relativa alle 24 cambiali emesse da A.G. in favore della società A.G Costruzioni s.r.l. – dopo aver premesso che i ricorrenti in via monitoria avevano esperito un’azione causale (e non cartolare), aveva respinto l’opposizione proposta da A.L., ritenendo che le cambiali si riferissero alla cessione delle quote detenute nella società Ericeta Mare s.r.l.; nel giudizio di legittimità parte appellata aveva prodotto la sentenza n. 1230/10 con la memoria ex art. 378 c.p.c., ma la Prima Sezione Civile di questa Corte aveva implicitamente escluso l’esistenza del giudicato laddove aveva precisato che la produzione dei titoli di credito non era un elemento sufficiente a dimostrare la riferibilità dei titoli alla cessione della partecipazione societaria.

In definitiva, secondo il giudice di rinvio, l’efficacia preclusiva della pronuncia resa dalla Prima Sezione Civile impediva di accertare l’esistenza del giudicato esterno, essendo stato detto giudicato già implicitamente escluso dalla Corte di legittimità.

A fronte di tale articolato percorso argomentativo, immune da vizi logici e giuridici, parte ricorrente evoca il vizio di omesso esame di fatto decisivo e controverso, ma inammissibilmente dimentica che l’eccezione di giudicato è stata diffusamente trattata dalla Corte di merito e sollecita questa Corte a procedere ad un nuovo esame delle risultanze (precluso in questa sede).

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, sostenute dalla controparte, nonchè la declaratoria di sussistenza di presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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