Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32129 del 10/12/2019
Cassazione civile sez. III, 10/12/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 10/12/2019), n.32129
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13223/2018 proposto da:
MOBILNOVA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore
R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO, 7,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MADEO, che la rappresenta e
difende;
– ricorrente –
contro
INTESA SANPAOLO PROVIS SPA, in persona del Direttore Generale Dott.
RU.SA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO DE’
CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato ALDO FONTANELLI, che
loarappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO
BERGAMASCO, FABIO FUGAZZA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 137/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,
depositata il 27/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
18/09/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
Fatto
RILEVATO
che:
la Mobilnova s.r.l. promosse procedimento arbitrale in relazione ad un contratto di leasing intercorso con la CR Leasing s.p.a. (poi Mediocredito Italiano s.p.a.) chiedendo che venissero dichiarati non dovuti, in quanto usurari, gli interessi pretesi dalla controparte, con affermazione della persistente vigenza del contratto e condanna del Mediocredito Italiano al risarcimento dei danni;
il lodo arbitrale, pronunciato il 25.11.2015, rigettò integralmente le domande della Mobilnova s.r.l.;
la soccombente propose impugnazione per nullità ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 11) e 12);
la Corte di Appello di Perugia ha rigettato l’impugnazione in relazione ad entrambi i motivi dedotti;
propone ricorso per cassazione la Mobilnova s.r.l., affidandosi ad un unico motivo; resiste l’Intesa Sanpaolo Provis s.p.a. (avente causa dal Mediocredito Italiano) con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), assumendo che, dopo aver chiarito in cosa consista il vizio di cui all’art. 829, comma 1, n. 11), la Corte di Appello ha dichiarato l’infondatezza della censura sollevata “senza fornire motivazione alcuna”, con una motivazione “solo apparente”, che “non individua i principi di diritto espressi dal lodo impugnato, non traccia il ragionamento perseguito dagli arbitri, non chiarisce perchè le contraddizioni denunciate non inficino il presunto ragionamento posto alla base della decisione”; aggiunge che “le contraddizioni denunciate dall’appellante sono, in verità, tali da precludere la ricostruzione di una parvenza di ragionamento logico-giuridico sottostante alla pronuncia arbitrale” e illustra la contraddittorietà di alcuni passaggi motivazionali del lodo, lamentando che “tali contraddizioni sono state ignorate dalla Corte di Appello”;
in relazione all’impugnazione ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 11), (“se il lodo contiene disposizioni contraddittorie”), la Corte di Appello ha escluso che vi sia contraddittorietà tra le statuizioni contenute nel dispositivo e tra questo e la motivazione e ha rilevato che la contraddittorietà dedotta con riferimento a diverse parti della motivazione potrebbe “assumere rilevanza solo ed esclusivamente nell’ipotesi di assoluta impossibilità di ricostruire l’iter logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una qualsivoglia forma di motivazione riconducibile ad un suo modello legale, risolvendosi quindi in una mancanza totale di motivazione”, dovendosi pertanto essere “esclusa la sussistenza del vizio in esame ogni volta che si possa, comunque, ravvisare un quid minimum indispensabile per (la) configurazione di una motivazione”;
tanto premesso, la Corte di Appello ha ritenuto “l’assoluta infondatezza dell’impugnazione” in quanto:
“non si ravvisa alcuna contraddittorietà tra le varie componenti del dispositivo e tra questo e la motivazione”;
nè le “presunte contraddittorietà interne alla motivazione”, quand’anche esistenti, “comporterebbero mai una totale mancanza di motivazione”, giacchè “si ravvisa sicuramente il ragionamento logico che il Collegio ha seguito per escludere il superamento del tasso soglia nella pattuizione degli interessi”, cosicchè “risulta presente una motivazione nella sua struttura logica e giuridica con riguardo alla funzione che la stessa deve assolvere”;
il motivo di ricorso è infondato, in quanto:
la Corte di Appello ha individuato la natura e il perimetro del vizio denunciato, anche con riferimento all’ipotesi di contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione, e ne ha escluso la ricorrenza, dando atto che la lettura del lodo consente di ravvisare l’iter logico seguito dal collegio arbitrale;
tanto basta ad integrare una motivazione idonea a giustificare il rigetto dell’impugnazione e a palesarne le ragioni, atteso che la Corte non era chiamata a valutare la fondatezza o meno delle ipotesi di contraddittorietà evidenziate dall’impugnante, ma soltanto a verificare se il lodo presentasse comunque un iter argomentativo che valesse a supportare la decisione;
nè può ritenersi che la ricorrente potesse introdurre, sotto il profilo della carenza della motivazione, una censura attinente più propriamente alla correttezza dell’apprezzamento della Corte di Appello circa la sicura ravvisabilità del percorso logico seguito dal collegio arbitrale, rispetto alla quale il ricorso difetterebbe comunque di autosufficienza (cfr. Cass. n. 12664/2012), non avendo riprodotto il contenuto del lodo onde consentire a questa Corte di apprezzare se le contraddittorietà denunziate fossero effettivamente tali da privare di qualunque base motivazionale la decisione arbitrale;
le spese di lite seguono la soccombenza;
sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019