Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32126 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2018, (ud. 14/11/2018, dep. 12/12/2018), n.32126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20371/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. con socio unico, in liquidazione

(C.F. (OMISSIS)), in persona del curatore pro tempore.

– intimato –

Avverso la sentenza n. 120/65/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, depositata

il giorno 23 giugno 2011.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14

novembre 2018 dal Consigliere Giuseppe Fichera.

Fatto

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) s.r.l. con socio unico, in liquidazione, impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale venivano ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRPEG, IRAP e IVA, nell’anno 2003.

L’impugnazione venne integralmente accolta in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con sentenza depositata il giorno 23 giugno 2011, lo respinse compensando le spese tra le parti.

Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico mezzo; il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. con socio unico, in liquidazione – dichiarato in pendenza del giudizio – non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo deduce l’Agenzia delle Entrate violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 7, 36 e 59, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 54, comma 2 e art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè la commissione tributaria regionale erroneamente ha ritenuto che le carenze della motivazione resa dalla sentenza di primo grado fossero “superabili” nel giudizio di appello, incorrendo essa stessa in una motivazione lacunosa sulle ragioni dell’illegittimità dell’accertamento impugnato.

1.1. Il complesso motivo è, in ogni sua parte, inammissibile.

Va anzitutto ricordato che nel processo tributario, al pari del rito ordinario, il vizio di motivazione della sentenza impugnata, non rientra fra quelli tassativamente indicati dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 59, come suscettibili di far insorgere i presupposti per la regressione del processo dallo stadio di appello a quello precedente, ma comporta soltanto che il giudice d’appello, una volta accertato il vizio deve deciderla nel merito, senza che a ciò osti il principio del doppio grado di giurisdizione, che è privo di rilevanza costituzionale (si veda, in tema, Cass. 30/08/2006, n. 18824).

Dunque, è priva di qualsivoglia interesse la doglianza dell’Agenzia delle Entrate, riferita all’omesso accoglimento della censura formulata davanti al giudice di appello, concernente il difetto di motivazione della sentenza resa di primo grado, dovendo comunque il giudice del gravame pronunciare – quando siano stati formulati i relativi motivi, come nel caso che ci occupa – anche sul merito delle questioni che siano state ritualmente sottoposte al suo esame.

Quanto ai motivi dell’atto di appello concernenti il merito della decisione impugnata, inammissibili si mostrano tutte le censure riferite alla motivazione – con la quale i mezzi di gravame sono stati tutti respinti – resa della sentenza della commissione tributaria regionale, per l’assorbente considerazione che l’odierna ricorrente non individua neppure quali siano i fatti storici, decisivi per la controversia, in ordine ai quali la decisione impugnata sarebbe risultata insufficiente e contraddittoria, limitandosi genericamente ad invocare un riesame delle questioni ivi trattate, che resta radicalmente precluso in sede di legittimità.

2. Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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