Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3210 del 09/02/2011

Cassazione civile sez. I, 09/02/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 09/02/2011), n.3210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3791-2010 proposto da:

S.A. ((OMISSIS)) S.E.

((OMISSIS)) elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIGLI GIUSEPPE, che li

rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro-tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

contro

QUESTURA DI ROMA;

– intimata –

avverso il decreto n. 7957/08 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

4.12.08, depositato il 20/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Giuseppe Gigli che si riporta agli

scritti e chiede la condanna alle spese. E’ presente il Procuratore

Generale in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE che nulla osserva

rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

è del seguente tenore: “1.- La Corte di appello di Roma, con

decreto depositato il 20.1.2009, ha respinto il reclamo proposto da

S. A. – cittadino (OMISSIS) – e da S.E. –

cittadina (OMISSIS) – contro il provvedimento del Tribunale di Roma

reiettivo dell’opposizione da essi presentata contro il diniego del

Questore di rilascio della carta di soggiorno alla seconda, la quale

l’aveva richiesta in favore del primo, con il quale aveva contratto

matrimonio nel 2004 nella Repubblica Moldova. La Corte di merito ha

rilevato che il rilascio della carta di soggiorno era stato richiesto

per motivi familiari ai sensi del D.Lgs. n. 30 del 2007,

che S. A. aveva fatto ingresso in Italia nel 2005 grazie ad

un visto polacco senza, poi, regolarizzare la propria posizione.

Da ciò discendeva l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 30 del 2007,

perchè riferito soltanto ai cittadini dell’Unione, mentre lo S. è

di nazionalità (OMISSIS), e l’insussistenza del requisito cui il D.Lgs. n. 286 del 1998

subordina il rilascio del permesso di soggiorno per motivi

familiari, ossia la qualità di familiare straniero

regolarmente soggiornante. Inoltre, la normativa invocata non era

applicabile perchè lo S. non era cittadino comunitario.

Contro tale decreto S.A. e

S.E. – premesso che la Questura di Roma, in via di

autotutela, successivamente alla pronuncia della CGCE del

25.7.2008 (proc. 459/99), aveva, in data 21.8.2009, annullato

il precedente provvedimento di irricevibilità impugnato, rilasciando

allo S. la richiesta carta di soggiorno – hanno proposto

ricorso per cassazione affidato a due motivi, con i quali –

evidenziando il proprio interesse alla rimozione della statuizione

sulle spese e alla dichiarazione di cessazione della materia del

contendere, con condanna del Ministero intimato alle spese del

procedimento – denunciano 1) violazione di legge, lamentando

l’erronea ritenuta inapplicabilità del D.Lgs. n. 30 del 2007

al familiare di cittadino comunitario non regolarmente soggiornante;

2) vizio di motivazione nella parte in cui il provvedimento

impugnato ha ritenuto inapplicabile il D.Lgs. n. 30 del 2007

perchè S.A. non è cittadino comunitario, senza

considerare che tale qualità andava riferita alla coniuge, che è

cittadina comunitaria.

Resiste con controricorso il Ministero

dell’Interno, il quale eccepisce l’inammissibilità del ricorso

alla luce dell’avvenuta cessazione della materia del contendere.

2.1.- L’eccezione di inammissibilità del

ricorso formulata dal Ministero resistente appare infondata alla

luce del principio espresso da Sez. 1, Sentenza n. 10553 del 07/05/2009,

secondo il quale la cessazione della materia del contendere –

che, se si verifichi in sede d’impugnazione, giustifica non

l’inammissibilità dell’appello o del ricorso per cassazione, bensì la

rimozione delle sentenze già emesse, perchè prive di attualità – si ha

per effetto della sopravvenuta carenza d’interesse della parte alla

definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del

giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di

contrasto tra le parti e da rendere incontestato l’effettivo

venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia di

merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti

anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni

originarie nel giudizio, perchè altrimenti non vi sarebbero neppure i

presupposti per procedere all’accertamento della soccombenza

virtuale ai fini della regolamentazione delle spese, che invece

costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia,

quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la

compensazione delle spese.

Sì che la controversia tuttora esistente tra le

parti circa l’onere di sopportare le spese processuali rende

ammissibile il ricorso.

2.2.- Il primo motivo di ricorso – il cui

accoglimento, sebbene al solo fine del regolamento delle spese,

comporta l’assorbimento della censura sulla motivazione – appare

fondato. Il quesito ex art. 366 bis c.p.c., così formulato: se l’art. 7 n. del D.L. n. 30 del 2007, letto anche alla luce della direttiva 2004/38/CE,

consente di negare al coniuge extracomunitario di cittadino

comunitario la richiesta carta di soggiorno sol perchè si sarebbe

introdotto clandestinamente nel territorio nazionale con conseguente

pretesa irregolarità del suo soggiorno, era stato già risolto

negativamente alla data del provvedimento impugnato dalla Corte di

Giustizia CE la quale, con la decisione del 25 luglio 2008 ha

affermato che la direttiva 2004/38 attribuisce a qualsiasi cittadino

di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione ai sensi

dell’art. 2, punto 2, della detta direttiva, il quale accompagna

o raggiunge il citato cittadino dell’Unione in uno Stato membro

diverso dallo Stato membro di cui egli ha la cittadinanza, diritti

di ingresso e soggiorno nello Stato membro ospitante, a prescindere

dal fatto che il detto cittadino di un paese terzo abbia già

soggiornato legalmente, o meno, in un altro Stato membro.

Più chiaramente, dopo avere ricordato che tutti

gli Stati membri sono firmatari della Convenzione europea per la

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,

sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950, la quale proclama, nel suo

art. 8, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, la Corte

di Giustizia CE ha concluso nel senso che la direttiva 2004/38 osta

alla normativa di uno Stato membro, la quale impone al cittadino di

un paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione che soggiorna

in questo Stato membro di cui non ha la cittadinanza, di

avere previamente soggiornato legalmente in un altro Stato membro

prima del suo arrivo nello Stato membro ospitante, per poter

beneficiare delle disposizioni della detta direttiva. Ciò, peraltro,

a prescindere dal luogo e dalla data del loro matrimonio nonchè

dalla modalità secondo la quale il detto cittadino di un paese

terzo ha fatto ingresso nello Stato membro ospitante.

Poichè la norma comunitaria … entra e permane in

vigore nel nostro territorio senza che i suoi effetti siano

intaccati dalla legge ordinaria dello Stato, e questo principio

vale anche per le statuizioni … risultanti dalle sentenze

interpretative della Corte di giustizia (Corte cost. n. 113/1985), la Corte di appello avrebbe dovuto accogliere il reclamo dei ricorrenti.

Pertanto, il ricorso può essere deciso in camera di consiglio.

p. 2.- Il Collegio condivide le conclusioni

della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e

che conducono alla declaratoria di cessazione della materia del

contendere e alla pronuncia sulle spese alla stregua della cd.

soccombenza virtuale.

Va ricordato, in proposito, che la pronuncia di

cessazione della materia del contendere costituisce, in seno al

rito contenzioso ordinario (privo, al riguardo, di qualsivoglia,

espressa previsione normativa, a differenza del rito

amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di

estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale,

contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di

procedere alla definizione del giudizio per il venir meno

dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio

stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria

di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale.

Alla emanazione di una sentenza di cessazione della materia del

contendere, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di

tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non

passati in cosa giudicata, dall’altro, la sua assoluta inidoneità ad

acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta

valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del

venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (con

l’ulteriore conseguenza che il giudicato può dirsi formato solo su

tale circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i

mezzi propri del grado in cui risulta emessa)” (Sez. U, Sentenza n. 1048 del 28/09/2000 (Rv. 541106).

Peraltro, la novità della questione e

dell’applicazione della pronuncia della Corte di Giustizia impongono

la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse e compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2011

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