Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 321 del 10/01/2018

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2018, (ud. 05/12/2017, dep.10/01/2018),  n. 321

Fatto

RILEVATO

– che con la sentenza in epigrafe la Commissione tributaria regionale del Veneto, previa riunione dei ricorsi in appello proposti dall’Agenzia delle entrate avverso le sentenze di primo grado che avevano accolto i ricorsi proposti dal notaio F.E. avverso gli avvisi di accertamento emessi in relazione agli anni di imposta 2008 e 2009, con cui l’amministrazione finanziaria aveva disconosciuto la deducibilità dal reddito professionale (e, quindi, ai fini IRAP) dei contributi previdenziali obbligatori versati alla Cassa nazionale del notariato, li rigettava ritenendo di adeguarsi all’orientamento giurisprudenziale di legittimità che ritiene il c.d. contributo repertoriale un costo strettamente inerente all’attività professionale e come tale deducibile ai fini delle predette imposte;

– che avverso tale statuizione la ricorrente Agenzia propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica l’intimato con controricorso;

– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

– che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RILEVATO

– che con il primo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 54 TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986), l’Agenzia ricorrente, pur consapevole dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità che riconosce la deducibilità dal reddito professionale dei contributi obbligatori versati dai notai alla Cassa nazionale del notariato, ne chiede una rivisitazione sulla base delle seguenti ragioni:

a) l’art. 54, comma 1, TUIR stabilisce che i compensi costituenti reddito derivante dall’esercizio dell’attività professionale, “sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde”, e quindi sarebbero deducibili dal reddito professionale qualora fosse il cliente a dover corrispondere quanto debba essere versato a quel titolo, ma non nel caso dei notai posto che la L. n. 220 del 1991, art. 12 pone a carico di quest’ultimo (e non del cliente) l’obbligo del versamento alla Cassa nazionale del notariato di una quota degli onorari percepiti; ne consegue che tali costi potevano essere dedotti dal reddito complessivo del professionista e non da quello professionale, con conseguente indebita riduzione dell’imponibile ai fini IRAP;

b) i contributi previdenziali ed assistenziali sono versati al fine di garantire al lavoratore una posizione pensionistica ed una assistenza personale al verificarsi di determinati eventi e, pertanto, attengono esclusivamente alla sfera personale del lavoratore per cui era inappropriato il richiamo al principio di inerenza;

– che il motivo è infondato in quanto le ragioni esposte dalla difesa erariale non consentono di mutare l’orientamento giurisprudenziale in materia;

– che, invero, questo Collegio condivide l’assunto secondo cui “i contributi versati dai notai alla cassa Nazionale del Notariato sugli onorari loro spettanti sono indubbiamente “inerenti”, e cioè connessi, all’attività professionale svolta”, non potendosi limitare “il concetto di “inerenza” alle sole spese necessarie per la produzione del reddito ed escluderlo per quelle che sono una conseguenza del reddito prodotto. Tale distinzione non si rinviene nella legge e non è neppure ricavabile dall’aggettivo “inerente” usato dal legislatore, in quanto esso, per la sua genericità, postula un rapporto di intima relazione tra due cose o idee che si può verificare sia quando l’una sia lo strumento per realizzare l’altra sia quanto ne sia l’immediata derivazione” (Cass. n. 2781, n. 3595, n. 3596 del 2001 e n. 1939 del 2009);

– che, seppur sia indubbio che il citato principio sia stato affermato con riferimento alla L. n. 597 del 1973, art. 50, comma 1, prima parte, che, dettato in materia di “redditi da lavoro professionale”, prevedeva che “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra i compensi percepiti nel periodo d’imposta e le spese inerenti all’esercizio dell’arte o professione effettivamente sostenute nel periodo stesso”, il vigente art. 54 TUIR (analogamente all’art. 50 TUIR ante riforma del 2004), disciplinante la medesima materia, prevedendo al comma 1, che “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde”, non esclude la deducibilità da tale tipo di reddito dei contributi repertoriali dei notai, permanendo invariata la loro inerenza all’esercizio professionale; in buona sostanza, se tali contributi non sono deducibili ai sensi della seconda parte del primo comma del citato art. 54 TUIR, in quanto posti dalla legge direttamente a carico del professionista per aver iscritto l’atto a repertorio e non del cliente (e quindi corrisposti soltanto dal notaio, indipendentemente dall’effettiva riscossione del corrispettivo della prestazione e dalla eventuale gratuità della stessa), lo sono però in base alla prima parte della disposizione in esame, ove si fa espresso riferimento alle “spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione”, ovvero alle spese che, come quelle in esame, sono inerenti all’attività svolta; e neppure è risolutivo il disposto di cui all’art. 10 TUIRposto che l’espressa previsione di deducibilità dal reddito complessivo dei “contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge”, previsto alla lettera e) del comma 1 della citata disposizione, è prevista solo in via residuale, ovvero in mancanza di “deducibilità nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo”;

– che, pertanto, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;

– che, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenota e a debito.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2018

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