Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 321 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 10/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 10/01/2011), n.321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato DE MARINIS NICOLA, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta, e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4016/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/03/2006 r.g.n. 5089/004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega DE MARINIS NICOLA;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per dichiarazione d’inammissibilita’.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 13601/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da M.A. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullita’ dei termini apposti ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti, con le pronunce consequenziali.

Il M. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La societa’ appellata si costituiva resistendo al gravame.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 30-3-2006, dichiarava la nullita’ del termine apposto al contratto relativo al periodo 12-7-1997 – 30-9-1997 e per l’effetto dichiarava che si era instaurato tra le parti un rapporto a tempo indeterminato dal 12/7/1997, ancora in atto, e condannava la societa’ al risarcimento del danno nella misura di tutte le mensilita’ di retribuzioni globali di fatto dal 25-2-2002, con rivalutazione ed interessi, nonche’ al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la societa’ ha proposto ricorso con quattro motivi.

Il M. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’ari. 1372 c.c., comma 1, con il secondo e terzo motivo denuncia, sotto diversi profili, violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg., e con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli 1217 e 1233 c.c..

Premesso che nella fattispecie va applicato l’art. 366 bis c.p.c., ratione temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. fra le altre Cass. 24-3-2010 n. 7119, Cass. 16-12-2009 n. 26364), osserva il Collegio che il ricorso risulta inammissibile per mancanza dei quesiti di diritto imposti dalla detta norma.

L’art. 366 bis c.p.c., infatti, “nel prescrivere le modalita’ di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilita’ del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimita’ a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalita’ espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), e’ richiesta una illustrazione che pur libera da rigidita’ formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare il quesito di diritto, in sostanza, deve integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico – giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7/4/2009 n. 8463) e “deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v.

Cass. 30-9-2008 n. 24339).

Pertanto, come e’ stato piu’ volte affermato da questa Corte e va qui nuovamente enunciato ex art. 384 c.p.c., “e’ inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte” (v. Cass. S.U. 26/3/2007 n. 7258, Cass. 7-11-2007 n. 23153), non potendo, peraltro, il quesito stesso desumersi dal contenuto del motivo, “poiche’ in un sistema processuale, che gia’ prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarita’ del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., consiste proprio nell’imposizione al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimita’” (v. Cass. 24-7-2008 n. 2040, cfr. Cass. S.U. 10/9/2009 n. 19444).

Orbene, nella fattispecie, la societa’ ricorrente, che pur ha ampiamente illustrato i singoli motivi di ricorso, tutti riguardanti asserite violazioni di norme di diritto, non ha formulato alcun quesito ai sensi dell’art. 366 bis. c.p.c..

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore del controricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al M. le spese, liquidate in Euro 29,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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