Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32096 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20240-2018 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BERNARDINO PASANISI;

– ricorrente –

contro

N.F., M.R., elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato CAMILLO NICOLA GIULIO LARATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 116/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso del 7 gennaio 2009, N.F. e M.R. esponevano di essere proprietari di un terreno sito in agro di Mottola (TA), aggiungendo di avere concluso un contratto con D.M. in virtù del quale quest’ultimo, sin dal 31 dicembre 2000, si occupava della coltivazione del terreno con l’obbligo di acquistarne l’intero prodotto, al prezzo di Euro 15.493,71. Sulla base di tali premesse adivano la Sezione specializzata Agraria, presso il Tribunale di Taranto, chiedendo il rilascio del fondo perchè detenuto a titolo di comodato precario;

il Tribunale, Sezione specializzata Agraria, con sentenza del 27 settembre 2007, dichiarava la propria incompetenza rilevando che le parti avevano concluso un contratto di comodato, con l’ulteriore onere dell’acquisto del prodotto ad un prezzo predeterminato;

con ricorso per decreto ingiuntivo del 7 gennaio 2009 i ricorrenti chiedevano che il comodatario fosse condannato al pagamento dell’importo come sopra determinato, quale prezzo di acquisto del prodotto relativamente all’anno 2005, facendo presente che dal 19 gennaio 2006 il terreno era stato rilasciato;

avverso tale decreto proponeva opposizione D’Onghia deducendo la nullità del contratto per difetto di causa in quanto, quale comodatario e detentore del bene, doveva ritenersi già proprietario del frutto. Eccepiva, poi, la nullità del contratto -ove qualificato agrario- per mancanza di forma scritta. Si costituiva l’opposta eccependo il giudicato relativo alla competenza del giudice ordinario e la sussistenza di un contratto di comodato. Con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, i comodanti proponevano domanda subordinata per il riconoscimento dell’indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c.;

il Tribunale di Taranto rigettava l’opposizione confermando il decreto ingiuntivo;

D.M. proponeva appello e gli appellati N.F. e M.R., chiedevano il rigetto e spiegavano appello incidentale per sentir dichiarare che l’appellante aveva detenuto il fondo in forza di un contratto di affitto che prevedeva un canone annuo di Euro 15.493,71. Nell’ipotesi di sussistenza dei presupposti dell’art. 2041 c.c., chiedevano la condanna dell’appellante al pagamento della somma dovuta a titolo di indennizzo;

la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 19 marzo 2018 rigettava l’appello principale e quello incidentale;

avverso tale statuizione propone ricorso per cassazione D.M. affidandosi a due motivi. Si costituiscono N.F. e M.R. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1418 e 1325 c.c. La Corte d’Appello avrebbe ritenuto valida la clausola apposta al contratto di comodato secondo la quale il comodatario era obbligato ad acquistare il frutto della gestione del fondo. Su tale questione il ricorrente aveva dedotto l’invalidità della clausola, in quanto l’oggetto dell’acquisto sarebbe il frutto di cui il comodatario era già proprietario in quanto detentore;

con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 1803 c.p.c., e art. 27 della legge agraria. Secondo la Corte d’Appello l’apposizione del predetto onere non modificherebbe la natura gratuita del contratto di comodato. Tale valutazione sarebbe errata perchè l’onere non può consistere in una prestazione a beneficio del comodante avente una funzione sostanzialmente corrispondente al pagamento del canone;

il primo motivo è dedotto come omesso esame di una eccezione e, quindi, si riferisce ad una fattispecie del tutto estranea al perimetro dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Parte ricorrente lamenta -sostanzialmente- che la Corte territoriale non si sarebbe pronunziata sull’eccezione di invalidità della clausola, in quanto l’oggetto dell’acquisto sarebbe il frutto naturale, prodotto dal medesimo acquirente il quale, essendone già proprietario, non avrebbe interesse a comprare quanto previsto in contratto. Nella parte dedicata allo “svolgimento del processo” (pagina 4 del ricorso) il ricorrente deduce che tale questione sarebbe stata oggetto di un motivo di appello teso a dimostrare l’assenza di una causa concreta nel contratto;

il primo motivo è destituito di fondamento per una pluralità di ragioni. In primo luogo perchè presuppone valutazioni in fatto sulla presunta sproporzione tra il prezzo dei frutti e la potenzialità del raccolto del vigneto e questi dati non sono menzionati. Inoltre, il vizio lamentato riguarda solo formalmente la violazione delle norme in materia di nullità del contratto, poichè la doglianza pare riferirsi all’omessa pronunzia su un motivo di appello e richiede presupposti e formalità differenti;

neppure è possibile superare tale rilievo con Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014 (Rv. 630239 – 01) secondo cui l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato. Ciò in quanto il motivo è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non avendo parte ricorrente trascritto il passaggio specifico del motivo di appello nel quale la questione sarebbe stata sottoposta alla Corte territoriale, al fine di rilevarne l’omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c. E’ insufficiente allegate l’intero atto di appello senza individuare il passaggio rilevante, nell’ambito di un motivo erroneamente dedotto;

ma anche intendendo la doglianza come omesso esame del motivo di appello, cioè come vizio ai sensi dell’art. 360, n. 4, e, quindi, quale violazione dell’art. 112 c.p.c., ed anche considerando (al fine di superare il rilievo dell’art. 366 c.p.c., n. 6) quanto parte ricorrente riferisce indirettamente – come evidenzia nella memoria – nell’esposizione del fatto, non si configura alcuna omessa pronuncia, atteso che, quanto si sarebbe esposto nel motivo di appello, è stato esaminato, nella sostanza, con la motivazione alle pagine 6-7;

il secondo motivo è inammissibile perchè pone una questione di qualificazione del contratto e tale profilo è sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss. (Cass. Sez. 1, n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340 01) di cui non vi è cenno in ricorso;

inoltre, con riferimento a tale motivo va rilevato che il ricorrente non allega (Ndr testo originale non comprensibile) tra l’importo pattuito e il valore potenziale del prodotto del vigneto in termini commerciali;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione possono essere compensate per la peculiarità della questione. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre; Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza in ragione del tenore della decisione dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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