Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32093 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15279-2018 proposto da:

C.V., C.M., C.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 55, presso

lo studio dell’avvocato FILIPPO MARIA CORBO’, rappresentati e difesi

dall’avvocato FAUSTINO MANFREDONIA;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SAN GIORGIO A CREMANO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati LUCIA CICATIELLO,

ADELE CARLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4926/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott.7 GABRIELE

POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 21 luglio 2005, A.G. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, il Comune di San Giorgio a Cremano per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’incidente verificatosi il 23 ottobre 2004 quando, mentre percorreva una via dell’abitato del predetto comune, “a causa di una sconnessione del manto stradale e del vicino tombino, non transennata e parzialmente coperta da materiale dello stesso colore del manto stradale, rovinava al suolo”. Si costituiva l’amministrazione comunale chiedendo il rigetto della domanda;

il Tribunale di Napoli, con sentenza del 13 febbraio 2012 accoglieva la domanda condannando il Comune di San Giorgio al pagamento della somma di Euro 209.473, oltre rivalutazione interessi e spese di lite;

con citazione delle 19 giugno 2012 il Comune proponeva appello deducendo l’insussistenza di una qualsiasi responsabilità, esclusiva o anche solo concorrente attesa la responsabilità dell’attrice. Quest’ultima si costituiva eccependo l’improponibilità, improcedibilità e infondatezza del gravame. Si costituivano in data 16 giugno 2017 C.V., C. e M., nella qualità di eredi della danneggiata;

con sentenza del 29 novembre 2017 la Corte d’Appello di Napoli in accoglimento del gravame rigettava la domanda proposta nei confronti del Comune di San Giorgio a Cremano condannando gli appellati al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione C.V., C. e M. affidandosi a un unico articolato motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il Comune di San Giorgio a Cremano.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 2051,2056,1127 e 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3;

dalle risultanze processuali emergerebbe che il Comune non aveva formulato alcuna richiesta istruttoria limitandosi a contestare la fondatezza della tesi di controparte, come riprodotto nel verbale di causa del 3 maggio 2007 in cui il Presidente istruttore aveva ammesso solo la prova richiesta da parte attrice. Dalle risultanze della prova testimoniale emergerebbero le modalità di verificazione dell’evento e le relative conseguenze, oltre alla sussistenza del nesso eziologico tra la cosa e il danno. Il giudice di merito avrebbe potuto rigettare la domanda solo in presenza della prova di un comportamento della danneggiata idoneo a interrompere il nesso causale, consistendo nella prova della prevedibilità ed evitabilità della buca nella quale cadde l’attrice. Al contrario, le risultanze processuali non consentirebbero di considerare imprevedibile il comportamento della danneggiata. Tale presupposto ricorre, secondo la giurisprudenza di legittimità, solo in presenza di circostanze eccezionali, estranee alla serie causale. Tali elementi fattuali non sarebbero emersi, per cui la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere colposo ed imprevedibile il comportamento della danneggiata. Pertanto, il giudice di appello sarebbe incorso in errore facendo gravare l’onere della prova del caso fortuito, sostanzialmente, sul danneggiato e non sull’amministrazione. L’assenza di elementi straordinari non potrebbe essere diversamente valutata alla luce della documentazione Eurometeo che l’appellante avrebbe prodotto tardivamente e solo in appello. In ogni caso, il quadro probatorio avrebbe consentito di riconoscere un concorso di responsabilità dell’amministrazione comunale nella verificazione dell’evento. Questo in quanto l’ipotesi del caso fortuito non avrebbe potuto essere presa in esame dai giudici di merito attesa la mancata allegazione della stessa. Per il resto, le risultanze processuali, opportunamente e diversamente valutate, militerebbero a favore della tesi dei ricorrenti;

il motivo è inammissibile. La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è dedotta al di fuori dei casi (decisione di merito adottata sulla base di prove non dedotte dalle parti) in cui è consentito un sindacato di legittimità (Cass. S.0 n. 16598/16, in motivazione);

nel caso di specie, si denuncia “violazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”. Il motivo non contiene alcuna denuncia del paradigma dell’art. 115 c.p.c., bensì lamenta soltanto la erronea valutazione di risultanze probatorie. Per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016);

la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni;

la censura ai sensi dell’art. 2697 c.c., non è pertinente, perchè l’onere del danneggiato di dimostrare l’evento dannoso e il nesso causale, cioè la dinamica, comporta che il giudice dovrà valutare gli elementi probatori comunque acquisiti, anche sulla base delle prove offerte dall’attrice. A ciò occorre aggiungere che quest’ultima ha, comunque, precisato che il Comune aveva contestato la domanda, individuando quale unico responsabile dell’episodio l’Acanfora (fatto del danneggiato, che integra il caso fortuito);

per il resto, le censure tendono ad investire la Corte di legittimità dell’attività di interpretazione delle risultanze istruttorie, per pervenire ad una ricostruzione fattuale alternativa e più favorevole alla parte;

la ricostruzione della dinamica riguardo alla mancanza di cautela e di attenzione della danneggiata, costituisce un apprezzamento in fatto, non sindacabile in questa sede;

le censure sulla rituale acquisizione del documento Eurometeo sono dedotte in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, avendo parte ricorrente omesso di documentare il momento processuale nel quale l’atto sarebbe stato introdotto nel giudizio e la decisività dello stesso;

sono del tutto generiche le contestazioni tese all’applicazione dell’art. 1227 c.c., quantomeno per il riconoscimento di una responsabilità concorrente, poichè sono prospettate come auspicio di una differente valutazione da parte del giudice del merito al fine di considerare quanto meno un profilo di responsabilità concorrente. Le considerazioni oggetto della memoria non modificano le valutazioni espresse;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza in ragione del tenore della decisione, dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati i Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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