Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32090 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 12/12/2018), n.32090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13178-2012 proposto da:

P.B., elettivamente domiciliato in ROMA VIA VALERIO

PUBLICOLA 67, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA CAVALIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GENNARO CONTARDI giusta delega

in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 191/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 12 aprile 2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13

novembre 2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione dei motivi 1^ e 2^, assorbito il 3^;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAVALIERI per delega dell’Avvocato

CONTARDI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che si riporta

agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.B. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 191/40/11, depositata il 12 aprile 2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sez. Distaccata di Latina.

Ha riferito che avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) notificato il 12 ottobre 2007 dalla Agenzia delle Entrate relativamente all’anno d’imposta 2002, con il quale a seguito di determinazione presuntiva dei redditi a mezzo dello studio di settore (OMISSIS) era accertata una maggiore base imponibile ai fini Irpef, Irap e Iva, oltre sanzioni e interessi, adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone. Lamentava che l’Ufficio non aveva dimostrato la grave incongruenza tra reddito dichiarato e quello accertato secondo gli studi di settore, e di contro evidenziava le circostanze che giustificavano lo scostamento.

Il giudizio di primo grado si concludeva con il rigetto del ricorso. Il contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Regionale, che con la sentenza oggetto del presente ricorso rigettava l’appello.

Il P. articola tre motivi di censura:

con il primo per insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere stati erroneamente determinati i ricavi senza tener conto delle circostanze allegate dal contribuente a giustificazione dello scostamento tra il dichiarato e l’accertato secondo gli studi di settore;

con il secondo per omessa motivazione, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver pronunziato sulle censure sollevate in sede d’appello;

con il terzo per illegittimità della sentenza per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e per inadeguata valutazione delle prove e delle motivazioni addotte dalle parti, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., nonchè per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non aver valutato correttamente le prove allegate in merito al licenziamento di due dipendenti.

Per quanto comprensibile ha pertanto chiesto la declaratoria di “nullità” della pronuncia per vizio motivazionale, o per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato o ancora per violazione degli artt. 132 e 116 c.p.c.

Si è costituita con tempestivo controricorso l’Agenzia, che ha contestato l’infondatezza dei motivi e per il secondo e terzo anche la loro inammissibilità, chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 13 novembre 2018, dopo la discussione, il P.G. e le parti presenti hanno concluso e la causa è stata riservata per la decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo, con il quale censura l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, è infondato. Il contribuente sostiene che la sentenza, pur aderendo ai principi ripetutamente ribaditi dalla Corte di legittimità in ordine alla funzione e al ruolo degli studi di settore, in concreto li disattende, non cogliendo la carenza probatoria e l’insufficienza della motivazione dell’atto impositivo. Riassumendo la difesa, ha rappresentato di aver allegato le circostanze che spiegavano il perchè il reddito dichiarato si discostasse dai risultati dello studio di settore, evidenziando in particolare il limitato bacino d’utenza della propria impresa di autotrasporti, il difficoltoso svolgimento di trasporti in subappalto ed a tariffe più basse rispetto a quelle di mercato, l’obsolescenza degli automezzi utilizzati, con maggiori costi di manutenzione, l’aumento dei costi per pedaggi autostradali e per l’approvvigionamento di carburante, la crisi economica, simboleggiata dal licenziamento di due dipendenti.

Questa Corte ha affermato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis e ss., convertito in L. n. 427 del 1993, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento; in tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le allegazioni del contribuente. L’esito del contraddittorio tuttavia non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente (Cass., Sez. U, sent. n. 26635 del 2009; più di recente, 13908/2018; 9484/2017; 21754/2017; 14091/2017). A maggior chiarimento delle conseguenze derivanti dalla ripartizione dell’onere probatorio, si è anche affermato che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente abbia omesso di parteciparvi, oppure, anche partecipando, non abbia allegato alcunchè per spiegare lo scostamento, l’Ufficio non è più tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (cfr. sent. 21754/2017 cit.). In questo caso infatti la rilevazione dello scostamento, a fronte dell’assenza di elementi con cui il contribuente ne spieghi la sussistenza, assume la dignità di indizio grave e preciso, idoneo, pur se unico, a supportare la dimostrazione del fatto ancora sconosciuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c..

Ebbene la sentenza, dopo aver riconosciuto agli studi di settore il valore di presunzione semplice che va corroborata da ulteriori elementi indiziari, afferma che “…venendo alla fattispecie, il contribuente, nè in sede di contraddittorio con l’ufficio nè in sede di giudizio ha giustificato con idonea documentazione i motivi dell’ampio scostamento dal reddito attribuibile sulla base delle risultanze dello studio del settore di appartenenza. Anche perchè, quanto alla circostanza secondo cui le condizioni critiche dell’impresa, dovute all’aumento di tutti i costi accessori, quali quelli del carburanti e dei prezzi delle autostrade, hanno causato il licenziamento degli unici due dipendenti, v’è da rilevare l’anomalia che, come rilevato dall’ufficio e anche sottolineato dai primi giudici, detti lavoratori non sono gli stessi che hanno percepito redditi di lavoro dipendente dalla medesima impresa, e che addirittura tali dipendenti hanno lavorato nell’anno 2002 per due diverse società (come risulta dagli esiti dell’Anagrafe tributaria).

E quindi la commissione, posto che per le anzidette considerazioni non si ravvisano motivi per riformare la decisione impugnata, deve rigettare l’appello.”.

La motivazione, ancorchè stringata, rivela una consapevole valutazione degli elementi essenziali utilizzati dalle rispettive parti a sostegno delle opposte posizioni, risultando indenne da carenze motivazionali, per contraddittorietà o insufficienza.

In essa si coglie innanzitutto la valutazione ponderata dei costi illustrati dal contribuente, in particolare quelli finalizzati alla produzione del reddito, quali il carburante e i pedaggi autostradali. Il giudice regionale a fronte dell'”ampio scostamento dal reddito sulla base delle risultanze degli studi di settore” (dalla sentenza si evince un dichiarato di Euro 15.740,00; un accertato di Euro 72.764,00) ha ritenuto che evidentemente questi costi non giustificassero le ragioni del ricorrente. Nè ai fini della sufficienza della motivazione era d’obbligo esaminare partitamente ogni costo o ogni questione addotta dal P., che peraltro riassume alcune vicende dell’impresa, ma non riproduce le parti del ricorso d’appello in cui sono state enunciate le medesime questioni.

Neppure apprezzabile è la presunta contraddittorietà della motivazione in ordine al licenziamento dei due dipendenti, che la sentenza ha messo in dubbio perchè risultanti dipendenti di altre aziende, mentre il ricorrente assume che essi avevano lavorato effettivamente presso di sè sino a tutto il 2001 ed erano stati licenziati nella prima parte del 2002. La stessa difesa non lascia comprendere infatti come e quando siano stati in concreto licenziati.

Ciò senza considerare che il senso complessivo della motivazione del giudice regionale sulla questione del licenziamento non poneva in rapporto di prova logica il fatto (il licenziamento) con il minor reddito, assumendo invece valore di giudizio critico su quel fatto (il licenziamento) quale evento-conseguenza dell’aumento dei costi e delle difficoltà economiche che l’impresa si era trovata a fronteggiare nel 2002.

La sentenza infatti si fonda sulla valutazione di insufficienza del rapporto “costi lamentati/reddito ampiamente inferiore a quello risultate dagli studi di settore”. Mettere in dubbio il licenziamento assurgeva al più a riscontro della mancanza di veridicità delle circostanze giustificative dello scostamento, ma ciò costituisce un procedimento logico che si colloca in posizione anteriore e preliminare al giudizio di idoneità delle circostanze allegate (i costi, non il licenziamento) a dimostrare che il reddito fosse effettivamente inferiore a quello desumibile dagli studi di settore.

In conclusione il motivo va rigettato.

Va dichiarato inammissibile il secondo motivo. Con esso il contribuente lamenta l’omessa motivazione, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver pronunziato sulle censure sollevate in sede d’appello. Il motivo è inammissibile perchè generico e, in violazione del principio di autosufficienza, non ha riportato i passi del ricorso d’appello nei quali indicava le specifiche censure mosse alla sentenza di primo grado. Peraltro la motivazione non è assente, sicchè non poteva formularsi censura per error in procedendo. Se poi con il motivo, al di là del formale riferimento al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il contribuente abbia voluto dolersi di un vizio motivazionale quale omessa motivazione, esso è inammissibile per difetto di autosufficienza, senza considerare che si è già riconosciuto che la motivazione è esauriente, non essendovi obbligo di rispondere dettagliatamente a tutte le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, dovendo solo fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.

E’ infine infondato, quando non inammissibile, il terzo motivo, con il quale, sempre in riferimento alla questione relativa al licenziamento dei due dipendenti, si lamenta l’omessa motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., nonchè la violazione dell’art. 116 c.p.c. in ordine alla valutazione delle prove, e inoltre ci si duole del vizio motivazionale sotto il triplice aspetto della omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione. Il motivo, che sovrappone errores in procedendo con vizi motivazionali, senza che sia agevole identificare cosa si lamenti sotto un profilo e cosa sotto l’altro, quand’anche ammissibile sotto questo aspetto, insiste sulla scorretta valutazione delle prove sul licenziamento dei due dipendenti e sul mancato esame della documentazione prodotta. Sennonchè quanto al primo aspetto si è già avvertito come il ricorso non coglie nel segno, mentre con riguardo a prove non esaminate, esso è del tutto generico, non riproducendo e neppure accennando a quale documentazione si riferisca.

In conclusione il ricorso va rigettato.

All’esito del giudizio deve seguire la soccombenza del P. nelle spese di causa, nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il P. a rifondere alla Agenzia le spese di causa, che si liquidano in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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