Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3209 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3209 Anno 2014
Presidente:
Relatore:

SENTENZA

sul ricorso 22170-2010 proposto da:
BONETTI S.p.a. P.Iva 00720320159, in persona del
Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore Sig. LAURA BONETTI, EXPLORA
S.r.l. (Societa’ costituita per scissione di BONETTI
S.p.a.) P.Iva 05961170965, in persona del Presidente
2013
2597

del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore Sig. LAURA BONETTI,
elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA GIOVINE
ITALIA 7, presso lo studio dell’avvocato CARNEVALI
RICCARDO, che le rappresenta e difende unitamente

Data pubblicazione: 12/02/2014

all’avvocato IUDICA GIOVANNI;
– ricorrenti contro

SMITH ALLEN GEORGE SMTLNG40P29Z114P, SMITH IAN ALFIO
SMTNLF70TURZ114K, 7AVARISE ALESSIO ZVRLSM72E19F205E,

mnacu EDWARD SMTMCD70D29Z114K, ZAVARISE GIOVANNA

ZVRGNN33M51F205R, SMITH SANDRA LORENA
SMTSDR68R61Z114W, elettivamente domiciliati in ROMA,
V.DEL TEATRO VALLE 51, presso lo studio dell’avvocato
FRATTO ANDREA, rappresentati e difesi dall’avvocato
CANNIZZARO SEBASTIANO;
– controricorrente nonchè contro

ZAVARISE DILVA (DECEDUTA);
– intimata –

sul ricorso 569-2012 proposto da:
BONETTI S.p.a. P.Iva 00720320159, in persona del
Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore Sig. LAURA BONETTI, EXPLORA
S.r.l. (Societa’ costituita per scissione di BONETTI
S.p.a.) P.Iva 05961170965, in persona del Presidente
del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore Sig. LAURA BONETTI,
elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA GIOVINE
ITALIA 7, presso lo studio dell’avvocato CARNEVALI
RICCARDO, che le rappresenta e difende unitamente

2MITM

all’avvocato IUDICA GIOVANNI;
– ricorrenti contro

SMITH ALLEN GEORGE SMTLNG40P29Z114P, SMITH SANDRA
LORENA SMTSDR68R61Z114W, ZAVARISE GIOVANNA

ZAVARISE ALESSIO ZVRLSM72E19F205E, SMITH MARCO EDWARD
SMTMCD70D29Z114K, elettivamente domiciliati in ROMA,
P.ZA S. GIOVANNI IN LATERANO 18-B, presso lo studio
dell’avvocato CALBI ENNIO, rappresentati e difesi
dall’avvocato CANNIZZARO SEBASTIANO;
– controricorrenti IP

nonchè contro

ZAVARISE DILVA (DECEDUTA);
– intimata –

avverso la sentenza n. 2914/2009 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 17/11/2009 e la sentenza n.
3015/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata
il 09/11/2010;
la Corte dispone, preliminarmente, la riunione dei
ricorsi R.G.n. 22170/2010 con il ricorso R.G.n.
569/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito l’Avvocato RICCARDO CARNEVALI difensore dei
g.

ZVRGNN33M51F205R, SMITH IAN ALFIO SMTNLF70D28Z114K,

ricorrenti che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso

per il rigetto dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Bonetti s.p.a., dovendo eseguire dei lavori di ristrutturazione su di un
complesso immzhiliare di sua proprietà, ubicato in Milano, otteneva dal
Tribunale dello stesso capoluogo un provvedimento cautelare d’urgenza che

di proprietà di Dilva, Giovanni ed Alessio Zavarise. Essendovi controversia
fra le parti circa l’esistenza di una servitù di passaggio carrabile gravante su
detto cortile a vantaggio dell’immobile di proprietà Bonetti, seguiva
l’instaurazione, sempre innanzi al Tribunale di Milano, di una prima causa di
cognizione (R.G. n. 594/94) avente ad oggetto l’accertamento positivo di detta
servitù, nella quale i convenuti Zavarise proponevano tardivamente le loro
domande riconvenzionali, dirette ad ottenere sia la demolizione di varie opere
in quanto eseguire dalla soc. attrice in violazione di norme urbanistiche e sulle
distanze legali, sia la declaratoria di estinzione della servitù per non uso
ventennale.
Per ovviare alla tardiva proposizione di tali domande, gli Zavarise
instauravano un secondo giudizio (R.G. n. 4025/97), nel quale, riproponevano
le domande tardivamente avanzate nella prima causa, inclusa quella di
estinzione della servitù.
Le due cause non erano riunite, e la loro rispettiva decisione seguiva una
cronologia inversa.
La prima, infatti, era definita con r.,entenza n. 1817/05, che confermava il
provvedimento cautelare, accertava la servitù di passaggio e il diritto della
soc. Bonetti a ripristinare le preesistenti aperture dei locali autorimessa che si
affacciavano sul cortile avente accesso dal n.c. 15 di via Alunno. La seconda
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le consentiva di utilizzare per un periodo di quattro mesi il confinante cortile

era decisa con sentenza n. 9368/04, che dichiarava l’estinzione della servitù
per prescrizione e condannava la soc. Bonetti al ripristino dello stato dei
luoghi.
Impugnate separatamente innanzi alla Corte d’appello di Milano, le due

3554/05 — non solo continuavano a non essere riunite, supponendovi
d’ostacolo la diversità del rito, ma erano altresì sospese ai sensi dell’art. 295
c.p.c. l’una fino alla definizione dell’altra, entrambe avendo ad oggetto
domande introdotte dagli Zavarise.
Proposta istanza ex art. 42 c.p.c. contro l’ordinanza emessa nella causa n.
3554/05, questa Corte, con ordinanza n. 818/10, cassava il provvedimento e
disponeva la prosecuzione del giudizio d’appello.
Riattivati ed ancora tenuti separati entrambi i giudizi d’appello, quello n.
4205/04, relativo alla seconda causa, era definito con sentenza n. 2914/09, che
rigettava l’impugnazione proposta da112 Bonetti s.p.a. avverso la sentenza del
Tribunale di Milano n. 9368/04, id est quella con la quale era stata dichiarata
l’estinzione per prescrizione della servitù; quello R.G. n. 3554/05, avente ad
oggetto la prima causa, era definito con sentenza n. 3015/10, che in parziale
riforma della pronuncia di primo grado rigettava la domanda di accertamento
positivo della servitù stessa.
In ordine alla sentenza d’appello n. 2914/09, la Corte territoriale
premetteva che, a seguito della decisione della Corte regolatrice, doveva
pronunciarsi sulla servitù di passaggio, sulle relative istanze istruttorie e
sull’apertura degli accessi sul fondo asseritamente servente degli appellati.

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cause — la seconda rubricata sub R.G. n. 4205/04, la prima sub R.G. n.

Quindi, rigettate sotto vari profili le istanze istruttorie, la Corte milanese
osservava nel merito che l’atto di vendita notaio Andreottola del 7.3.1968, da
cui la società appellante, nella sua qualità di successore della parte avente
causa dall’acquirente originario, ripeteva il proprio diritto a ripristinare il

diritto dell’originario acquirente di ripristinare l’originaria destinazione del
fabbricato senza che, però, fossero trasformati gli accessi in allora esistenti sul
cortile del venditore. Quindi, interpretava tale clausola, inserita nel contratto
in luogo di un’altra, di contenuto opposto, che era stata poi interlineata
nell’atto pubblico, nel senso che doveva ritenersi palese la volontà comune
delle parti di lasciare immutata nel tempo la conformazione delle aperture sul
cortile di proprietà Zavarise nello stato in cui queste si trovavano al momento
della vendita.
Con la sentenza n. 3015/10 la Corte territoriale osservava che la domanda
riconvenzionale di accertamento dell’estinzione della servitù per non uso,
sebbene proposta tardivamente (con la comparsa di costituzione del nuovo
difensore della parte convenuta), includeva in sé la corrispondente eccezione,
la quale era a sua volta ammissibile in base al disposto dell’art. 184 c.p.c. nel
testo previgente rispetto alla legge n. 353/90, applicabile al giudizio in quanto
instaurato prima del 30.4.1995. Quindi, rilevava nel merito che dalle
testimonianze dei testi escussi, inclusi alcuni tra quelli indotti dalla stessa
società Bonetti, era emerso che il mancato esercizio della servitù sul cortile
era stato constatato nell’arco di oltre vent’anni. Inoltre rilevava che la
chiarissima formulazione dell’atto di vendita del 1968 imponeva di ritenere
che le parti avessero inteso consentire all’acquirente e ai suoi aventi causa di
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passaggio sul fondo degli appellati, conteneva una clausola che prevedeva il

ripristinare la destinazione dell’autorimessa dell’intero fabbricato, contenente
i sette box che erano stati trasformati in un unico laboratorio-magazzino, ma
che in ogni caso ciò sarebbe dovuto avvenire tramite un’unica apertura carraia
esistente sul cortile, essendo stati trasformati in finestroni gli altri accessi.

parte generiche e in altra parte dirette a far confermare a persone che non
avevano una stabile relazione con i luoghi oggetto della causa l’accadimento
di fatti di vita quotidiana sui quali, però, non poteva essersi focalizzata
l’attenzione dei soggetti indicati a testi, massimamente a distanza di
venticinque anni da episodi (che avrebbero dovuto costituire oggetto di prova)
di nessuna importanza per il dichiarante.
Contro ciascuna di tali sentenze è stato proposto ricorso per cassazione
dalla Bonetti s.p.a. e dalla Explora s.r.l. società costituita per scissione della
Bonetti s.p.a. e alla quale è stato conferito il fondo asseritamente dominante.
Il ricorso contro la sentenza n. 2914/09 è stato rubricato sub R.G. n. 22170/10,
e riguarda la seconda causa, quello contro la sentenza n. 3015/10 sub R.G. n.
569/12 ed è relativo alla prima causa.
Hanno in entrambi i casi resistito con controricorso Giovanna e Alessio
Zavarise nonché Ian Alfio, Sandra Lorena, Allen George e Marco Edward
Smith, quali eredi di Dilva Zavarise.
Le società ricòrrenti hanno depositato memoria.
All’udienza dell’11.12.2013 i due ricorsi sono stati riuniti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Giova premettere che la disposta riunione dei ricorsi trova conforto

nell’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’istituto
8

Osservava, infine, che le deduzioni istruttorie della soc. appellata erano in

della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274
c.p.c., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio,
oltre alla certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimità,
anche in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in

18125/05 e 21349/04).
Poiché il primo ricorso riguarda la sentenza d’appello emessa nella
seconda causa, e viceversa, si esporranno per primi i motivi del secondo
ricorso.
1 bis.

Col primo e col secondo motivo del ricorso n. 569/12 è dedotta la

violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., nonché la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 166, 167, 342, 345 e 346 c.p.c.
(nella formulazione ante lege n. 353/90), in relazione ai nn. 3 e 4 dell’art. 360
c.p.c., lamentando parte attrice l’omessa pronuncia sul motivo d’appello
relativo alle eccezioni d’inammissibilità, improponibilità e improcedibilità
delle domande proposte dagli Zavarise.
2. – Terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo espongono la violazione
dell’art. 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia “sul motivo d’appello relativo alla
richiesta di rigetto dell’appello alla luce dell’ordinanza n. 810/2010 resa dalla
Suprema Corte in sede di regolamento di competenza”; nonché la violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 295, 166, 167, 42 e 49 c.p.c. e dell’art. 2909
c.c., in relazione ai nn. 2, 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c.; la violazione degli artt. 115
e 166 c.p.c., “anche in relazione all’art. 360, 1° comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.”; la
“violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 4 c.p.c.” e l’omessa, insufficiente o

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separati giudizi (cfr. Cass. nn. 22631/11, 14607/07, 7966/06 28227/05,

contraddittoria motivazione, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.; e la
violazione delle preclusioni processuali.
Sostiene parte ricorrente che la Corte d’appello non avrebbe pronunciato
sulla “domanda” di rigetto dell’appello conseguente all’ordinanza della S.C.

dell’accertamento demandato al giudice della seconda delle due cause (quella
instaurata dagli Zavarise), rispetto all’accertamento della prima causa,
avrebbe statuito in via definitiva che la prima questione non era stata
ritualmente dedotta nel preteso processo dipendente. Ne conseguirebbe che
tale questione non poteva essere esaminata per nessun effetto dal giudice della
prima causa, e che la decisione sul punto resa dalla Corte di Cassazione, che
secondo la parte ricorrente avrebbe escluso qualsiasi rituale e tempestiva
deduzione nel fatto estintivo della servitù, coprirebbe il dedotto e il
deducibile.
Pertanto la Corte territoriale, dando ingresso all’eccezione di estinzione
della servitù ha accreditato una violazione delle preclusioni processuali e
vanificato la decisione della Corte regolatrice, che nel concludere che nel
presente giudizio non possa tenersi conto della domanda riconvenzionale “ad
alcun effetto” e dunque neppure agli effetti di un’ipotetica eccezione
riconvenzionale di estinzione della servitù.
3. – L’ottavo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli
artt. 112, 115, 116, 669 bis, 669 octies e 669 novies c.p.c., lamentando il fatto

che il non uso ventennale della servitù sia stato accertato esclusivamente sulla
base di prove formate in un giudizio diverso da quello di merito conseguente
alla tutela cautelare.
10

n. 818/10, che nell’escludere in concreto la natura pregiudiziale

Sostiene parte ricorrente che gli esiti istruttori della seconda causa non
avrebbero potuto avere rilievo nella prima, perché questa è l’unica ed
esclusiva sede per trattare il giudizio di merito conseguente all’accoglimento
della domanda cautelare. E su tale questione, dedotta nell’istanza di

rimasta assorbita nel provvedimento della Corte Suprema, i giudici d’appello
hanno omesso di pronunciarsi.
4. – Col nono motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt.
112, 115 e 116 c.p.c., 1073, 1075, 2697, 2729, 2730 e 2733 c.c., nonché
l’omessa o insufficiente motivazione circa il non uso ventennale della servitù,
il tutto in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Parte ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha del tutto ignorato gli
apprezzamenti e le difese dedotte dalla difesa dell’appellata società Bonetti
(che sono integralmente trascritte nel motivo di ricorso), volte a dimostrare
che la servitù in questione era stata esercitata fino a tutto il 1994, e che gli
stessi appellanti ne avevano pacificamente dato atto. Inoltre la Corte ha
omesso di considerare le dichiarazioni confessorie rese dai convenuti nella
comparsa di costituzione del 1994, nella quale si dava atto non solo
dell’esistenza, ma anche dell’esercizio della servitù.
In particolare, il mezzo lamenta che la Corte d’appello abbia ignorato del
tutto le critiche all’attendibilità delle deposizioni che avevano indicato l’uso,
da parte del dante causa mediato della soc. Bonetti, di altro accesso (quello di
cui al n.c. 13 di via Alunno) al fondo dominante; il valore confessorio delle
dichiarazioni della controparte nella comparsa di risposta 13.4.1994, secondo
cui la servitù in questione, pacificamente esistente fino al 1994, era stata
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regolamento contro il provvedimento di sospensione ex art. 295 c.p.c., ma

esercitata in maniera conforme ai rapporti di buon vicinato; le dichiarazioni
scritte di terzi (attestanti l’uso continuativo anche dell’accesso di cui al n.c. 15
della predetta via); il carattere fuorviante e parziale dei capitoli di prova
formulati dalla controparte e indebitamente ammessi; l’assenza di una prova

integrerebbe una “macroscopica” omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in
relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c. delle difese svolte in appello, una violazione,
quanto alle dichiarazioni testimoniali scritte prodotte in causa, degli artt. 115 e
116 c.p.c., provocando “un esito decisorio contrastante con gli artt. 1073 e
1075 c.c., poiché legittima l’estinzione del diritto reale a fronte di elementi
che imponevano di ritenere comunque acquisita la prova del suo esercizio
infraventennale, zncorché in ipotesi modesto e di contenuto meno incisivo di
quello consentito dal titolo”. Lamenta che l’apprezzamento dei verbali di
prova sarebbe viziato ed illogico in quanto “pretende di desumere il non uso
ventennale dalla sola circostanza che di norma clienti, fornitori e maestranze
usassero l’altro accesso e dalla circostanza che il portone di cui al civico n. 15
di Via Alunno fosse quindi normalmente chiuso”. Deduce che sotto tale
profilo la sentenza viola anche gli artt. 1073 e 1075 c.c., “che ai fini
dell’estinzione richiedono la prova del non uso e non certo la prova del
‘normale non uso’ o della ‘normale’ chiusura dell’accesso”; e che, inoltre,
essa “contrasta con l’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c., posto che
fonda una presunzione su fatti non concludenti nel senso dell’estinzione della
servitù”.
Il motivo si conclude affermando che “il giudizio della Corte, in ultima
analisi, riposa su una sostanziale violazione della regola secondo cui l’onere
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rigorosa sulla dedotta estinzione della servitù. Sostiene, quindi, che tutto ciò

probatorio della piena prova del mancato esercizio per oltre un ventennio
incombe a carico di colui il quale intenda valersi dell’eccezione di
prescrizione (…). Erroneamente la Corte ha reputato fondata l’eccezione a
fronte di elementi che, tutt’al più in sé considerati avrebbero potuto costituire

Corte ha omesso di considerare, avrebbero perso qualsiasi valenza
probatoria”.
5. – Col decimo motivo si deduce, in relazione ai nn. 4 e 5 dell’art. 360
c.p.c., l’illegittima non ammissione delle prove (il cui capitolato è
debitamente trascritto nel ricorso) per testi e per interrogatorio formale
richieste dalla soc. Bonetti, prova quest’ultima, neppure considerata dalla
Corte territoriale.
6. – L’undicesimo mezzo denuncia la violazione degli artt. 112, 166, 167,
342, 345 e 346 c.p.c., 1367 e 2967 (recte, 2697) c.c., nonché il vizio di
motivazione, in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Nel giudizio d’appello la soc. Bonetti aveva sostenuto che gli appellanti
non avevano dedotto alcuna specifica censura sulla statuizione della sentenza
impugnata relativa al diritto della stessa società al ripristino dei box e dei
relativi accessi. Deduce parte ricorrente che il Tribunale aveva motivato
l’accoglimento della domanda della soc. Bonetti sul rilievo che tale diritto era
espressione del potere e delle facoltà spettanti al titolare del diritto reale, e che
gli appellanti non avevano dedotto alcuna specifica censura al riguardo, sicché
sul relativo capo di sentenza si sarebbe formato il giudicato interno, non
rilevato dalla Corte territoriale che ha deciso nel merito la questione.

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un semplice ind;Lio, e che, nel quadro degli elementi offerti da Bonetti che la

Oltre a ciò, il motivo censura l’interpretazione della clausola del contratto
di vendita del 1968, clausola con la quale le parti avevano sancito in maniera
espressa il diritto della proprietaria del fabbricato di ripristinare i box. Ciò che
il contratto intendeva non consentire all’acquirente, con l’inciso “… senza

l’apertura di ulteriori accessi mai esistiti, ovvero lo spostamento di quelli già
esistenti e trasformati in finestroni.
Infine, il mezzo censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha
ritenuto contraddittoria la negazione della natura reale della citata rlausola del
contratto ZavariseNalenti col diritto di ripristinare l’originaria destinazione
ad autorimessa dell’immobile alienato.
7. – Col dodicesimo mezzo si sostiene che l’illegittimità della decisione
sulla domanda principale rende illegittima in via sequenziale anche la
decisione sulle domande accessorie, da accogliere, invece, per effetto
dell’accoglimento dei motivi precedenti.
8. – Col primo motivo del ricorso n. 22170/10 è dedotta la violazione
dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., lamentando parte
attrice l’omessa pronuncia sul motivo d’appello relativo alle eccezioni
d’inammissibilità, improponibilità e improcedibilità delle domande proposte
dagli Zavarise.
9. – Il secondo motivo, subordinato al mancato accoglimento del primo e
all’ipotesi in cui si ritenesse implicita una decisione della Corte territoriale nel
mero richiamo all’ordinanza emessa da questa Corte Suprema sull’istanza di
regolamento contro l’ordinanza di sospensione del giudizio d’appello, espone
il vizio di omessa motivazione, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. La
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però che si trasformi l’attuale apertura degli accessi verso il cortile”, era

sentenza impugnata, sostiene parte ricorrente, non chiarisce in alcun modo la
ragione per cui dopo la decisione della Corte di cassazione sarebbe stato
necessario decidere la causa nel merito.
10. – Il terzo motivo denuncia, ancora in subordine, la violazione o falsa
applicazione degli artt. 295, 669 octies e 669 novies c.p.c., in relazione al n. 4

dell’art. 360 c.p.c.
La complessiva vicenda processuale fra le parti è stata preceduta da un
procedimento cautelare ante causam, conclusosi con un provvedimento
d’urgenza favorevole alla soc. Bonetti. Rispetto a tale misura deve
considerarsi causa di merito quella R.G. n. 3554/05 Corte d’appello di
Milano, nel senso che solo il giudice di questa causa (avente ad oggetto
l’appello contro la sentenza che ebbe a definire il primo dei due giudizi sorti
fra le parti) poteva decidere della sorte del provvedimento d’urgenza, che a
sua volta costituisce la sola ed unica legge del rapporto giuridico sostanziale
fra le parti. Pertanto, la sentenza impugnata ha sottratto alla sua sede naturale
ed esclusiva la cognizione di merito delle questioni sottese alla misura
cautelare concessa, violando in tal modo gli artt. 669 octies e 669 novies

c.p.c.
11. – Il quarto mezzo espone la violazione e/o falsa applicazione degli artt.
42, 166, 167 e 295 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c. Sempre in via
subordinata, parte ricorrente deduce che la Corte d’appello, quale giudice
della seconda delle due cause che aveva emesso un’ordinanza di sospensione
non impugnata col regolamento di competenza, non avrebbe potuto decidere il
merito della controversia, ma avrebbe dovuto accogliere le eccezioni
preliminari della soc. Bonetti sull’inammissibilità, per la loro tardiva
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proposizione, delle domande avanzate dagli Zavarise. Oltre a ciò, detta
sentenza ha avallato la possibilità che attraverso la reiterazione delle stesse
domande dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, proposte a contraddittorio
invertito e incidenti sulla medesima pretesa azionata dall’originario attore nel

iniziata per prima.
12. – Col quinto motivo è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in
relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo d’appello
formulato contro il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato
l’estinzione della servitù per non uso.
13. – Analogamente intitolato è il sesto motivo, nel quale la violazione
dell’art. 112 c.p.c. è correlata all’omessa pronuncia sul motivo d’appello
relativo alla condanna al ripristino del giardino e della tettoia.
14. – Così pure il settimo motivo, che denuncia la violazione dell’art. 112
c.p.c. per l’omessa pronuncia sul motivo d’appello relativo alla condanna alla
rimozione dei tubi e dei pozzetti di raccolta dell’acqua posti a distanza
inferiore a quella legale.
15. – Anche l’ottavo motivo espone la violazione dell’art. 112 c.p.c. per
l’omessa pronuncia sul motivo d’appello relativo alla condanna al ripristino
dello stato originario delle finestre al primo piano dello stabile di parte
odierna ricorrente.
16. – Col nono e col decimo motivo, che parte ricorrente espone assieme, è
dedotta la violazione degli artt. 345, comma 3 c.p.c., in relazione all’art. 360,
n. 4 c.p.c. per la mancata ammissione dei nuovi mezzi di prova, in
connessione con l’omessa motivazione sul fatto, controverso e decisivo,
16

primo giudizio, possano aggirarsi le preclusioni già operanti nella causa

concernente l’esercizio della servitù nel termine prescrizionale e la sussistenza
ultraventennale in loco della rete di tubazioni; nonché la violazione dell’art.
1075 c.c. e dell’art. 263 c.p.c., in rapporto, rispettivamente ai nn. 3 e 4
dell’art. 360 c.p.c., e l’omessa motivazione su fatti controversi e decisivi, in

nuovi mezzi di prova dedotti, valutandone l’indispensabilità ai fini del
decidere.
17. – Con l’undicesimo motivo, infine, è dedotta l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sulla corretta
interpretazione del contratto rogato dal notaio Andreottola il 7.3.1968 e circa
la natura reale od obbligatoria della clausola controversa, e la violazione degli
artt. 1367 e 2967 (recte, 2697) c.c., in relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5
dell’art. 360 c.p.c.
Premesso che nella copia dell’atto notaio Andreottola prodotta dalla
società Bonetti non vi è alcuna traccia della ridetta interlineatura, ove anche
questa vi fosse, il significato logico della clausola non potrebbe essere che
quello “di vietare all’acquirente l’apertura di ulteriori accessi rftgi esistiti in
precedenza”, lasciando dunque “integralmente inalterata la facoltà
dell’acquirente di mutare la destinazione economica dell’immobile
riportandola a quella originaria di garage”. La Corte territoriale, prosegue
parte ricorrente, ha invece adottato un’interpretazione abrogante della
clausola, ponendola in un contrasto insanabile con la facoltà di ripristinare la
ridetta destinazione, facoltà che senz’altro rientra nella parte del testo non
interlineata.

17

relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per non aver la Corte d’appello ammesso i

18. – Il primo motivo e il secondo motivo del ricorso n. 569/12 — esposti
insieme dalla parte ricorrente e da esaminare congiuntamente per la loro
stretta connessione — sono inammissibili.
Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di osservare, il mancato

puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il
quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può
assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi
al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di
norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione
implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Cass. nn.
13649/05 e 11844/06).
19. – I motivi da tre a sette, pure da esaminare insieme per le ragioni che
seguono, sono infondati.
Nella loro varia articolazione tali censure pongono una medesima
questione di diritto, se cioè l’ordinanza n. 818/10 emessa da questa S.C.
sull’istanza di regolamento ex arti. 42 e 295 c.p.c., nell’affermare che nella
prima causa non potesse tenersi conto “ad alcun effetto” della domanda
riconvenzionale di estinzione della servitù, abbia quanto meno implicitamente
dichiarato preclusa nel medesimo giudizio anche la relativa eccezione
riconvenzionale.
19.1. – S’impone la soluzione negativa, poiché l’interpretazione letterale e
sistemica della prefata ordinanza conducono al medesimo risultato.
19.1.1. – Sotto il primo profilo va osservato come il provvedimento citato
chiarisca che “quando (…) il diverso diritto che viene dedotto nel separato
18

esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione

giudizio trova origine da un fatto impeditivo, modificativo o estintivo del
diritto azionato è necessario, affinché si instauri un rapporto di
pregiudizialità sul piano processuale, che [il diverso diritto] sia ritualmente e
quindi tempestivamente dedotto nel processo dipendente in quanto solo in tal

giudizio in attesa del suo accertamento nel processo pregiudiziale, non
potendosi, attraverso l’istituto della sospensione, introdurre una domanda o
un’eccezione altrimenti preclusa”. Aggiunge che “tali considerazioni valgono
a maggior ragione allorquando la domanda riconvenzionale sia stata
irritualmente proposta e il processo pregiudiziale che la reitera sia stato
iniziato successivamente in quanto diversamente si consentirebbe, attraverso
la sospensione del primo processo, di reintrodurre nel medesimo, all’esito del
processo pregiudiziale, una domanda inammissibile vanifìcando le regole che
presiedono all’ordinato svolgersi del giudizio”. E, quindi, conclude nel senso
che “poiché nella fattispecie la domanda riconvenzionale volta a far

dichiarare estinto il diritto di usucapione [servitù: n.d.r.] azionato in via
principale è stata pacificamente proposta tardivamente ed è quindi
inammissibile è di conseguenza illegittima la sospensione del processo in cui
la stessa è stata irritualmente azionata in attesa dell’esito del processo
pregiudiziale dal momento che, sotto il profilo processuale, di una tale
domanda non può tenersi conto ad alcun effetto”.
Dunque, l’ordinanza n. 818/10 di questa Corte, afferma in ±ritto che la
decisione sul fatto costitutivo della domanda pregiudiziale incide sulla
decisione della causa dipendente, a condizione che in quest’ultima il
medesimo fatto sia a sua volta costitutivo di una domanda o di un’eccezione
19

caso il giudice è tenuto a prenderlo in considerazione e quindi a sospendere il

ritualmente introdotta; e trae sillogisticamente la conseguenza che nello
specifico caso in esame la domanda riconvenzionale di estinzione della
servitù, oggetto della causa supposta come pregiudiziale (s’intende, nel
provvedimento impugnato col regolamento), essendo stata tardivamente

provvedimento di sospensione impugnato) non ha idoneità a sospenderla,
perché di tale domanda nel primo giudizio non può tenersi conto “ad alcun
effetto”. Inciso finale, questo, che è riferito a un’espressione verbale (“non
può tenersi conto”) il cui oggetto è la domanda riconvenzionale di estinzione
della servitù e non anche l’eccezione in essa potenzialmente contenuta, di cui
il provvedimento non parla (come si è detto sopra, la parola “eccezione” è
menzionata una sola volta nel principio di diritto, non nella sua applicazione
alla fattispecie). L’effetto ulteriore cui accenna detto inciso è dunque
null’altro che l’inettitudine della domanda inammissibile a configurare una
situazione di pregiudizialità/dipendenza fra le due cause, con la conseguente
inapplicabilità dell’art. 295 c.p.c.
19.1.2. – Ad escludere definitivamente che nella logica di tale
provvedimento il sintagma “ad ogni effetto” valga a negare, nell’ambito della
prima causa, l’ammissibilità de residuo di un’eccezione riconvenzionale di
estinzione della servitù, sovviene — e si passa ad esaminare il secondo profilo
— una considerazione ulteriore.
In sede di istanza ex artt. 42 e 295 c.p.c., questa Corte regolatrice, pur
disponendo di ampi poteri di indagine e di lettura propri del giudice della
competenza al fine di pervenire alla statuizione richiesta senza alcun vincolo
di titolo, ragione o prospettazione delle parti, limita la propria indagine al solo
20

introdotta nella causa asseritamente pregiudicata (sempre secondo il

riscontro della sussistenza del presupposto della sospensione necessaria (della
sussistenza, cioè, di un obbiettivo rapporto di pregiudizialità giuridica tra
causa pregiudicante e causa dipendente), che ricorre quando la definizione di
una controversia costituisce l’indispensabile antecedente logico e giuridico

(cfr. Cass. nn. 11277/99 e 12629/98). Adita con l’istanza di regolamento,
questa Corte è chiamata soltanto ad accertare se ricorra tale presupposto.
Nell’economia del procedimento, e nel caso che qui ne occupa, il compito
della Corte si è esaurito nella statuizione per cui la domanda volta ad accertare
l’estinzione della servitù era da ritenersi inammissibile anche nella causa
pregiudiziale, cioè nella seconda in ordine di tempo, con il che la disposta
sospensione era da ritenersi, senza bisogno d’altro, illegittima.
Un’affermazione volta a disciplinare gli aspetti ulteriori del trattamento
processuale della predetta inammissibilità nell’ambito della prima delle due
cause, avrebbe ecceduto i limiti e la funzione del regolamento. Ipotizzarne
l’esistenza equivale, pertanto, ad affermarne la natura di mero obiter dictum,
come tale privo di effetto vincolante nel giudizio di merito.
20. – L’ottavo motivo è infondato.
Il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di
legge, anche le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti o tra
altre parti, delle quali la sentenza che in detto giudizio sia stata pronunciata
costituisce documentazione (Cass. nn. 21115/05, 12422/00 3 13889/99). Ed è
di tutta evidenza che il diverso giudizio da cui il giudice può legittimamente
attingere elementi di prova non può che avere un oggetto almeno in parte
differente rispetto a quello in cui le prove sono utilizzate, sicché la censura
21

dell’altra, l’accertamento del quale debba avvenire con efficacia di giudicato

lamenta una violazione processuale non solo priva di riferimenti positivi, ma
anche intrinsecamente illogica.
21. – Il nono motivo è inammissibile.
Secondo l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza di questa Corte, di

perché contrario alla natura del giudizio di cassazione quale impugnazione a
critica vincolata, sia perché viola la regola di chiarezza imposta dall’art. 366,
n. 4 c.p.c., il motivo di ricorso che cumuli in maniera inestricabile censure
eterogenee, incompatibili fra loro e d’incerta collocazione nell’uno o
nell’altro dei vizi di legittimità cui all’art. 360 c.p.c., atteso che tale modalità
d’introduzione dei mezzi d’annullamento mira ad affidare alla Corte di
cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi le singole
censure, così da svolgere un’attività di cui è onerata la parte (cfr. Cass. nn.
19443/11, 7394/10, 20355/08 e 9470/08).
21.1. – Nella specie il motivo, rubricato ai sensi dei nn. 3, 4 e 5 dell’art.
360 c.p.c., opera una commistione irredimibile tra profili di nullità (per
violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il profilo, pare di capire, di un’omessa
pronuncia sulle argomentazioni difensive della società in allora appellata),
violazioni di regole di giudizio diverse (artt. 115 e 116 c.p.c. e artt. 2697,
2729, 2730 e 2733 c.c.), violazioni di norme sostanziali (art. 1073 e 1075 c.c.)
e, infine, omissioni e/o disfunzioni motivazionali. Queste ultime, per di più,
riferite alla selezione e alla valutazione del materiale istruttorio in maniera
difforme rispetto alle aspettative della stessa parte così come palesate nei
motivi d’appello, piuttosto che alla logicità dell’impianto argomentativo
espresso nella decisione, il tutto in una sovrapposizione di concetti e di
22

recente fatto proprio dalle S.U. (sent. n. 17931/13), è inammissibile, sia

doglianze, di diritto e di fatto, che in definitiva mirano a provocare null’altro
che un sindacato di puro merito sulla decisione.
22. – Il decimo motivo è infondato.
22.1. – Quanto alla doglianza relativa alla prova testimoniale, è assorbente

(disciplina previgente rispetto alla novella di cui alla legge n. 353/90, essendo
stata introdotta la prima delle due cause nel 1994), che in forza dei principi di
unicità e concentrazione posti dall’art. 244 c.p.c., costituenti fondamentale
garanzia di regolarità del contraddittorio, è necessario che le contrapposte
prove testimoniali inerenti allo stesso oggetto siano state dedotte ed ammesse
prima dell’assunzione del mezzo istruttorio (Cass. n. 5090/04). Ne consegue
che la prova successivamente dedotta deve concernere a pena
d’inammissibilità circostanze diverse, distinte dalla precedente (Cass. nn.
2805/00 e 12140/97).
Nello specifico, la prova di cui parte ricorrente lamenta la mancata
ammissione è stata dedotta per la prima volta in appello (v. le conclusioni
riportate nell’epigrafe della sentenza n. 3015/10) e verte sul medesimo
oggetto (l’esercizio o non della servitù tramite l’accesso di via Alunno n.c. 15
in un arco ventennale di tempo) della prova raccolta in primo grado, mediante
l’acquisizione dei verbali delle udienza istruttorie svoltesi nel secondo
giudizio fra le stesse parti (come precisato in narrativa definito per primo).
22.2. – Quanto alla mancata ammissione dell’interrogatorio formale, i fatti
oggetto del relativo capitolato (comune a quello di cui alla prova testimoniale)
non appaiono dotati del requisito di decisività, necessario affinché la censura
possa considerarsi ammissibile (cfr. Cass. n. 13085/07), in quanto non relativi
23

notare che, con riferimento alla disciplina processuale applicabile nella specie

alla sfera giuridica delle parti da interrogare, e come tali tecnicamente non
suscettibili di confessione giudiziale.
23. – L’undicesimo motivo è infondato, in ciascuna delle censure in cui si
articola.

sistema processuale non avendo l’appello effetto pienamente devolutivo, il
riesame deve essere contenuto nei limiti segnati dai motivi di impugnazione,
in base al principio tantum devolutum quantum appellatum. Tale principio,
tuttavia, in tanto preclude al giudice di appello l’indagine sui punti della
sentenza di primo grado non direttamente investiti dal gravame, in quanto essi
non siano compresi nel thema decidendum neanche implicitamente, perché
non necessariamente connessi con i punti investiti o da essi dipendenti (Cass.
nn. 2984/80, 911/80, 1677/76, 3774/74 e 1911/73).
Come si ricava dalle conclusioni riportate nell’epigrafe della sentenza n.
3015/10 della Corte milanese, gli appellanti Zavarise-Smith chiesero
espressamente la riforma della sentenza del Tribunale anche in relazione al
capo che aveva accertato il diritto della soc. Bonetti di ripristinare i box auto

(” … ordinare alla Bonetti s.p.a. di rendere conforme alle prescrizioni di cui
all’art. 901 c. c. le vedute costruite sui box di cui al contratto 7 marzo 1968,
nonché di ricondurre in eppertanto [sic] nelle condizioni di cui al richiamato
contratto i boxes detti …”).
Dunque, da un lato i predetti appellanti avevano espressamente gravato la
decisione di primo grado anche con riguardo all’accertamento del diritto della
soc. Bonetti di ripristinare i box auto; dall’altro, il gravame era stato
correttamente motivato, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., tramite le censure svolte
24

23.1. – Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel vigente

in merito all’interpretazione del contratto 7.3.1968 tra gli Zavarese e la soc.
Valenti, dante causa (del dante causa) della soc. Bonetti, interpretazione da
cui secondo la tesi degli appellanti, accolta dalla Corte d’appello, dipendeva
per l’appunto l’esistenza o non del diritto in questione.

chiare previsioni dell’atto del 1968 impongono altresì di accogliere l’appello
dei sigg.ri Zavarise/Smith nella parte in cui chiedono di rigettare la domanda
della SpA Bonetti di accertamento del diritto di questa società di ripristinare
le preesistenti aperture che si affacciano sul cortile di via Alunno n. r. 15. La
bozza della scrittura privata di compravendita sottoscritta davanti al notaio
Andreottola originariamente conteneva una clausola del seguente tenore:
“Rimane però salvo il diritto della parte acquirente di ripristinare in
qualsiasi momento ed a sua discrezione la destinazione originaria del
fabbricato con la riapertura totale e parziale degli accessi come innanzi

trasformati [grassetto nella sentenza)” (in finestroni, ndr). Nella stesura
finale sottoscritta dalle parti (l’acquirente Valenti ed i venditori Zavarise) le
parole qui evidenziate in grassetto erano state sostituite con ía seguente
postilla: “senza però che si trasformi l’attuale apertura degli accessi verso il

cortile [sottolineatura nel testo]

La chiarissima formulazione contrattuale

impone di ritenere che le parti avessero bensì inteso consentire all’acquirente
ed ai suoi aventi causa di ripristinare la destinazione ad autorimessa
dell’intero fabbricato contenente i sette boxes che erano stati trasformati in
un unico laboratorio-magazzino o di una parte di esso, ma che, in ogni caso,
l’accesso all’autorimessa dovesse avvenire tramite l’unica apertura carraia
esistente sul cortile, essendo stati trasformati in finestroni gli altri accessi e
25

Si legge infatti nella pronuncia n. 3015/10 della Corte distrettuale che “le

che, pertanto, quest’ultima modifica (di sei porte carraie dei boxes in
altrettanti finestroni) dovesse essere irreversibile”.
23.2. – La motivazione della sentenza impugnata appena ritrascritta — e si
passa ad esaminare la seconda censura del motivo — risulta congrua ed

della trama argomentativa espressa nella decisione.
La diversa interpretazione caldeggiata dalla parte odierna ricorrente
(secondo cui il contratto anzi detto avrebbe sancito in maniera espressa il
diritto dell’acquirente di ripristinare i box, e che ciò che l’accordo non
consentiva era l’apertura di ulteriori accessi mai esistiti, ovvero lo
spostamento di quelli già esistenti e trasformati in finestroni), non confuta la
conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale, ma semplicemente esprime
una diversa opzione ermeneutica conforme alle aspettative della ricorrente
stessa, ma irrilevante allo scopo di fondare il denunciato vizio motivazionale.
23.3. – Priva di pregio, altresì, è la doglianza relativa alla dedotta
violazione dell’art. 1367 c.c., insita, secondo la parte ricorrente, in ciò, che la
sentenza impugnata avrebbe fornito un’interpretazione abrogante della stessa
previsione contrattuale oggetto d’indagine. L’assunto, che trae
incongruamente la violazione di una norma di diritto dall’accertamento di un
fatto, disattende il costante indirizzo di questa Corte, secondo cui in tema di
interpretazione del contratto — riservata al giudice del merito, le cui
valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei
canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione — al fine di
far valere i suddetti vizi, il ricorrente per cassazione, per il principio di
specificità ed autosufficienza del ricorso, deve precisare quali norme

immune da vizi logico-giuridici, non ravvisabili ab intrinseco, ossia a stregua

ermeneutiche siano state in concreto violate e specificare in qual modo e con
quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato (Cass. nn.
2128/06, 8296/05, 17308/04 e 4905/03). Per contro, a tale scopo non è
sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata

interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass. nn. 3772/04,
7242/01, 3142/98 e 1092/95).
Non può dunque integrare la dedotta violazione di legge la sola
interpretazione della clausola in questione così come fornita dalla Corte
distrettuale, non avendo la parte ricorrente evidenziato (né del resto
ravvisandosi nel testo della decisione impugnata) singoli passaggi
motivazionali in cui si proponga una lettura dell’art. 1367 c.c. difforme da
quella testuale o altrimenti accreditata dalla giurisprudenza o dalla dottrina.
23.4. – Infine, neppure ha pregio la contestazione della contraddizione,
ravvisata dalla sentenza impugnata, fra carattere personale e non reale della
clausola e pretesa di ripristino della destinazione originaria dell’immobile poi
pervenuto in proprietà alla soc. Bonetti.
Se si esclude il carattere reale della clausola, ne è vana ogni sua
interpretazione fra soggetti terzi, e di conseguenza è a fortiori escluso il diritto
dell’odierna partx.. ricorrente di creare sul cortile di proprietà Zavarise-Smith
accessi non presidiati dal contratto del 1968, assente ogni altro titolo
costitutivo di una corrispondente servitù di passaggio.
24. – Il dodicesimo motivo, infine, contiene una censura apparente, perché,
in realtà, più che criticare la sentenza impugnata si limita a prospettarne
l’annullamento anche con riguardo mancato accoglimento delle domande di
27

attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole)

condanna accessorie formulate dalla soc. Bonetti, se ed in quanto accolte le
precedenti censure.
25. – Il primo_ motivo del ricorso n. 22170/10 è inammissibile, per ragioni
del tutto coincidenti con quelle che impongono la reiezione dei primi due

26. – Anche il secondo motivo è inammissibile, perché la decisione della
prima causa in luogo della seconda (che è quella gravata mediante l’appello
deciso con la sentenza n. 2914/09) potrebbe essere denunciata solo quale vizio
di extrapetizione, in ipotesi, e non già come vizio motivazionale ai sensi del n.
5 dell’art. 360 c.p.c., l’una censura non potendo essere trasfusa nell’altra.
Infatti, come di recente stabilito dalle S.U. di questa Corte, il ricorso per
cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente
previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve essere articolato in specifici
motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile 2, una delle
cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la
necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di
una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti
l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle
domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita
menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma
dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c,p.c., purché il motivo rechi
univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa
omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché
sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad

28

motivi del ricorso n. 569/12, ragioni da intendersi qui riprodotte.

argomentare sulla violazione di legge (Cass. S.U. n. 17931/13, seguita da
Cass. n. 24553/13).
27. – Il terzo mezzo d’annullamento è infondato.
In disparte la circostanza che il motivo espone una causa di nullità che,

già degli artt. 295, 669 octies e 669 novies c.p.c., ma dell’art. 112 c.p.c.; e

premesso che il giudizio di merito di cui parla l’art. 669 octies c.p.c. non è il

primo, in ordine di tempo, successivo all’adozione della misura cautelare, ma
quello avente ad oggetto l’accertamento, con le forme della cognizione piena,
del diritto cautelato; tutto ciò detto, deve rilevarsi che nessuna delle due cause
costituisce giudizio di merito rispetto al procedimento cautelare.
L’ordinanza 1.12.1993 emessa ante causam dal Tribunale di Milano ai
sensi dell’art. 700 c.p.c. si è limitata a regolare l’occupazione ad tempus del
cortile di proprietà Zavarise per l’esecuzione dei lavori edili programmati
dalla soc. Bonetti sulla sua proprietà; di talché, indipendentemente dal più o
meno ampio contenuto del dibattito processuale in allora svoltosi fra le parti,
la misura anticipatrice adottata ha accertato in via cautelare non la servitù
oggetto del contendere in questa sede, ma l’esistenza di un limite legale alla
proprietà fondiaria, riconducibile all’art. 843, 10 comma c.c. Non ha senso,
dunque, né sostenere che tale provvedimento d’urgenza costituisca l’unica
regola del rapporto sostanziale fra le parti, perché eseguiti i lavori e rimosso il
cantiere la misura ha esaurito la funzione assegnatagli dal giudice del
procedimento cautelare; né che tale regola sia sopravvissuta alla sentenza
d’appello n. 2914/09, per non essere il giudice di questa investito della causa
di merito consegùente al disposto rimedio cautelare.
29

semmai, integrerebbe un vizio di extrapetizione e dunque una violazione non

28. – Il rigetto dei motivi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo del ricorso n.
569/12, consolidando la decisione della sentenza d’appello n. 3015/10 che,
emessa sulla prima delle due cause, ha accolto l’eccezione di estinzione della
servitù vantata dalla soc. odierna ricorrente, assorbe l’esame del quarto e del

suddetta decisione, il cui effetto di giudicato è l’accertamento negativo della
servitù, viene meno ogni interesse della parte ricorrente a demolire l’analoga
sentenza, resa nella seconda causa, di accoglimento della domanda di
estinzione della medesima servitù. Affermata l’inammissibilità di tale
domanda, ovvero l’omessa pronuncia sul motivo d’appello che la soc. Bonetti
aveva formulato per farla valere, non si produrrebbe alcun effetto processuale
o sostanziale favorevole alla parte ricorrente, restando ad ogni modo
intangibile il giudicato di accertamento negativo della medesima servitù.
29. – Il sesto, il settimo e l’ottavo mezzo del ricorso n. 22170/10 sono,
invece, fondati.
Sui motivi d’appello (debitamente trascritti nel ricorso per cassazione)
proposti dalla soc. Bonetti contro la sentenza di primo grado che l’aveva
condannata al ripristino del giardino e della tettoia esistenti sul cortile di
proprietà Zavarise, alla rimozione dei tubi e dei pozzetti posti a distanza
inferiore a quella di cui all’art. 889 c.c. e alla riduzione nello stato originario
delle finestre site al primo piano dell’edificio di proprietà Bonetti, la sentenza
impugnata nulla ha osservato in motivazione, limitandosi, poi, in dispositivo
alla sola pronuncia di rigetto dell’appello.
Resta, pertanto, confermato il denunciato vizio di omessa pronuncia ex art.
112 c.p.c., in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.
30

quinto mezzo d’annullamento del ricorso n. 22170/10. Rimasta indenne la

30. – Al pari de..1 quarto e del quinto, anche il nono e il decimo motivo sono
assorbiti dal rigetto dei motivi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo del ricorso
n. 569/12, per cui si rinvia a quanto già detto al precedente paragrafo 28, salvo
per quanto concerne la censura inerente alla mancata ammissione dei capitoli

conclusioni riportate a pag. 4 della sentenza n. 2914/09 della Corte milanese),
censura che, invece, è assorbita dall’accoglimento del settimo motivo del
medesimo ricorso n. 22170/10.
31. – Infine, l’undicesimo motivo di quest’ultimo ricorso è infondato per le
stesse ragioni per cui è infondato l’undicesimo motivo del ricorso n. 569/12,
cui in sostanza corrisponde.
32. – In conclusione, la sentenza n. 2914/09 va cassata in relazione ai
motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che
provvederà anche sulle spese di cassazione, mentre va respinto il ricorso
contro la sentenza n. 3015/10.
P. Q. M.
e
La Corte accoglie il sesto, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso contro la
sentenza n. 2914/09, che cassa con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Milano, che provvederà anche sulle spese di cassazione; rigetta il
ricorso contro la sentenza n. 3015/10.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, 1’11.12.2013.

7) e 8) della prova testimoniale dedotta dalla soc. Bonetti in appello (v. le

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