Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3209 del 09/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 3209 Anno 2018
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: PERINU RENATO

ORDINANZA

sul ricorso 26937-2012 proposto da:
BAILETTI GIULIANO C.F. BLTGLN59A05B157D, domiciliato
in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato MICHELE IDOLO CASALE, ANNA CALANDUCCI,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3560

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in
persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i
cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI 12;

Data pubblicazione: 09/02/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 255/2012 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 21/05/2012 R.G.N. 530/2011;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO IN FATTO
che,

il ricorrente, Bailetti Giuliano, impugna la sentenza n. 255,
depositata il 21/5/2012, con la quale la Corte d’Appello di Brescia confermava
la pronuncia di primo grado recante il rigetto dell’opposizione ad ordinanze
ingiunzione emesse dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la
mancata iscrizione di lavoratrici (nella specie ballerine) nel libro matricola;
che, la Corte di secondo grado, ritualmente adita, rigettava il gravame,
per quanto qui rileva, ritenendo in relazione alla natura del rapporto di lavoro
oggetto di contestazione, la non occasionalità dello stesso, e comunque il
mancato inserimento di tale attività lavorativa tra le prestazioni occasionali di
tipo accessorio elencate in termini esaustivi all’art. 70, 1 comma, del d.lvo.
n.276/03, ed inoltre l’inapplicabilità dell’art. 81 c.p. alle sanzioni in materia
previdenziale ed assistenziale;
che,

avverso tale pronuncia ricorre per cassazione Bailetti Giuliano
affidandosi a tre motivi con i quali denuncia la violazione dell’art. 61, secondo
comma, del d.lvo. n.276, in ordine alla natura del rapporto di lavoro oggetto di
contestazione, e la determinazione del “quantum” delle sanzioni irrogategli;
che, il Ministero intimato difende con controricorso, ed il ricorrente ha
depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo viene denunciata in relazione all’art.360, n. 4,
c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto
non occasionale e quindi di natura subordinata il rapporto di lavoro oggetto
delle ordinanze assoggettate ad impugnativa nei gradi di merito, ed inoltre, per
avere la stessa omesso di considerare il palese contrasto probatorio tra le

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Udienza del 20 settembre 2017 – Aula B
n. 28 del ruolo – RG n. 26937/12
Presidente: D’Antonio – Relatore:Perinu

risultanze degli accertamenti ispettivi e le mansioni effettivamente espletate
dalle lavoratrici;

che, con il terzo motivo viene denunciata in relazione all’art. 360, n.3,
c.p.c., la violazione dell’art. 61, comma 2, del digvo. n.276/03, e succ. mod.,
per avere la Corte territoriale ritenuto che i rapporti di lavoro(concernenti
attività di ballerine di lap-dance) avessero natura subordinata;
che,

il primo ed il terzo motivo di ricorso risultano oggettivamente
connessi essendo entrambi, sostanzialmente, rivolti a censurare la
qualificazione del rapporto di lavoro, e, pertanto, per ragioni di ordine logico
vanno trattati congiuntamente;
che, entrambi i motivi appaiono infondati per le ragioni che di seguito si
espongono;
che, infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. n.
9752/2004) la disciplina previdenziale dei lavoratori dello spettacolo, trova
giustificazione nel diffuso svolgimento delle prestazioni relative, anche
nell’ambito di breve durata e, quindi, prive dei requisiti della subordinazione,
con la conseguenza che, la stessa deve essere applicata, indistintamente, ai
rapporti di lavoro subordinato,ed anche a quelli di lavoro autonomo;
che, va, quindi, alla luce di ciò, ulteriormente, evidenziato come, l’obbligo
per i lavoratori dello spettacolo di iscrizione all’ente previdenziale di categoria,
ed i correlati obblighi contributivi, debbano, necessariamente essere riferibili a
coloro che stabilmente e professionalmente, ancorché in compiti ausiliari, siano
impiegati per svolgere attività destinate alla realizzazione di spettacoli;
che, pertanto, il requisito c.d. della stabilità coincide con quello della
professionalità, ed ha la funzione di escludere dall’obbligo di contribuzione i
soggetti che in via meramente occasionale, rispetto alla loro vocazione
professionale, prestino attività artistica o tecnica, nell’ambito di una produzione
di spettacoli;
che, nella specie, sulla base degli accertamenti documentali asseverati
dalla Corte di merito, non risulta carente il requisito della professionalità delle
prestazioni rese dalle lavoratrici;
che, comunque, le censure rivolte dal ricorrente alle valutazioni fornite
dalla Corte territoriale in merito alla natura effettiva delle mansioni svolte dalle
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che, con il secondo motivo viene denunciata in relazione all’art. 360, n.3,
c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di secondo grado
omesso di considerare le censure prospettate sulle modalità di determinazione
delle sanzioni amministrative irrogate all’esito degli accertamenti ispettivi;

dipendenti oggetto di accertamento ispettivo, ed in particolare sulla pretesa
occasionalità delle prestazioni lavorative, attengono a valutazioni di merito
inerenti la ricostruzione dei fatti e la rispondenza della stessa al convincimento
della parte;

ricostruzione dei fatti operata in sede di merito al diverso convincimento
soggettivo della parte;
che, diversamente opinando siffatti motivi di ricorso si risolverebbero in
una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del
giudice di merito, e di conseguenza, in una richiesta diretta all’ottenimento di
una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità
del giudizio di cassazione ( cfr. Cass. 6064/2008);
che, alla luce delle considerazioni che precedono i suddetti motivi di
ricorso devono essere respinti;
che, va, invece, accolto il secondo motivo;
che,

la doglianza in esso contenuta risulta avere come elemento
normativo di riferimento l’art. 36 bis, comma 7, del decreto legge n.223 del
2006, convertito con modificazioni nell’art. 1, comma 1, della legge n. 248 del
2006, disposizione che ha inciso sulla disciplina sanzionatoria connessa ai
rapporti di lavoro (come nella specie) non risultanti dalle scritture o da altra
documentazione obbligatoria (nella fattispecie che occupa il libro matricola);
che, con sentenza n. 254 del 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale (per contrasto con l’art. 3 Cost.) dell’art. 36 bis,
comma 7, del decreto legge n.223 del 2006, convertito con modificazioni
nell’art.1, comma 1, della legge n. 248/2006;
che, in particolare, la Corte ha ritenuto che in violazione del principio di
ragionevolezza il legislatore con la norma suddetta, ha introdotto un sistema
sanzionatorio basato su una soglia minima (3000,00 euro) riferita a ciascun
lavoratore, prescindendo, però, dalla durata del periodo lavorativo accertato;
che, il legislatore, in effetti, con tale disposizione normativa ha
predeterminato in via presuntiva il danno risarcibile , escludendo, peraltro, uno
degli elementi che concorrono a cagionare il danno, costituito dalla durata dei
rapporti di lavoro non risultanti dalle scritture o da altra documentazione
obbligatoria;
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che, secondo giurisprudenza unanime di questa Corte, il motivo di ricorso
per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio
di motivazione, non può essere finalizzato a far valere la rispondenza della

che, in ragione di ciò troverebbe, pertanto, applicazione una disciplina
irragionevole in quanto non agganciata alla gravità dell’inadempimento;
che, il citato art. 36 bis, comma 7 come convertito nell’art.1, comma 1
della legge n. 248/2006, risulta disposizione “ratione temporis” applicabile alla
fattispecie oggetto del presente giudizio;

che, sulla base di quanto precede va, pertanto, accolto in parte il ricorso
in epigrafe, ed in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 254
del 2014, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 36
bis, comma 7, del decreto legge n.223/2006, convertito e modificato dall’art.1,
comma 1, della legge n.248/2006, va cassata la sentenza oggetto di
impugnazione, nella parte in cui ha fatto applicazione dell’abrogato art. 36 bis,
comma 7, del decreto legge n.223/2006, con rinvio al giudice di secondo grado
che dovrà attenersi ai principi contenuti nella citata sentenza della Corte
costituzionale.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte
d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle
spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 20.9.2017.

che, tale norma, essendo stata dichiarata incostituzionale, deve essere
disapplicata d’ufficio dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza
declaratoria della sua illegittimità costituzionale;

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