Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32088 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 12/12/2018), n.32088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10733/2012 R.G. proposto da:

F.E., rappresentato e difeso dall’avv. Vito A. Martielli,

elettivamente domiciliato in Roma al viale Umberto Tupini n. 133,

presso lo studio legale De Zordo e Bragaglia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

E:

Equitalia Sud S.p.A., già Equitali E.TR. S.p.A., Agente della

riscossione per la provincia di Bari, in persona del l.r.p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 122/8/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Puglia del 23 settembre 2011, depositata il 21

ottobre 2011 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2018

dal Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. Vito Antonio Martielli per il ricorrente e l’avvocato

dello Stato Rocchitta GianMario per l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.E. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle Entrate e l’Equitalia Sud S.p.A. per la cassazione della sentenza n. 122/8/2011 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia del 23 settembre 2011, depositata il 21 ottobre 2011 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa della cartella di pagamento, emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 ter, di rettifica della dichiarazione dei redditi ai fini IRPEF per l’anno 2005, ha rigettato l’appello del contribuente avverso la sentenza della C.T.P. di Bari, che, a sua volta, aveva rigettato il ricorso introduttivo.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Puglia, per quanto di interesse, ha ritenuto che il contribuente non avesse dimostrato le ritenute alla fonte effettuate dai sostituti d’imposta, omettendo di produrre la certificazione prevista dalla legge.

3. A seguito del ricorso del contribuente, l’Agenzia delle Entrate si costituisce e resiste con controricorso, mentre l’Equitalia Sud S.p.A. è rimasta intimata.

5. Il ricorrente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 22 e 163, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64 e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, allorchè il giudice d’appello ha rigettato l’appello del ricorrente, rilevando la responsabilità solidale tra sostituito e sostituto d’imposta, per le ritenute alla fonte a titolo di acconto.

Sostiene il ricorrente, infatti, che la solidarietà sarebbe confinata alle mere ipotesi di ritenute a titolo d’imposta e non alle ritenute d’acconto, nel caso in cui il sostituto non abbia effettuato nè le ritenute, nè i versamenti ad esse relativi.

Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 ter, lett. a), artt. 2709 e 2697 c.c., laddove la C.T.R. ha ritenuto che le fatture prodotte dal contribuente e l’ulteriore documentazione non fossero idonee a provare l’effettuazione delle ritenute d’acconto, in assenza della certificazione del sostituto d’imposta.

Con il terzo motivo di ricorso, infine, il contribuente censura l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nella valutazione delle prove documentali prodotte, che, secondo i giudici di appello, si limitavano a mere fotocopie informali di assegni privi di riferimenti temporali e contenutistici e di bonifici privi di riferimento dell’operatore bancario.

1.2. I motivi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente; il secondo ed il terzo vanno rigettati, con conseguente inammissibilità del primo, per carenza d’interesse.

1.3. Ed invero, il secondo motivo è infondato poichè, in via di principio, la documentazione proveniente dal sostituto d’imposta non è da sola idonea a dimostrare l’effettuazione della ritenuta, se non risulta supportata dai relativi titoli di incasso, ovvero dalla dimostrazione della corrispondente riscossione degli importi tramite bonifico o accreditamento sul conto corrente.

Sul punto, i giudici di appello hanno ritenuto che le fatture, che indicavano le ritenute d’acconto, non fossero sufficienti a dimostrare in concreto la loro effettuazione; inoltre, la C.T.R. ha rilevato che l’ulteriore documentazione prodotta dal ricorrente non fosse idonea a dimostrare che le ritenute fossero state effettivamente operate, perchè costituita da “mere fotocopie informali di assegni privi di riferimenti temporali e contenutistici e di bonifici privi di riferimento dell’operatore bancario”.

Il ricorrente, nel contestare la valutazione del giudice di appello, non ne evidenzia specifiche insufficienze o contraddittorietà, sostanzialmente richiedendo una nuova valutazione di merito del materiale istruttorio.

Sotto tale profilo, il terzo motivo risulta inammissibile, perchè, per costante giurisprudenza di legittimità, il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012- (applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza d’appello) – non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, I’ esame e la valutazione operata dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ad esempio, in termini, Cassazione civile, sez. III, 04/03/2010, n. 5205Cass. 6 marzo 2006, n. 4766. Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 19 dicembre 2006, n. 27168; Cass. 8 settembre 2006, n. 19274; Cass. 25 maggio 2006, n. 12445).

In coerenza con le suddette affermazioni, dunque, la Corte non realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – valutasse diversamente le prove, già oggetto di valutazione del giudice di merito, indipendentemente dalla denunzia da parte del ricorrente di specifiche omissioni o contraddittorietà motivazionali.

Al rigetto del secondo e del terzo motivo, consegue l’inammissibilità del primo, relativo alla contestazione della sussistenza di un’ipotesi di responsabilità solidale del sostituito insieme con il sostituto inadempiente al versamento della ritenuta d’acconto, per carenza d’interesse.

2.1. Atteso il rigetto del ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

Nulla deve disporsi in ordine alle spese nei confronti dell’Equitalia Sud S.p.A., che è rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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