Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32087 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 12/12/2018), n.32087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10492/12 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Xylem Water Solutions UK Holdings LTD. (gia denominata ITT Industries

UK Holdings LTD.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Vanz del foro di Torino

e Livia Salvini del foro di Roma, elettivamente domiciliata presso

quest’ultima in Roma al viale Giuseppe Mazzini n. 11;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 67 della Commissione Tributaria Regionale

dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, emessa il 20 ottobre

2011, deposita il 3 febbraio 2012 e notificata il 21-27 febbraio

2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2018

dal Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato dello Stato Rocchitta Gian Mario per l’Agenzia delle

Entrate e l’avv. Giuseppe Vanz per la società controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Società di diritto inglese del silenzio rifiuto opposto all’istanza di pagamento del credito di imposta relativo ai dividendi distribuiti nel 2003 ai sensi dell’art. 10, par 4, lett. b), della convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito contro le doppie imposizioni, ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo (d’ora in poi C.T.R.) in accoglimento dell’appello proposto dalla Società avverso la decisione di primo grado (sfavorevole), condannava l’Ufficio C.P.O. al pagamento dell’importo netto di Euro 6.023.167, oltre interessi di legge.

In particolare, la C.T.R. – dando atto che la Società rientrava nell’ambito di applicazione della Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito, art. 10, in quanto al momento della distribuzione del dividendo era residente nel Regno Unito e priva di stabile organizzazione in Italia; controllava dal 2002 più del 10% dei diritti di voto nella ITT Italia; era la beneficiaria effettiva del dividendo in questione; era soggetta a tassazione nel Regno Unito sia sul dividendo che sul relativo credito di imposta-disapplicava il D.Lgs. n. 26 del 2003, art. 40, in favore della Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito, art. 10, ritenendo che la prima norma fosse rivolta unicamente ai crediti di imposta di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, cioè ai soli dividendi distribuiti ai residenti in Italia, e riconosceva il diritto della Società alla corresponsione del credito pari al lordo delle imposte applicabili dall’Italia.

2. Avverso la sentenza della C.T.R. l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso articolato su cinque motivi.

3. La Società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato su un unico articolato motivo.

4. Il ricorso, inizialmente fissato per la Camera di consiglio del 27 febbraio 2018, è stato rimesso alla pubblica udienza del 13 novembre 2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente deduce la motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove la C.T.R., nell’affermare correttamente il principio di alternatività tra la disciplina contenuta nella Direttiva madre figlia n. 90/435/CEE, recepita nell’ordinamento interno con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, e la disciplina contenuta nella Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito, art. 10, paragrafo 4, lett. b), non lo aveva poi applicato correttamente, sull’erroneo presupposto, contrario all’effettiva situazione di fatto ed alle risultanze di causa, che nel caso di specie la Società avesse esercitato l’opzione per l’applicazione della disciplina convenzionale, mentre era pacifico in atti che la Società non aveva subito la ritenuta del 5% al momento della distribuzione dei dividendi.

Con il secondo motivo l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della Direttiva madre-figlia, art. 5 e del D.P.R. 29 settembre 1973, art. 27 bis, in relazione alla Convenzione Italia Regno Unito, art. 10, par. 4, lett. b).

In particolare, secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe errato a rigettare le eccezioni di inapplicabilità alla fattispecie della disciplina convenzionale laddove, da un canto, aveva ritenuto che la Società potesse optare per tale regime in epoca successiva alla distribuzione dei dividendi ed ad libitum, e, dall’altro, non aveva considerato che la Società, avvalendosi del sistema adottato nel Regno Unito del double taxationi relief, aveva già evitato la doppia imposizione economica, onde la pretesa di fruire di un credito di imposta da parte dello Stato Italiano non trovava giustificazione, in quanto tendente a conseguire un risultato (l’eliminazione della doppia tassazione) già conseguito nel Paese di residenza.

Con il terzo motivo la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 Cost. e del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 40, conv. con modif. dalla L. 24 novembre 2003, n. 326.

Secondo la ricorrente, la C.T.R. aveva errato laddove aveva ritenuto che l’art. 40 cit. andasse “disapplicato”, perchè, secondo un’interpretazione che non violasse la Convenzione Italia – Regno Unito , art. 10, doveva riferirsi ai soli crediti di imposta di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, per i soli dividendi distribuiti ai residenti in Italia.

Con il quarto motivo, l’Agenzia delle Entrate deduce la medesima violazione di legge di cui al terzo motivo, laddove la C.T.R. aveva ritenuto che detta norma (D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 40) non si applicava ai non residenti.

Con il quinto motivo, infine, la ricorrente censura la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 116preleggi, in relazione alla Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito, art. 10, par. 4, lett. b), perchè la CTR aveva ignorato l’eccezione con la quale l’ufficio aveva contestato l’applicabilità della normativa convenzionale per difetto di reciprocità, avendo il Regno Unito abolito sin dal 1999 il sistema del credito di imposta a favore di soci italiani di società britanniche.

1.2. Il secondo motivo è fondato, con conseguente assorbimento dei restanti.

1.3. Invero, come già chiarito da questa Corte, vale il seguente principio (affermato per il caso di società madre di diritto francese): “la società madre francese (caso equiparabile a società madre britannica), che riceve dalla società figlia italiana dividendi esenti da tassazione per effetto dell’attuazione in Francia (ma anche nel Regno Unito) della Dir. 90/435/CEE, non ha diritto al credito d’imposta previsto dalla Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, art. 10, p. 4, lett. b, ratificata con L. n. 20 del 1992 (cui corrisponde la Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito, art. 10, di identico contenuto), in quanto l’esenzione di fonte comunitaria esclude la doppia imposizione che il credito di fonte pattizia è diretto a neutralizzare” (Sez. 5 -, Sentenza n. 23367 del 06 ottobre 2017; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 27111 del 28 dicembre 2016).

Nel caso di specie, la società ITT UK, all’atto della distribuzione dei dividendi per l’anno di imposta 2003, ha chiesto l’applicazione della Direttiva madre – figlia, quale recepita dall’Italia con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis ed ha, conseguentemente, percepito i dividendi in questione, senza l’applicazione di alcuna ritenuta.

Solo successivamente, con l’istanza di rimborso del credito d’imposta sui dividendi del 21 dicembre 2005, la ITT UK ha dichiarato di optare per l’alternativo regime della Convenzione Italia – Regno Unito, richiedendo allo Stato italiano il pagamento del suddetto credito, al netto della ritenuta alla fonte nella misura convenzionale del 5%, calcolata sia sull’ammontare del credito, sia su quello dei dividendi.

Come correttamente evidenziato, ad altro fine, nella motivazione della sentenza impugnata, vige il principio della prevalenza della normativa comunitaria, che deve ritenersi applicabile in via ordinaria, salva l’applicazione, ove ne ricorrano i presupposti, del regime alternativo previsto dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, che la Dir., art. 7.2, si limita a fare salvo.

La stessa C.T.R., quindi, conviene che “il pagamento della ritenuta alla fonte del 5% è, a tutti gli effetti, la condizione (o meglio il presupposto) per accedere al rimborso”, nel caso in cui la società non residente abbia scelto di avvalersi del regime convenzionale.

Non è quindi possibile che la società, che abbia optato per il regime della Direttiva madre – figlia ed abbia conseguito i dividendi senza l’applicazione di alcuna ritenuta (circostanze pacifiche nel caso di specie), chieda successivamente il pagamento del credito di imposta, sia pure al netto della ritenuta alla fonte (non attuata), perchè appunto ha già effettuato la scelta per una diversa agevolazione, non cumulabile.

Per altro, sul punto non può ritenersi che le contestazioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate con il ricorso in Cassazione siano inammissibili, perchè tardive, in quanto esse riguardano la corretta interpretazione della legge sulla base degli elementi di fatto introdotti originariamente nel giudizio.

In particolare, la circostanza che la società avesse già optato per il regime comunitario è pacifica tra le parti ed è stata immediatamente evidenziata dall’Agenzia delle Entrate, che fin dalla sua prima costituzione ha affermato che la società non poteva richiedere il pagamento del credito di imposta limitato, “trattandosi di distribuzione di dividendi soggetti al regime della Direttiva madre – figlia” (come riportato dal giudice di appello nella terza pagina della sentenza impugnata, nella parte relativa allo svolgimento del processo).

Comunque, il divieto di nuove eccezioni si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio e non può mai riguardare i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, come nel caso di specie, in cui la contestazione della sussistenza dei presupposti del vantato credito d’imposta, essendo volta a negare la sussistenza del fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio dalla società ricorrente e non già a contrapporvi fatti diversi con effetto estintivo, modificativo o impeditivo, configura mera difesa e non già eccezione in senso proprio.

1.4. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento degli altri motivi del ricorso principale e l’inammissibilità del ricorso incidentale condizionato della società per carenza di interesse.

1.5. In particolare, una volta escluso che la società avesse diritto ad ottenere il rimborso del credito di imposta, avendo già usufruito delle agevolazioni previste dalla normativa comunitaria, il ricorso incidentale condizionato, volto alla limitazione della preclusione di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 40, comma 2, alla sola distribuzione degli utili accantonati a riserva (per Euro 10.046.169,85), risulta inammissibile, perchè privo di qualsiasi interesse per la società controricorrente.

In conclusione, la Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., rigetta il ricorso originario della società britannica.

2.1. La complessità della questione, il comportamento processuale delle parti (le diverse argomentazioni difensive adottate dall’Agenzia delle Entrate, che nelle controdeduzioni depositate nel giudizio di appello, ha richiamato la circolare n. 151, secondo cui “in prima istanza e sempre che ne ricorrano le condizioni, previste, potrà trovare applicazione la normativa comunitaria, restando comunque possibile per il percettore estero il diritto di richiedere il rimborso del credito di imposta previsto dalla normativa convenzionale, dovendo in questo caso corrispondere, però, anche tutte le ritenute previste dal regime convenzionale”) giustificano la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della società; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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