Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32085 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 12/12/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 12/12/2018), n.32085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9455/2012 R.G. proposto da:

P.A., rappresentata e difesa dall’avv. Carmela De

Franciscis, elettivamente domiciliata in Caserta alla via Roma –

Parco Europa;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata, al solo fine dell’eventuale partecipazione

all’udienza, dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 327/32/11 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania del 23 settembre 2011, depositata il 4

novembre 2011 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2018

dal Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito l’avv. Carmela De Franciscis per il ricorrente e l’avvocato

dello Stato Rocchitta Gian Mario per l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.A. ricorre con quattro motivi avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 327/32/11 della Commissione Tributaria Regionale della Campania del 23 settembre 2011, depositata il 4 novembre 2011 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa degli avvisi di accertamento per maggiori IVA, IRPEF ed IRAP, oltre addizionali comunali e regionali, per l’anno di imposta 2003, ha accolto l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.T.P. di Caserta, che, a sua volta, aveva accolto il ricorso introduttivo della contribuente.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Campania, per quanto di interesse, ha ritenuto che fosse utilizzabile, ai fini dell’accertamento di operazioni non contabilizzate, la documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accertamento, anche in assenza di irregolarità contabili.

Secondo la C.T.R., il rinvenimento della documentazione extracontabile, insieme all’omessa redazione del dettaglio delle rimanenze, costituiva un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di operazioni non riportate nella contabilità ufficiale, che legittimava l’accertamento dell’amministrazione.

Inoltre, il giudice di appello riteneva che, in ordine al contestato recupero di imposta inerente all’acquisto frammentato di attrezzature per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, nel caso in esame fosse ravvisabile una cessione di azienda, riguardante un insieme di beni organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa, come risultava dal P.V.C. redatto dai funzionari dell’Ufficio di Caserta.

3. Avverso la sentenza del giudice di appello, la ricorrente denuncia il difetto di motivazione (primo motivo) sul punto decisivo e controverso, relativo all’idoneità probatoria del brogliaccio posto a fondamento dell’accertamento induttivo, nonchè sulla presunzione della cessione di azienda (terzo motivo) non essendovi prova che tutti i beni fossero stati trasferiti alla sig. P.; lamenta, inoltre, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. c), del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e dell’art. 2729 c.c. (secondo motivo), perchè l’accertamento induttivo non sarebbe stato suffragato da indizi gravi, precisi e concordanti, necessari a giustificarlo in presenza di contabilità regolare, e la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, per l’illegittimo recupero dell’IVA sul presupposto indimostrato dell’avvenuta cessione di azienda.

4. A seguito del ricorso della contribuente, l’Agenzia delle Entrate si costituisce al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia il difetto di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto decisivo e controverso, relativo all’idoneità probatoria del brogliaccio posto a fondamento dell’accertamento induttivo.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. c), del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè l’accertamento induttivo non sarebbe stato suffragato da indizi gravi, precisi e concordanti, necessari a giustificarlo in presenza di contabilità regolare.

1.2. I motivi sono connessi e vanno esaminati congiuntamente; essi sono infondati e vanno rigettati.

1.3. Invero, come è stato detto “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la cd. contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta contabilità in nero, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (Sez. 5, Sentenza n. 24051 del 16 novembre 2011).

Nel caso di specie, i verificatori avevano rinvenuto un quaderno composto da 15 pagine, ove erano stati annotati gli acquisti di materia prima (latte vaccino o di bufala) e prodotti finiti destinati alla vendita non riportati nella contabilità ufficiale, sulla base del quale l’Ufficio aveva proceduto alla ricostruzione induttiva di maggiori ricavi.

Appare, quindi, legittimo il ricorso all’accertamento analitico induttivo e la determinazione dei maggiori ricavi sulla base della contabilità in nero, che, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

Ciò anche indipendentemente dalla considerazione della mancata esposizione del dettaglio delle rimanenze, che comunque costituisce un ulteriore elemento di riscontro dell’inattendibilità della contabilità ufficiale.

La sentenza impugnata risulta aver fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati ed ha adeguatamente motivato in ordine agli elementi di fatto posti alla base della decisione adottata.

2.1. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia il difetto di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto decisivo e controverso, relativo alla presunzione della cessione di azienda, non essendovi prova che tutti i beni fossero stati trasferiti alla sig. P..

Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’illegittimo recupero dell’IVA sul presupposto indimostrato dell’avvenuta cessione di azienda.

2.2. I motivi, esaminati congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti.

2.3. Invero, l’Ufficio aveva contestato la detrazione dell’IVA, relativa alle operazioni di cessione dei beni strumentali all’attività aziendale, ritenendo che si vertesse in ipotesi di cessione di azienda, da assoggettare all’imposta di registro e non all’Iva.

La vendita frazionata, secondo gli accertatori, aveva consentito ingenti detrazioni di Iva al cessionario, al di fuori dei casi consentiti, per cui l’Ufficio aveva proceduto al recupero delle detrazioni indebite.

La C.T.R. sul punto ha rilevato che “ove sussista una cessione di beni strumentali, atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio dell’impresa si deve ravvisare una cessione di azienda” e che quest’ultima “presuppone, il trasferimento non già di uno o più beni considerati nella loro individualità giuridica, ma di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa”.

Per la nozione di cessione dell’attività di impresa, come rilevato da questa Corte con sentenza n. 23259 del 2018, è significativo il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, secondo cui “per gli atti che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse “il valore di cui al comma 1 è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento ed esclusi i beni indicati nell’art. 7 della parte prima della tariffa (…)”.

Secondo la sentenza citata, “una così ampia nozione di azienda è d’altronde pienamente coerente con la disciplina unionale dell’azienda nel sistema dell’iva: la Sesta Direttiva Iva, art. 5, n. 8, (riprodotto dalla Dir. n. 2006/112/CE, art. 19) prevede che, in caso di trasferimento a titolo oneroso o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri “possono considerare l’operazione come non avvenuta e che il beneficiario continua la persona del cedente”. E la giurisprudenza unionale specifica che, a tal fine, il trasferimento di un’azienda o di un suo ramo corrisponde al trasferimento dell’insieme di beni, materiali e immateriali, che “complessivamente costituiscono un’impresa o una parte d’impresa idonea a continuare un’attività economica autonoma…” (Corte giust. 10 novembre 2011, causa C-444/10, Cristel Schriever)”(Cass. sent. n. 23259/18).

Nel caso di specie il giudice di appello non ha tenuto conto della nozione ampia di trasferimento di azienda, quale trasferimento dell’insieme di beni, materiali e immateriali, che “complessivamente costituiscono un’impresa o una parte d’impresa idonea a continuare un’attività economica autonoma…”, nè ha adeguatamente motivato sul punto, ritenendo che la cessione di singoli beni strumentali potesse configurare, sic et simpliciter, una cessione di azienda, assoggettabile all’imposta di registro.

3.1. In conclusione la Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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