Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3208 del 18/02/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 3208 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 16904-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e
difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI, giusta delega
2015

in atti;
– ricorrente –

4830
contro

MASSARELLI MARIA LUISA C.F. MSSMLS62H43G273W, ROMANO
GIUSEPPA C.F. RMNGPP63H69G273V, PICA MARIA C.F.

Data pubblicazione: 18/02/2016

PCIMRA62A49G2731,

MATRANGA

NANCY

EVELYN

C.F.

MTRNCY63M56Z514J, domiciliati in Roma piazza Cavour
presso la cancelleria della Corte di Cassazione,
rappresentanti e difesi dall’avvocato TULLIO FORTUNA,
giusta delega in atti;
controricorrenti

avverso la sentenza n. 479/2009 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 17/06/2009 R.G.N. 1442/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/12/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato Anna BUTTAFOCO per delega verbale
Avvocato Gaetano GRANOZZI;
udito l’Avvocato Tullio FORTUNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità per Romano Giuseppa e rigetto per
gli altri.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26.3.2015, la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza di
primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti tra le Poste
e i lavoratori oggi intimati, stipulati per esigenze eccezionali conseguenti a processi di
ristrutturazione ex art. 8 del c.c.n.l. del 1994, accertando ch ebi?’ detti lavoratori e le Poste
era intercorso, sin dalla data indicata in primo grado, un rapporto di lavoro subordinato a
retribuzioni maturate dalla data di offerta della prestazione, essendo stati i detti contratti
stipulati dopo il 30.4.1998, in assenza di disposizione derogatoria stabilita dalla
contrattazione collettiva ex art. 23 I. 56/87. Rilevava ancora che non valeva invocare la
risoluzione consensuale per decorso del tempo tra la scadenza del termine e la
proposizione di azione giudiziale intesa a far valere la nullità del termine, in mancanza di
ulteriori elementi univoci che denotassero una tale volontà e che era intervenuto valido
atto di messa a disposizione di energie lavorative dei prestatori di lavoro.
Per la cessazione di tale decisione ricorre la società Poste Italiane, con cinque motivi,
illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.., resistono con controricorso ( corredato
da memoria) gli intimati, salvo il Romano Giuseppe la cui posizione risulta conciliata come
da verbale sindacale versato in atti.
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Circa la posizione del Romano Giuseppe va dichiarata la cessazione della materia del
contendere anche in ordine alle spese essendo intervenuta conciliazione in sede
sindacale.
Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, primo
comma, 1175 c.c., 1375 c.c. , 2697 c.c. Sussistevano i presupposti per dichiarare che il
rapporto si era sciolto per mutuo consenso a cominciare dall’avvenuta tardiva reazione
dei lavoratori dopo la scadenza del contratto.
Il primo motivo appare infondato in virtù di considerazioni già espresse da questa Corte,
con le quali si è rilevato nel senso che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento
della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto

tempo indeterminato, e condannava la società al risarcimento del danno pari alle

dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia
accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali
circostanze significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime dì porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo e che la valutazione del significato e della
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori
di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n.
23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621). Tale principio va enunciato anche in questa sede,
rilevando, inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che
eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali
possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad
ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070). Nella specie la Corte d’Appello ha
accertato l’insufficienza di elementi in base ai quale ritenere che il rapporto si fosse sciolto
per mutuo consenso ai di fuori del mero decorso del termine come tale insufficiente: la
motivazione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte.
Con il secondo motivo, la società denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 A.
56/87, ai sensi dell’art. 360, n 3, c.p.c., rilevando la natura non negoziale ma meramente
ricognitiva degli accordi successivi a quello del 25.9.1997.
Con il terzo motivo si allega l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per

il giudizio. La Corte non aveva correttamente valutato i contratti successivi a quello
originario che avevano prorogato il termine per l’apposizione dei termine ex art. 8
dell’originario Accordo.
I due motivi/ che vanno esaminati unitariamente ponendo questioni analoghe/ mi appaiono
infondati. Viene dedotto che l’art. 8 dei ccni dei 1994, cosi come integrato dall’accordo 259-97, subordinava la sua applicazione unicamente all’esistenza di un processo di
ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali dell’azienda, per cui
l’interpretazione di tale accordo compiuta dalla Corte territoriale risulta viziata, oltre che
dall’erronea lettura dell’art. 23 della legge n. 56/1987, che ha condizionato, viziandola
irrimediabilmente, anche la successiva esegesi della disciplina contrattuale, anche
dall’autonoma e concorrente violazione delle regole ermeneutiche legali di cui agli art.

portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui

t

1362 e ss. c.c. (ed in particolare del criterio letterale e del comportamento delle parti
posteriore alla stipulazione).
Le censure non possono essere accolte.
In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento
al sistema vigente anteriormente al d.lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-32006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23

rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di
considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro
idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite
della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a
quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di
riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad
assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n.
9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di
“delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari,
non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale i
materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n.
21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove, però, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre
Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a
termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo
dell’ari. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto
in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di
attuazione, fino alla data dei 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la

della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine

legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del
presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione
degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n.
230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Casa.
18378/2006 cit.).
Alla stregua di tale orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il
30 aprile 1998 eagfpertanto priv

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