Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32076 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/12/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 09/12/2019), n.32076

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10372/2014 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato STUDIO PLACIDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SIMONE LAZZARINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, C.F. 96047640584, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende

ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 441/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/10/2013, R. G. N. 575/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SIMONE LAZZARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 15 ottobre 2013, ha respinto l’appello proposto da F.M., nei confronti del Ministero della Salute, avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di indennizzo, per danni da emotrasfusione, per non ascrivibilità, della patologia derivatane, alle tabelle annesse al D.P.R. n. 834 del 1981.

2. La Corte di merito, all’esito della deposizione testimoniale – ritenuta non risolutiva in ordine all’eventuale somministrazione di emoderivati, che aveva fatto ritenere quanto meno possibile che il contagio fosse da imputare a trasfusione ricevuta in occasione del ricovero ospedaliero per peritonite, nel 1968, nonostante il dato contrario ricavabile dalla cartella clinica – e sulla scorta delle conclusioni rassegnate dall’ausiliare officiato per il rinnovo dell’esame peritale – incentrate su forti e fondati dubbi sull’effettiva somministrazione di unità di sangue a causa dell’assoluta mancanza di indicazioni cliniche – riteneva che, pur volendo superare il dato, insuperabile, dell’assoluta assenza di qualsiasi indicazione documentale della somministrazione della trasfusione in occasione del ricovero per peritonite, la domanda andava comunque rigettata per l’assenza di malattia epatica HCV correlata, ricollegabile ad alcuna delle categorie indicate nelle citate tabelle.

3. Avverso tale sentenza ricorre F.M., con ricorso affidato a due motivi,

cui resiste, con controricorso, il Ministero della Salute.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo, deducendo plurime violazioni di legge (L. n. 210 del 1992, art. 4,artt. 112,416,115,116,247,61 e 424 c.p.c., art. 41 c.p., artt. 2,24,111 Cost., art. 6, comma 1, artt. 13,17 CEDU, art. 2724 c.c., nn. 2, 3, art. 2729 c.c.), il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia rimesso in discussione un profilo positivamente accertato in sede amministrativa e solo genericamente contrastato, in giudizio, dall’amministrazione, e che ai fini del raggiungimento della prova dell’avvenuta trasfusione non abbia fatto ricorso ai poteri officiosi e alla prova per presunzioni in ragione del peculiare diritto azionato.

5. Con il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 210 cit., art. 4 e art. 115 c.p.c. e omesso giudizio di equivalenza, la parte censura la decisione per avere omesso di valutare la menomazione dell’integrità psichica che, unitamente a quella fisica, avrebbe dovuto formare oggetto del generale giudizio di ascrivibilità tabellare, e per avere ritenuto la malattia assente anzichè, in mancanza di indici di sofferenza epatica, presente e in stato di quiescenza.

6. Il ricorso è da rigettare.

7. I giudici del gravame hanno ritenuto la somministrazione di sangue evocata dal ricorrente priva di riscontro clinico-documentale attestante la trasfusione effettuata in occasione di un ricovero ospedaliero per appendicite perforata con peritonite, ed hanno concluso nel senso dell’assoluta carenza di indicazione documentale della somministrazione di sangue in una situazione clinica che, come accertato dall’ausiliare officiato in giudizio, neanche poteva richiedere alcuna trasfusione.

8. Per vero nella sentenza viene anche dato atto che a fronte della chiarezza del diario medico, il foglio di terapia degli ordini postoperatori presentava correzioni e cancellazioni rispetto a tutti gli altri fogli di terapia.

9. In aggiunta a tale prima ratio decidendi, incentrata sull’indimostrata somministrazione di sangue a scopo terapeutico, la Corte di merito ha poi escluso, con altra ratio decidendi, la malattia indennizzabile.

10. Le censure che investono la prima ratio decidendi sono inammissibili perchè si risolvono in un riesame del merito in sede di legittimità.

11. Vale premettere che nel rito del lavoro l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale.

12. Le Sezioni Unite della Corte, sentenza n. 8202 del 2005 (e successiva conforme giurisprudenza di questa Corte), hanno chiarito che il rigoroso sistema di preclusioni del rito speciale trova un contemperamento ispirato all’esigenza della ricerca della verità materiale, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento.

13. Tale contemperamento si rinviene nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, per altro, da esercitarsi pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo e nel contraddittorio delle parti stesse.

14. Il ricorrente, a confutazione della decisione incentrata sull’assenza di riscontro documentale clinico all’epoca dell’intervento sanitario e sulle conclusioni dell’ausiliare officiato in giudizio nel senso di una situazione clinica tale da non richiedere alcuna trasfusione, si limita ora ad invocare la peculiarità del diritto azionato e il mancato esercizio dei poteri officiosi, contrastando inadeguatamente gli argomenti addotti dai giudici del gravame e risolvendosi l’illustrazione della censura nella mera richiesta di un nuovo esame del merito, inammissibile in questa sede.

15. Va comunque ricordato, in continuità con i principi ripetutamente affermati da questa Corte, che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare l’fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, come tale, non è deducibile come vizio di violazione di norme di diritto bensì solo ai sensi e nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v., fra le altre, Cass. n. 17720 del 2018), nel ricorso all’esame, peraltro, neanche devoluto.

16. Il secondo mezzo d’impugnazione è inammissibile, per difetto di interesse.

17. Come ripetutamente affermato da questa Corte, nel caso in cui venga impugnata, con ricorso per cassazione, una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano.

18. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni, nella specie l’insussistenza della malattia indennizzabile, poste a base della sentenza (v., ex multis, Cass., Sez.U, nn. 10374 del 2007 e 16602 del 2005).

19. In conclusione, il ricorso è da rigettare.

20. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

21. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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