Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3207 del 12/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 3207 Anno 2014
Presidente:
Relatore:

SENTENZA

sul ricorso 2526-2007 proposto da:
PELbIZZONI MAURO C.F.PLZMRA70C111480C, PELIZZONI MARCO
C.F.PLZMRC59CO2Z614L, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato
DANTE ENRICO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato BANCHINI FRANCESCO;
– ricorrenti contro

VALENTI FLAVIO C.F.VLNFLV50M25F155K, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 101, presso lo
studio dell’avvocato AGATI OTTORINO, rappresentato e

Data pubblicazione: 12/02/2014

difeso dall’avvocato CERULLI MAURO;
– controricorrente –

sul ricorso 534-2013 proposto da:
PELIZZONI

MAURO,

PELIZZONI

MARCO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TACITO 10, presso lo studio

difende unitamente all’avvocato BANCHINI FRANCESCO;
-ricorrenticontro

VALENTI FLAVIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
GERMANICO 101, presso lo studio dell’avvocato AGATI
OTTORINO, rappresentato e difeso dall’avvocato CERULLI
MAURO;
– controri corrente –

o
avverso la sentenza n. 54/2005 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 21/01/2006/
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’Avvocato Dante Enrico difensore dei ricorrenti
che si riporta agli atti;
udito l’Avv. Agati Ottorino con delega depositata in
udienza dell’Avv. Mauro Cerulli difensore di Valenti
Flavio che si riporta agli atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha chiesto il rigetto

dell’avvocato DANTE ENRICO, che li rappresenta e

_
dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 25-5-1999 Valenti Flavio conveniva
dinanzi al Tribunale di Savona Pelizzoni Mauro e Marco, assumendo
che con contratto preliminare del 31-3-1995 Pelizzoni Mario, dante

terreno in Spotorno, a fronte dell’obbligo del Valenti di cedergli una
quota pari al 20% della volumetria edificabile. L’attore, nel far
presente che l’efficacia del contratto era subordinata al rilascio della
concessione ad edificare e che l’iter burocratico della concessione si
era prolungato per motivi dipendenti dai tempi tecnici necessari
degli uffici preposti, deduceva che, a seguito del decesso di
Pelizzoni Mario, gli eredi Pelizzoni Mauro e Marco, pur essendosi in
un primo tempo dichiarati disponibili ad adempiere il contratto, in
seguito si erano rifiutati di dare esecuzione all’impegno. Tanto
premesso, il Valente chiedeva, ai sensi dell’art. 2932 c.c.,
l’emissione di sentenza sostitutiva del contratto non concluso, con
condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
Nel costituirsi, i Pelizzoni dichiaravano di non conoscere la
firma apposta in calce alla scrittura attribuita al loro dante causa;
negavano di avere in qualche modo ratificato il contratto e di avere
assunto, in proposito, alcuna obbligazione. Essi sostenevano,
comunque, che il Valenti si era reso inadempiente, non essendosi
adoperato in tempo debito per predisporre un valido progetto, ed

causa dei convenuti, si era impegnato a trasferirgli la proprietà di un

evidenziavano di avere indirizzato alla controparte una diffida ad
adempiere a seguito della quale, non avendo l’attore adempiuto, il
contratto doveva ritenersi risolto di diritto. I Pelizzoni, pertanto,
chiedevano che venisse accertata l’inesistenza del diritto azionato e,

preliminare o la risoluzione di tale contratto per inadempimento
dell’attore.
Con memoria del 27-4-2000 l’attore, avendo accertato che
nell’aprile del 1999 i Pelizzoni avevano alienato a terzi il terreno
oggetto di causa, modificava la domanda, chiedendo la risoluzione
del contratto preliminare per colpa dei convenuti e la condanna di
questi ultimi al risarcimento dei danni.
Con sentenza in data 29-5-2003 il Tribunale dichiarava risolto
il contratto preliminare per inadempimento dei convenuti,
condannando i medesimi a pagare all’attore, a titolo di risarcimento
del danno, la somma di euro 77.000,00, oltre interessi legali.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale
il Valenti e appello incidentale i Pelizzoni.
Con sentenza non definitiva depositata il 21-1-2006 la Corte di
Appello di Genova rigettava l’appello incidentale; in accoglimento
del secondo e terzo motivo di appello principale, dichiarava i
Pelizzoni tenuti a rifondere al Valenti gli oneri di consulenza tecnica
d’ufficio, come liquidati dal Tribunale, e i costi di progettazione

2

in via subordinata, che venisse dichiarata la risoluzione di diritto del

dell’intervento per cui è causa, nella misura di euro 16.260,00, oltre
interessi e rivalutazione; riservava al prosieguo la determinazione
del lucro cessante, disponendo a tal fine, con separata ordinanza, un
supplemento di indagini tecniche.

Pelizzoni Mauro e Marco, sulla base di cinque motivi.
Valenti Flavio ha resistito con controricorso.
Successivamente, con sentenza definitiva in datag-11-2012, la
Corte di Appello di Genova, in accoglimento del primo motivo
dell’appello principale proposto dal Valenti, condannava i convenuti,
in solido, a pagare all’attore, a titolo di lucro cessante, la somma di
euro 91.765,89, oltre agli interessi legali dal 19-5-2003 al saldo.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Pelizzoni Marco e Mauro, sulla base di due motivi.
Valenti Flavio ha resistito con controricorso.
A seguito dell’istanza di riunione proposta dai ricorrenti, la
trattazione dei due ricorsi è stata fissata per la stessa udienza.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Preliminarmente, in accoglimento della richiesta formulata
dai ricorrenti, va disposta la riunione dei due ricorsi, proposti
risepettivamente contro la sentenza non definitiva e quella definitiva

3

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso

pronunciate nell’ambito dello stesso giudizio dalla Corte di Appello
di Genova.
Nella specie, va fatta applicazione del principio enunciato
dalla giurisprudenza, secondo cui i ricorsi per cassazione proposti

unico giudizio (come, nel caso in esame, la sentenza non definitiva e
quella definitiva) vanno riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a
quello -previsto dall’art. 335 c p .- della proposizione di più
impugnazioni contro una medesima sentenza (Cass. 1-4-2004 n.
6391; Cass. 10-7-2001 n. 9377; Cass. 10 maggio 1983, n. 3202)
2) Nell’esaminare il ricorso proposto avverso la sentenza non
definitiva, per ragioni di ordine logico-giuridco va data priorità al
quinto motivo.
Con tale motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 e 217 c.p.c., nonché
l’omessa e contraddittoria motivazione, in relazione alla ritenuta
autenticità della sottoscrizione di Pelizzoni Mario apposta
contratto preliminare. Secondo i ricorrenti, la prova dell’autenticità
di tale sottoscrizione non poteva essere desunta dalla deposizione di
un solo teste, negando ingresso alla già disposta consulenza tecnica
d’ufficio, che costituisce l’elemento probatorio più qualificato per
l’accertamento dell’autenticità di una sottoscrizione.
Il motivo è infondato.

4

contro sentenze le quali, integrandosi reciprocamente, definiscono un

La Corte di Appello ha ritenuto provata l’autenticità della
sottoscrizione apposta al contratto preliminare da Pelizzoni Mario,
sulla base della deposizione testimoniale resa dall’avv. Levati, il
quale ha dichiarato di aver personalmente redatto la scrittura,

presenza. Essa, conseguentemente, ha escluso la necessità di
ricorrere ad indagini grafologiche.
La decisione impugnata si sottrae alle censure mosse dai
ricorrenti, essendo sorretta da una motivazione immune da vizi logici
e corretta sul piano giuridico.
E invero, come è stato più volte affermato da questa Corte,
nel procedimento di verificazione della scrittura privata, il giudice
del merito, ancorché abbia disposto una consulenza grafica
sull’autografia di una scrittura disconosciuta, ha il potere-dovere di
formare il proprio convincimento sulla base di ogni altro elemento di
prova obiettivamente conferente, comprese le risultanze della prova
testimoniale, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le
varie fonti di accertamento della verità (Cass. 20-4-2007 n. 9523;
Cass. 20-5-2004 n. 9631; Cass. 1-3-2002 n. 3009) La consulenza
grafologica, infatti, non costituisce un mezzo imprescindibile per la
verifica dell’autenticità della sottoscrizione, potendo il giudice,
come si desume dalla formulazione dell’art. 217 c.p.c., evitare di fare
ricorso ad essa, ove tale accertamento possa essere effettuato

5

raccogliendo le firme dei contraenti, che vennero apposte in sua

direttamente sulla base degli elementi acquisiti o mediante
l’espletamento di altri mezzi istruttori (Cass. 28-4-2005 n. 8881;
Cass. 29-1-2003 n. 1282; Cass. 11-6-1991 n. 6613).
3) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e

1371 c.c., nonché l’omessa e contraddittoria motivazione.
Sostengono che la Corte di Appello ha dato una interpretazione del
contratto preliminare contrastante con il senso letterale delle parole
usate dalle parti, le quali, nel determinare il corrispettivo della
vendita nella misura del 20% della planimetria ricavabile dal
“vigente” piano di zona, hanno fatto espresso riferimento al piano di
zona in vigore al momento della stipula dello stesso preliminare.
Sostengono che il complesso delle clausole contrattuali conferma il
riferimento delle parti allo strumento urbanistico in vigore all’epoca
della conclusione del contratto, e che l’interpretazione del giudice di
merito, il quale ha riferito il termine “vigente – ad un momento
successivo indefinito, temporalmente non circoscritto, si pone in
contrasto anche con il principio della buona fede di cui all’art. 1366
c.c. e con i canoni interpretativi di cui agli artt. 1369 e 1371 c.c.
Rilevano che, poiché alla data di stipulazione del contratto
preliminare (31-3-1995) il piano di zona all’epoca vigente
considerava il terreno in questione come “zona servizi” destinata
all’insediamento di chiese, scuole e asili, la condizione sospensiva

6

falsa applicazione degli artt. 1353 ss., 1362, 1363, 1366, 1369 e

apposta a tale contratto, che subordinava la relativa efficacia al
rilascio della concessione a costruire, era impossibile o illecita, con
conseguente nullità del contratto (art. 1354 c.c.). La Corte
territoriale, invece, ponendosi in inconciliabile contrasto con il

senso letterale e complessivo delle espressioni usate, che facevano
espresso riferimento al piano di zona ed alla possibilità edificatoria
in vigore, ha ritenuto che le parti si erano limitate a prevedere come
possibile l’assentimento della concessione a costruire in base ad una
variazione degli strumenti urbanistici.
Il motivo è infondato.
La condizione sospensiva apposta alla scrittura privata del 313-1995, integralmente trascritta dai ricorrenti, così recita:

“La

validità ed efficacia del presente atto è subordinata all’effettivo
rilascio da parte del Comune di Spotorno di concessione ad edificare
su detto terreno”.
La Corte di Appello ha disatteso il motivo di gravame
incidentale volto a sostenere l’impossibilità o illiceità di tale
condizione sospensiva, rilevando che, con la scrittura in esame, le
parti si sono limitate a prevedere come possibile l’assentimento della
concessione a costruire in base ad una variazione degli strumenti
urbanistici all’epoca esistenti, ed in tal senso hanno subordinato
sospensivamente l’efficacia del negozio al rilascio di tale
concessione. Nel disattendere le censure mosse al riguardo dai

t

—•-07
o ,,,_,49,L.,4U

Pelizzoni, il giudice del gravame ha rilevato che dallo scarno tenore
dell’atto in questione non si evince alcun cenno all’aggancio del
verificarsi della condizione alla vigenza del piano di zona, né si
ravvisa alcuna previsione di un termine entro il quale il mutamento

mutamento del regime attuato con l’approvazione del nuovo piano
regolatore del Comune di Spotorno, lungi dal costituire un evento
determinativo dell’inefficacia del contratto, ha costituito l’evento
che ha consentito la presentazione del progetto da parte del Valenti.
Le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata riguardo
alla validità della condizione sospensiva in esame, coma sopra
interpretata, appaiono rispondenti all’orientamento della
giurisprudenza, secondo cui la vendita di un terreno, che venga
stipulata per consentire all’acquirente una sua utilizzazione
edificatoria, al momento non permessa dagli strumenti urbanistici, e
venga quindi sottoposta alla condizione sospensiva della futura
approvazione di una variante di detti strumenti che contempli
quell’utilizzazione, non è affetta da nullità, ne’ sotto il profilo
dell’impossibilità dell’oggetto, ne’ sotto il profilo dell’impossibilità
della condizione, dovendosi ritenere consentito alle parti di dedurre
come condizione sospensiva anche un mutamento di legislazione o di
norme operanti “erga omnes”, salva restando l’inefficacia del

8

del regime edilizio avrebbe potuto utilmente intervenire; sicché il

contratto in conseguenza del mancato verificarsi di tale mutamento
(Cass. 10-1-1986 n. 74).
L’interpretazione della clausola in questione fornita dalla
Corte territoriale è esaustiva e logica, e risulta conforme ai canoni

ricostruire la volontà contrattuale innanzitutto mediante
l’individuazione del senso letterale delle espressioni usate e della
comune intenzione delle parti, quale emerge dalla lettura
complessiva del programma negoziale, ed attribuiscono una portata
meramente sussidiaria agli altri criteri interpretativi, tra i quali il
comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto,
la cui utilizzazione è consentita soltanto ove il giudice di merito
dimostri, con argomentazioni convincenti, l’impossibilità, e non già
la mera difficoltà, di pervenire, attraverso l’interpretazione letterale,
alla conoscenza della comune intenzione dei contraenti (cfr. Cass.
19-7-2012 n. 12535; Cass. 23-4-2010 n. 9786; Cass. 20-8-2002 n.
12268; Cass. 18-4-2002, n. 56359). Nella specie, il giudice di
appello sii è adeguato a tali principi, avendo ricercato la comune
intenzione delle parti sulla base del dato letterale della scrittura
privata in oggetto e di una valutazione complessiva delle clausole
contrattuali, per rimarcarne l’inidoneità a suffragare l’assunto degli
appellanti incidentali, secondo cui le parti avrebbero inteso
condizionare l’efficacia del preliminare al rilascio della concessione

ermeneutici dettati dall’art. 1362 c.c. e segg., i quali impongono di

edilizia in base al piano di zona vigente al momento della stipula di
tale contratto; strumento urbanistico che, in realtà, non consentiva
alcuna possibilità edificatoria.
Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati dai ricorrenti,

sostenere che la condizione sospensiva apposta al contratto
preliminare faceva riferimento alle possibilità edificatorie consentite
dallo strumento urbanistico all’epoca in vigore, propone una diversa
lettura dal testo della clausola controversa, sollecitando un’indagine
che esorbita dai rigorosi limiti entro cui deve essere condotta, nel
giudizio di legittimità, la verifica della correttezza
dell’interpretazione data all’atto negoziale dal giudice di merito.
In tema di interpretazione del contratto, infatti, l’accertamento
della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio,
si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice
di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in
cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di
ricostruire liter” logico seguito dal giudice per attribuire all’atto
negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione
delle norme ermeneutiche (tra le tante v. Cass. 13-12-2006 n. 26683;
Cass. 23-8-2006 n. 18375; Cass. 27-1-2006 n. 1754); ipotesi che non
ricorre nella fattispecie in esame.

dovendosi piuttosto rilevare che questi ultimi, nell’insistere nel

4) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione
degli artt. 1453, 1454, 1455, 1375 c.c., nonché l’omessa e
contraddittoria motivazione. Sostengono che la Corte di Appello ha
erroneamente ritenuto – ambiguo – il comportamento dei Pelizzoni,

inviavano ripetute diffide ad adempiere con tempi ridotti per la
definizione, superate di volta in volta dalla fattuale prosecuzione
delle trattative. Rilevano che le trattative svolte successivamente
allo spirare del termine apposto in una diffida ad adempiere non
comportano rinuncia agli effetti dell’avvenuta risoluzione di diritto
del contratto conseguente all’infruttuoso decorrere del termine
assegnato alla controparte; e che, allo stesso modo, la successiva
diffida ad adempiere non può interpretarsi come rinuncia alla
operatività della prima. Evidenziano, inoltre, che l’asserita
incongruità del termine assegnato non comporta l’inefficacia della
diffida ad adempiere, ma solo la facoltà per l’intimato di richiedere
la fissazione di un termine maggiore. Deducono, pertanto, che nella
specie il contratto preliminare si è risolto di diritto a seguito della
mancata ottemperanza del Valenti alla diffida ad adempiere
inviatagli in data 24-9-1997, non avendo l’attore contestato la
congruità del termine assegnatogli. Sostengono, inoltre, che la Corte
territoriale ha omesso ogni valutazione in ordine al comportamento
inadempiente e contrario a buona fede tenuto dal Valenti, il quale, in

11

per il fatto che questi ultimi, pur proseguendo nella trattativa,

particolare, con raccomandata del 10-3-1999 del proprio legale, nel
rispondere alla diffida, assumeva, contrariamente al vero, che il
progetto era stato presentato il 3-2-1999, e nel progetto depositato il
9-3-1999 indicava una superficie del lotto superiore a quella

urbanistici all’epoca vigenti, precludendo ogni possibilità di
approvazione del progetto stesso e di rilascio della concessione
edilizia.
Il motivo è privo di fondamento.
La Corte di Appello, nel disattendere le censure mosse dagli
appellanti incidentali riguardo alla pronuncia di risoluzione
contrattuale per inadempimento del Pelizzoni, ha rilevato che il
contegno di questi ultimi fu sin dall’inizio improntato ad una certa
ambiguità:. Essa ha evidenziato, infatti, che i predetti da un lato
proseguivano la trattativa, cercando di sollecitarla ma comunque
adeguandosi ai tempi che il Valenti —a tanto costretto dalle
complessità burocratiche necessarie- indicava, e dall’altro
intimavano al promittente acquirente diffide ad adempiere, con
previsione di tempi ridotti per la definizione dell’iter burocratico del
progetto; diffide che, a suo giudizio, dovevano ritenersi di volta in
volta superate dalla fattuale prosecuzione della trattativa.
Così statuendo, il giudice del gravame ha sostanzialmente
ritenuto che i Pelizzoni, nel proseguire le trattative adeguandosi ai

12

effettiva e a quella massima realizzabile secondo gli strumenti

tempi indicati dal Valenti, hanno manifestato la volontà di non
volersi degli effetti connessi alle diffide ad adempiere
precedentemente rivolte al promittente acquirente, contenenti la
fissazione di termini ridotti.

La valutazione espressa al riguardo si sottrae al sindacato di
questa Corte, essendo sorretta da una motivazione immune da vizi
logici e conformandosi ai principi di diritto enunciati in materia
dalla giurisprudenza.
Come è stato ripetutamente affermato da questa Corte, infatti,
in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, il contraente
non inadempiente,così come può rinunciare ad eccepire
l’inadempimento che potrebbe dar causa alla pronuncia di
risoluzione, può, del pari, rinunciare ad avvalersi della risoluzione
già avveratasi per effetto della clausola risolutiva espressa o dello
spirare del termine essenziale o della diffida ad adempiere, e può
anche rinunciare ad avvalersi della risoluzione già dichiarata
giudizi al mente, ripristinando contestual mente l’obbligazione
contrattuale ed accettandone l’adempimento (v. Cass. 10-3-2011 n.
5734; Cass. 24-11-2010 n. 23824; Cass. 8-11-2007 n. 23315; Cass. 18-2007 n. 16993; Cass 28-6-2004 n. 11967) Si è precisato, al
riguardo, che la rinuncia agli effetti della risoluzione del contratto
per inadempimento che si sia già verificata per una delle cause
previste dalla legge (art. 1454, 1455, 1457 c.c..) ovvero anche per

2

effetto di pronuncia giudiziale (art 1453 c.c.), costituisce tipica
espressione dell’autonomia privata, che come riconosce al creditore
il diritto potestativo di non eccepire preventivamente
l’inadempimento che potrebbe dare causa alla risoluzione del

avvalersi della risoluzione già verificatasi o già dichiarata, e di
ripristinare contestualmente l’obbligazione rimasta inadempiuta.
(Cass. 4-5-1991 n. 4908).
Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, d’altro canto,
la sentenza impugnata, nell’addebitare la risoluzione del contratto ai
convenuti, ha proceduto ad una valutazione comparativa dei
rispettivi comportamenti delle parti, escludendo che a carico del
Valenti fosse ravvisabile un colpevole ritardo nel portare a
compimento l’iter burocratico del progetto. La Corte territoriale,
invece, ha dato atto della contrarietà a buona fede della condotta dei
Pelizzoni, i quali, dopo aver mantenuto nel corso delle trattative un
contegno ambiguo, quando l’iter della pratica era prossimo a positiva
definizione, senza nulla comunicare al Valenti, hanno alienato il
bene a terzi, così impedendo definitivamente l’attuazione del
contratto preliminare.
Il convincimento espresso sul punto dal giudice di appello
costituisce espressione di valutazioni di merito che, in quanto
supportate da argomentazioni scevre da vizi logici, sfuggono al

14

contratto, così non gli nega, anche in “executivis”, quello di non

sindacato di legittimità. I vizi di motivazione denunciabili in
cassazione, infatti, non possono consistere nella difformità
dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito
rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta solo a quel

valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza,
scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro
mezzo di prova ((tra le tante v. Cass. 14-10-2010 n. 21224; Cass. 53-2007 n. 5066; Cass. 21-4-2006 n. 9368; Cass. 20-4-2006 n. 9234;
Cass. 16-2-2006 n. 3436; Cass. 20-10- 2005 n. 20322).
5) Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione
dell’art. 1453 c.c., nonché dell’omessa e contraddittoria
motivazione, in relazione alla ritenuta ammissibilità del mutamento
della domanda attrice intervenuta in corso di causa. Deducono che
nel caso in esame la modifica della domanda non era consentita, in
quanto contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata,
la domanda di risoluzione del contratto preliminare è stata fondata su
fatti diversi rispetto a quelli posti a base della domanda di
adempimento.
Il motivo deve essere disatteso.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disposizione
posta dal secondo comma dell’art. 1453 c.c., secondo cui nei

15

giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine

contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere
domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto
l’adempimento, fissa un principio di contenuto processuale, in virtù
del quale la parte che ha invocato la condanna dell’altra parte ad

solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di
appello-, in deroga agli artt. 183, 184, 345 c.p.c., sempre che non
alleghi distinti fatti costitutivi, e, quindi, inadempimenti diversi da
quelli posti a base della pretesa originaria (Cass. 6-4-2009 n. 8234;
Cass. 10-4-1999 n. 3502; Cass. 5-5-1998 n. 4521).
Nel caso in esame, la Corte di Appello non si è discostata dagli
enunciati principi, nel ritenere ammissibile la domanda di
risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del
promittente venditore, proposta nel corso del giudizio di primo grado
dall’attore, in sostituzione di quella di esecuzione in forma specifica
dell’obbligo di contrarre, azionata con l’atto introduttivo del
giudizio. E infatti, come è stato accertato nella sentenza impugnata,
l’attore ha posto a base della domanda di risoluzione gli stessi fatti
(rifiuto della controparte ad eseguire la propria prestazione,
allorquando il promittente acquirente si era attivato per ottenere
l’esecuzione del contratto) dedotti a fondamento della originaria
domanda.

16

adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione -non

6) Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione
degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché l’omessa e
contraddittoria motivazione, in ordine all’affermazione del giudice
di appello, secondo cui, in relazione allo stato avanzato dell’iter

poteva presumere che la stessa sarebbe stata concessa. Sostengono
che, anche in considerazione della sopravvenuta modifica della
normativa urbanistica, sul terreno

de qua

doveva ritenersi

impossibile ogni edificazione concreta. Aggiunge che, allorché
l’adempimento si ricollega al rilascio di concessioni o autorizzazioni
amministrative, la relativa prova non può essere offerta mediante il
ricorso a presunzioni, ma può essere integrata solo dalla conclusione
dell’iter procedimentale e dalla emanazione del provvedimento
richiesto.
Anche tale motivo è privo di pregio.
Si rammenta, al riguardo, che, in materia di presunzioni, e
riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito la
sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova,
sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla
legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione,
ovverosia come circostanze idonee a consentire illazioni che ne
discendano secondo il criterio dell'”id quod plerninque
mentre l’unico sindacato riservato in proposito al giudice di

17

burocratico finalizzato al rilascio della concessione edilizia, si

legittimità è quello sulla congruenza della relativa motivazione (tra
le tante v. Cass. 4-5-2005 n. 9225; Cass. 8-11-2002 n. 15706; Cass.
2-10-2000 n. 13001).
Nella

specie,

non

può

considerarsi

incongruente

il

considerazione delle possibilità edificatorie consentite dal nuovo
Piano Regolatore del Comune di Spotorno, dello stato avanzato della
pratica e del parere favorevole all’approvazione già espresso dalla
Commissione Edilizia, ha ritenuto presumibile che la concessione
sarebbe stata rilasciata.
La valutazione espressa dal giudice del gravame, pertanto,
essendo sorretta da una motivazione non illogica, non è censurabile
in questa sede.
Non giova ai ricorrenti, in contrario, l’assunto secondo cui, in
relazione al rilascio di concessioni o autorizzazioni amministrative,
non sarebbe possibile il ricorso alla prova per presunzioni.
Le argomentazioni svolte dal giudice del gravame, infatti,
vanno lette in collegamento con l’accertamento contenuto nella
sentenza di primo grado, richiamato a pag 16 della decisione
impugnata secondo cui i convenuti, dopo aver appreso del rilascio
del parere favorevole da parte della Commissione Edilizia,
esprimevano al Comune la volontà di non dare corso alla pratica, bg L-tPÀ^
così di fatto impedendone il perfezionamento

ragionamento seguito dalla Corte di Appello, la quale, in

Orbene, come è stato affermato da questa Corte, colui che si è
obbligato o ha alienato un bene sotto la condizione sospensiva del
rilascio di determinate autorizzazioni amministrative necessarie per
la realizzazione delle finalità economiche che l’altra parte si

comportandosi secondo buona fede (art. 1358 cod. civ.), tutte le
attività che da lui dipendono per l’avveramento di siffatta
condizione, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul
rilascio delle autorizzazioni; con la conseguenza che deve rispondere
delle conseguenze dell’inadempimento di questa sua obbligazione
contrattuale nei confronti dell’altra parte, alla quale è possibile
chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni
conseguenti, da accertare secondo il criterio della regolarità causale,
che consente di riconoscere il danno nel caso in cui, avuto riguardo
alla situazione di fatto esistente nel momento in cui si è verificato
l’inadempimento, debba ritenersi che la condizione avrebbe potuto
avverarsi, essendo possibile il legittimo rilascio delle autorizzazioni
amministrative con riguardo alla normativa applicabile (Cass. 2-6992 n. 6676).
Allorché, pertanto, come nel caso in esame, il fatto dedotto in
condizione sia un provvedimento amministrativo ed il procedimento
per la sua adozione non abbia potuto concludersi per il fatto di chi
aveva un interesse contrario alla realizzazione della condizione, la

19

propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni,

prova non può avere ad oggetto la certezza che il provvedimento
positivo vi sarebbe stato, ma solo lo stabilire se, nella situazione
data, una legittima conclusione positiva del procedimento fosse
possibile (Cass. 15-6-2011 n. 13099). Ed è evidente che tale giudizio

fare ragionevolmente presumere che il procedimento amministrativo
avrebbe avuto esito favorevole.
7) Passando all’esame del ricorso proposto avverso la sentenza
definitiva, si osserva che con il primo motivo i ricorrenti lamentano
la violazione o falsa applicazione dell’art. 278 c.p.c. e dell’art. 26
della Legge Regionale della Liguria n.

9\1993, nonché l’omesso

esame di un fatto decisivo. Deducono che la Corte di Appello, in
base al principio iura noviti curia, avrebbe dovuto applicare l’art. 26
della legge regionale 9\1993 e, per l’effetto, dato atto dell’assoluta
inedificabilità del terreno in oggetto, dichiarare inesistente ogni
lucro cessante in favore del Valenti.
Il motivo non merita accoglimento.
I ricorrenti propongono argomenti e questioni inerenti

deve essere condotto verificando se sussistessero circostanze tali da

all’asserita inedificabilità dei terreni oggetto di causa -peraltro
sviluppati, come si legge nella sentenza gravata, dagli appellanti
solo nella comparsa conclusionale e nelle note di replica-, che il
giudice del gravame, con motivazione corretta sul piano logico e
giuridico, ha ritenuto di non poter prendere in considerazione, ill’es’44”

essendo su di esse già intervenuta la decisione con la sentenza non
definitiva n. 54\2006.
Con tale ultima sentenza, infatti, la Corte di Appello ha
rigettato tutti i motivi di gravame incidentale proposti dai Pelizzoni,

Valente e si è riservata la decisione sul primo motivo di tale appello,
concernente la quantificazione del lucro cessante. In relazione a tale
voce di danno, il giudice di secondo grado ha ritenuto corretto il
criterio di calcolo seguito dal Tribunale, basato sulla differenza tra il
ricavo ragionevolmente ricavabile dall’operazione immobiliare e il
costo della medesima per la quota spettante al promissario
acquirente, detratta la quota del 20 0/ a carico del promissario
venditore Pelizzoni Mario; ma ha ritenuto necessario disporre un
supplemento di indagini tecniche, onde chiarire le differenti
indicazioni, nel calcolo dei costi e dei ricavi, dell’estensione delle
superfici destinate ad abitazione e di quelle destinate a utilizzazioni
diverse (artigianali).
Poiché, dunque, con la sentenza definitiva la Corte di Appello
era chiamata a pronunciarsi esclusivamente sul primo motivo di
appello principale, concernente la determinazione del danno da lucro
cessante spettante al Valenti, è evidente che in tale sede non poteva
essere riposta in discussione l’effettiva suscettibilità edificatoria del
terreno in questione, già positivamente accertata con la sentenza non

ha accolto il secondo e il terzo motivo di appello principale del

definitiva, alla stregua delle previsioni del nuovo Piano Regolatore
del Comune di Spotorno. Ogni eventuale contestazione riguardo alle
concrete possibilità edificatorie del suolo promesso in vendita,
pertanto, avrebbe dovuto essere fatta valere dai Pelizzoni non già

proposizione di ricorso per cassazione avverso la sentenza non
definitiva.
7) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa
motivazione in ordine alla mancata valutazione, da parte del C.T.U.,
del costo di rifacimento della strada comunale che corre tra il fondo
e il corso d’acqua; questione che i Pelizzoni assumono di aver
sollevato nel corso del giudizio di appello, dapprima nel verbale di
udienza e da ultimo in sede di redazione della comparsa
conclusionale.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Deve premettersi che le conclusioni assunte dal consulente
tecnico d’ufficio sono impugnabili con ricorso per cassazione
solamente qualora le censure ad esse relative siano state
tempestivamente prospettate avanti al giudice di merito, alla stregua
di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dall’atto del
procedimento di merito -che il ricorrente deve specificamente
indicare- ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano
espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice

22

nell’ulteriore corso del giudizio di appello, bensì mediante la

di legittimità risultino consentiti il controllo, ex actis, della relativa
veridicità, nonché la valutazione della decisività della questione
(Cass. 8-6-2011 n. 12532; Cass. 31-3-2006 n. 7696; Cass. 12-2-2004
n. 2707; Cass. 15-2-2002 n. 2207; Cass. 29-9-1998 n. 9711).

che nel corso del giudizio di merito i Pelizzoni abbiano
tempestivamente lamentato l’omessa valutazione, da parte del
C.T.U., dei costi inerenti al rifacimento della strada comunale.
I ricorrenti hanno dedotto di aver sollevato specifiche
contestazioni al riguardo nel verbale di udienza; ma, venendo meno
all’onere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, non
hanno indicato, in concreto, in quale udienza abbiano posto tale
questione. Essi, al contrario, nel manifestare le loro ragioni di
dissenso alle conclusioni del C.T.U., hanno richiamato i rilievi svolti
al riguardo nella comparsa conclusionale di appello.
E’ evidente, peraltro, che i ricorrenti non possono dolersi della
mancata considerazione delle critiche rivolte all’operato dal
consulente tecnico d’ufficio in tale scritto difensivo. Va ricordato,
infatti, che le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio
non possono essere formulate in comparsa conclusionale -e pertanto,
se ivi contenute, non possono essere esaminate dal giudice-, perché
in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al

23

Nella specie, dalla lettura della sentenza impugnata non risulta

dibattito processuale (Cass 22-3-2013 n 7335; Cass. 6-9-2006 n.
19128; Cass. 1-7-2002 n, 9517; Cass. 26-11-1998 n. 11999).
8) Per le ragioni esposte entrambi i ricorsi devono essere
rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle

relazione a ciascuno dei ricorsi riuniti, liquidate come da
dispositivo
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese, che liquida per ciascun ricorso in curo
3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4-1 2-20 13
11 Consigliere estensore

Il P esilnte

spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio in

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA