Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32065 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 20/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18947/2018 proposto da:

H.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

Ennio Cerio del Foro di Campobasso, giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il

11/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/09/2019 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto n. 1013/2018, depositato in data 11/05/2018, ha respinto la richiesta di H.A., cittadino del (OMISSIS), a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici del Tribunale hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per ragioni economiche) non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il Paese non risultava interessato da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come risultava dai report di Amnesty International e dal sito del Ministero degli Esteri); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero e non essendo sufficiente la sola esistenza di un rapporto di lavoro a termine.

Avverso il suddetto decreto, H.A. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, essendo mancata, mediante la consultazione di fonti autorevoli, la valutazione, ai fini della protezione sussidiaria, della situazione del Paese d’origine del richiedente, essendosi il Tribunale limitato a riportare informazioni del tutto generiche sulla condizione generale del Bangladesh, nonchè avendo il Tribunale escluso in maniera apodittica il riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Il ricorso è inammissibile.

In riferimento al diniego di protezione sussidiaria, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass. 19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale”. Da ultimo si è ulteriormente precisato (Cass. 27503/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati” (conf. Cass. 29358/2018).

Nella specie, il racconto della richiedente, cui anche nel presente ricorso si fa richiamo al fine dell’individuazione delle condizioni di vulnerabilità, è stato ritenuto non integrante verosimili motivi di persecuzione.

Da ultimo (Cass. 32064/2018) questa Corte ha precisato che “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità”.

Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo il Tribunale attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative), e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni e le fonti ufficiali delle stesse che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulla situazione nel Bangladesh, asseritamente caratterizzata da aspri e violenti conflitti di carattere etcnico-religioso.

La doglianza è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie personali valutazioni a quella, svolta dal giudice di merito, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

La seconda censura poi, riguardo alla protezione umanitaria, è del tutto generica, e perciò inammissibile, limitandosi a considerazioni di ordine generale sul tema della tutela umanitaria, le quali nulla hanno a che vedere con la specifica situazione individuale; risulta del tutto infondata poi la doglianza di omessa pronuncia, avendo il Tribunale preso in esame la richiesta di protezione umanitaria, respingendola per difetto di condizioni di vulnerabilità meritevoli di tutela.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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