Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32058 del 09/12/2019

Cassazione civile sez. I, 09/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 09/12/2019), n.32058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26514/2018 proposto da:

A.M., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Giacinto Corace, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 284/2018 del TRIBUNALE di Milano, depositato il

17/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2019 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

Il Tribunale di Milano, con il decreto depositato il 17/8/2018 in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da A.M., nato in (OMISSIS). Questi ha proposto ricorso per cassazione con quattro mezzi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il cittadino straniero ha raccontato di essere fuggito perchè di religione mussulmana sunnita, esposto alle persecuzione degli sciiti ed, inoltre, denunciato da suo zio come corresponsabile per la morte di due cugini di cui erano stati artefici, invece, gli sciiti.

Il Tribunale ha ritenuto che il racconto evidenziasse, quanto alle vicende personali, aspetti di incoerenza intrinseca non tanto in relazione alla morte dei due cugini, quanto al personale coinvolgimento sia ad opera degli sciiti, responsabili della stessa, sia dello zio.

Ha, inoltre, escluso la ricorrenza di alcuno dei presupposti per la concessione di qualsiasi forma di protezione internazionale perchè ha ritenuto insussistenti in concreto sia il pericolo di atti persecutori ed il rischio di danno grave, ai fini della protezione internazionale, sia le personali condizioni di vulnerabilità tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8, 9, 10 e 11, inserito dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, conv., con modif., dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, per avere omesso il Tribunale di fissare l’udienza di comparizione delle parti in assenza di videoregistrazione dell’audizione in sede amministrativa.

Dalla stessa decisione impugnata (fol. 2) e dal ricorso (fol. 5) si evince che l’udienza di comparizione venne fissata, ritenendo il giudice di soprassedere solo all’audizione, ritenuta non necessaria, in linea con quanto già affermato da questa Corte, secondo la quale “Nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare, pena la violazione del contraddittorio, l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, senza che sorga tuttavia l’automatica necessità di dare corso all’audizione il cui obbligo.” (Cass. n. 2817 del 31/01/2019).

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), lamentando il mancato esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente e l’osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’Autorità giudiziaria in merito alla situazione degli appartenenti alle differenti etnie religiose in Pakistan.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale, ha ritenuto non credibile quanto riferito dal ricorrente, sulla scorta di una attenta disamina di quanto narrato; ne consegue che il ricorrente genericamente e vanamente invoca l’attenuazione dell’onere probatorio a proprio carico, desumibile dall’art. 3, in particolare comma 5, del D.Lgs. n. 251 del 2017, avendo l’interessato pur sempre l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (art. 3, comma 5, lett. a), solo nel quale caso (e in presenza delle ulteriori condizioni poste dalla norma) è possibile considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, che integra la ratio decidendi della sentenza impugnata, costituisce un apprezzamento di fatto che è riservato al giudice di merito, al quale compete di valutare se le dichiarazioni del richiedente la protezione siano coerenti e plausibili (lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. n. 27503 del 30/10/2018) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019) e, nel presente caso, non è stato denunciato alcun omesso esame.

Inoltre, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria ne Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925 del 27/06/2018).

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. c); in particolare il ricorrente si duole che il Tribunale, pur avendo considerato che in Pakistan sono attuati trattamenti inumani e degradanti abbia escludo il rischio di persecuzione per il ricorrente.

3.2. Con il quarto motivo si denuncia il mancato riconoscimento della protezione umanitaria del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, nonchè la motivazione apparente.

3.3. Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente perchè sono inammissibili giacchè non si confrontano con la statuizione impugnata.

3.4. Quanto al terzo motivo, il decreto ha escluso la veridicità del narrato e, quindi, la ricorrenza di situazioni persecutorie nei suoi confronti, con la precisazione che lo zio, autore delle minacce, non avrebbe mai potuto essere considerato un agente non statale di persecuzione; ha, inoltre, escluso la ricorrenza di un conflitto armato generalizzato e ritenuto insussistenti in concreto il rischio di danno grave, sulla scorta della consultazione delle fonti internazionali aggiornate (rapporto EASO 2017 ed il Report Human Right and Democracy 2017)

Tutto ciò emerge dalla puntuale motivazione, contrariamente a quanto assume il ricorrente che, peraltro, manca di indicare altre fonti e di precisare quando ed in che termini siano state sottoposte al giudice del merito. Si tratta di un apprezzamento di fatto, con il quale è stata esclusa con riferimento alle circostanze allegate – la sussistenza delle condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione richiesta, che impropriamente il ricorrente vorrebbe sovvertire.

3.5. Quanto al quarto motivo ed alla richiesta protezione umanitaria, la censura complessivamente articolata è generica e non fa riferimento a ragioni personali di vulnerabilità non già valutate.

In proposito è opportuno aggiungere che, con riferimento specifico alla protezione umanitaria, la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese di giudizio per assenza di attività difensive della controparte. Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, stante l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019

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