Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32057 del 12/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 12/12/2018), n.32057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8184-2017 proposto da:

D.C.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PLINIO

22, presso lo studio dell’avvocato OTTAVIO TESORIERE;

– ricorrente –

contro

A.S.P.D.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 188/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 18/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 18.2.2017, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di D.C.M.T. volta a conseguire le differenze retributive spettantile per aver svolto attività di dirigente responsabile di struttura complessa presso l’ A.S.P.d.C.;

che avverso tale pronuncia D.C.M.T. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che l’ A.S.P.d.C. è rimasta intimata; che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente ‘denuncia omesso esame circa fatti decisivi per avere la Corte di merito ritenuto che la struttura alla cui direzione ella era preposta non fosse una struttura complessa;

che, con il secondo motivo, le medesime doglianze sono riproposte sub specie di violazione dell’art. 20 dell’atto aziendale di classificazione degli uffici e del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24;

che i motivi possono essere trattati congiuntamente in relazione alla natura delle censure rivolte all’impugnata sentenza, le quali indipendentemente dalla veste formale adottata – concernono tutte l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte di merito circa la natura complessa o meno della struttura cui è stata adibita la ricorrente;

che, al riguardo, questa Corte ha ormai consolidato il principio secondo cui, nell’ipotesi di c.d. “doppia conforme” prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, che lamenti vizi nell’accertamento di fatto compiuto dal secondo giudice, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello e di dimostrare che esse sono tra loro diverse, derivandone altrimenti l’inammissibilità del motivo (Cass. nn. 5528 del 2014, 19001 e 26774 del 2016);

che, difettando il ricorso di tale espressa allegazione e dimostrazione, tutte le doglianze del ricorso vanno dichiarate inammissibili;

che all’accertamento dell’inammissibilità dei motivi di censura segue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità per non avere l’intimata svolto in questa sede attività difensiva;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2018

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